Addio a Jean-Louis Trintignant

E’ morto oggi a Gard in Occitania, a 91 anni, Jean-Louis Trintignant.

Figlio di un industriale che aveva fatto la resistenza e poi era stato sindaco del suo piccolo paese, dopo la Liberazione, il cinema l’aveva scoperto ventiseienne sulle spiagge dell’allora sconosciuta Saint-Tropez, invaghito dell’inarrivabile Brigitte Bardot in Piace a troppi di Vadim del 1956.

Il suo volto ordinario, da bravo ragazzo, un po’ trascurato dai giovani turchi della Nouvelle Vague, aveva fatto poi la fortuna di Dino Risi, che cercava il suo Roberto Mariani per Il sorpasso nel 1962.

Da allora la sua carriera è stata un continuo rimando tra Francia e Italia, segnando la migliore stagione del cinema europeo. Una stagione che si è prolungata, per lui, quasi sessantacinque anni, piena di ruoli sensazionali in film altrettanto memorabili.

Il suo stile in sottrazione, mimetico, sempre trattenuto, ne avevano fatto un interprete versatile, capace di incarnare con efficacia ruoli psicologicamente misteriosi, tormentati, indecifrabili. Col tempo il suo volto ha anche assunto una gravitas che gli ha consentito di incarnare le ossessioni di due dei più grandi maestri del cinema europeo di fine secolo: Kieslowski e Haneke.

Il grande successo internazionale era arrivato con il ruolo del pilota Duroc in Un uomo e una donna di Lelouch, Palma d’oro a Cannes e Oscar per il miglior film straniero nel 1966.

In Z-L’orgia del potere di Costa Gavras aveva avuto il ruolo del giudice istruttore, vincendo il premio di miglior interprete a Cannes e un altro Oscar per il miglior film straniero nel 1969.

Nel frattempo era stato l’ingegnere torturato dalla passione in La mia notte con Maud di Rohmer, il bounty hunter de Il grande silenzio di Corbucci e lo scrittore di successo Michele in Metti una sera a cena di Patroni Griffi, altro film generazionale e di enorme successo.

Nel 1970 l’incontro con Bernardo Bertolucci: gli affida il ruolo del fascista perfetto Marcello Clerici dal romanzo di Alberto Moravia. Il conformista è un capolavoro che sfida il tempo e la storia, anche grazie alla sua interpretazione tormentata, sfuggente, stratificata.

Per Jacques Deray è il criminale Emile Buisson, in Flic Story con Alain Delon sulle sue tracce, mentre per Zurlini è il Maggiore Rovine nell’adattamento de Il deserto dei tartari da Buzzati.

Non poteva mancare sulla Terrazza di Ettore Scola nel 1980, nel ruolo di uno sceneggiatore esaurito e senza idee.

Con Amelio gira nel 1983 Colpire al cuore, nel ruolo ambiguo di Dario, un professore universitario complice della lotta armata.

Nello stesso anno l’incontro con Truffaut, nel giallo Finalmente domenica!, l’ultimo girato dal regista prima di morire.

Passano gli anni, ma il cinema sembra continuare a ricordarsi di lui. Nel 1994 è l’anziano giudice al centro di Film Rosso di Kieslowski, l’ultimo capolavoro del maestro polacco e poi è il protagonista dei primi due film di Jacques Audiard, Regarde les hommes tomber e Un héros très discret, quasi a testimoniare il passaggio di consegne tra il cinema francese degli anni ’60 e la nuova generazione di autori di fine secolo.

Dopo il lungo addio alle scene seguito alla morte tragica della figlia Marie, è Haneke a riportarlo sullo schermo, nell’ultimo grande ruolo della vita in Amour, nuova Palma d’Oro a Cannes, nuovo Premio Oscar per il miglior film straniero, premio di miglior attore agli European Film Awards  e finalmente César.

Haneke lo sceglie ancora nel 2017 per il ruolo del patriarca nel suo Happy End, ma la chiusura non poteva che spettare a Lelouch con un nuovo capitolo della commedia umana di Un uomo e una donna, I migliori anni della nostra vita: quelli che il suo volto ha illuminato con generosità e dolore, con quella vena malinconica che ha sempre attraversato il suo sorriso.

Addio Jean-Louis.

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