Il primo Suicide Squad diretto da David Ayer con Will Smith, Jared Leto e Margot Robbie era stato un mezzo disastro, pasticciato dalla Warner al montaggio e disconosciuto dal suo autore.
Questa nuova avventura non ha quasi legami con la precedente, se non per i ruoli governativi di Amanda Waller e Rick Flag, che ritornano a guidare la squadra di prigionieri e meta-umani, costretti ad una missione suicida, per alleviare il peso delle proprie condanne.
Dopo infiniti rinvii e una mezza dozzina di registi e sceneggiatori coinvolti, la Warner ha affidato l’incarico a James Gunn, allora licenziato in tronco dalla Marvel dopo i Guardiani della Galassia vol.2 per qualche tweet del passato, ritenuto compromettente.
La montagna di attese e hype tuttavia ha partorito il più classico dei topolini. Un film che strizza l’occhio al cinema splatter, dal Bad Taste di Jackson in giù, carico di iperviolenza, ovviamente simpatica e caciarona, quella che tanto piace ai nerd, con una storia esile da poter essere scritta sulla carta velina e interpretato da un cast di facce cattive, ma dal cuore tenero: il vero villain, paradossalmente, è proprio l’agente Amanda Waller, che dirige la squadra dal suo quartier generale, con una severità così inflessibile da risultare fuori tono completamente.
L’unico vero momento di sollievo arriva infatti quando uno dei suoi assistenti, stende la Waller con una mazza da golf, prima che possa “terminare” volontariamente la Squad per insubordinazione.
Questa volta lei e Rick Flag guidano il gruppo di badass usciti di prigione verso su un’isola caraibica, Corto Maltese, dove c’è appena stato un colpo di stato, che ha rovesciato il precedente governo filo-americano.
Sull’isola, nella fortezza chiamata Jotunheim, gli americani e lo scienziato Thinker hanno condotto, nel corso degli ultimi cinquant’anni, esperimenti disumani per studiare le potenzialità di una creatura aliena, in totale segretezza.
Il compito della Suicide Squad è quello di rovesciare il nuovo regime e far sparire da Jotunheim qualsiasi traccia del coinvolgimento americano. Non proprio una missione da eroi. Ma tant’è.
La prima squadra guidata da Flag e composta da una dozzina di uomini, donne e donnole viene annientata sulla spiaggia, prim’ancora di mettere piede sull’isola.
Si salva solo Harley Quinn, catturata e corteggiata dal Presidente di Corto Maltese, che intende sposarla.
Flag invece riesce a fuggire e si unisce ai ribelli, che vorrebbero rovesciare il nuovo regime e che sono quindi alleati (?) degli americani.
Un’altra squadra sfrutta il diversivo del sacrificio della prima e sbarca in un diverso punto dell’isola, guidata da Bloodsport, Peacemaker, The Ratchatcher 2, King Shark e Polka-Dot Man.
Il resto è prevedibile: arriveranno in città, prenderanno Thinker come ostaggio, libereranno Harley Quinn, che se la stava cavando benissimo da sola, e si dirigeranno a Jotunheim dove il mostro alieno è un appena po’ più grande di quanto immaginato.
Il film è diviso per blocchi narrativi introdotti da un titolo, che tautologicamente spiega le tappe progressive della missione. Nella sceneggiatura “for dummies” ogni cosa è sottolineata due volte, per timore che qualcuno non capisca bene.
Riducendo drasticamente i personaggi, dopo la carneficina iniziale, Gunn si ritrova così con un piccolo manipolo di protagonisti, garantendo a ciascuno uno spazio narrativo sufficiente a delinearne carattere, personalità, passato, desideri. E’ l’unica scelta saggia del regista, che per il resto si diverte a mettere in piedi sostanzialmente un film della Troma, grande grosso e rumoroso, costato probabilmente quanto tutti gli ottocento altri prodotti dalla factory, fondata da Lloyd Kaufman e Michael Herz nel 1974.
The Suicide Squad, nonostante una maggior cura nella definizione dei ruoli resta spesso slegato, episodico, privo di mordente. Si capisce l’intento di Gunn di farne una commedia splatter e anarchica, che strizza l’occhio ai suoi esordi, ma il risultato non convince mai davvero.
L’umorismo è fiacchissimo, la storia sconclusionata, le sequenze d’azione competenti, ma nulla più e il redde rationem con l’enorme stella marina aliena è così improbabile da sfiorare l’autoparodia.
L’unico momento realmente divertente arriva quando il team di Bloodsport stermina l’esercito dei guerriglieri ribelli, pensando tenga in ostaggio Rick Flag, mentre l’agente è invece comodamente seduto a bere un té con Sol Soria, il capo dei partigiani di Corto Maltese.
Quanto al carrello laterale in slow-motion di Harley Quinn, che si libera dell’esercito che l’ha presa in ostaggio è solo l’ennesimo omaggio non dichiarato a Old Boy, con fiori in cgi che sostituiscono gli schizzi di sangue.
E’ vero, il modello Troma è esattamente questo, iperviolenza, sarcasmo, sangue a litri, irriverenza: ma la Warner è consapevole di aver speso 175 milioni di dollari per realizzare uno Z-movie?
Ed è questa la strada che vuole seguire per i suoi film della DC? E’ questa la soluzione alla scandalosa seriosità apocalittica di Zack Snyder?
La risposta ce la darà il box office, come sempre. Va dove ti porta il… denaro!
In realtà dopo la fine della trilogia del Cavaliere Oscuro di Nolan, la Warner ha brancolato nel buio, prima affidandosi a Snyder, quindi sconfessandolo per inseguire la Marvel nell’idea di un unico universo condiviso, quindi mandando all’aria tutto, per un modello in cui ogni singolo film si muova in autonomia.
E allora ecco un Joker da Leone d’Oro, costato un pugno di dollari e senza effetti speciali, l’orrenda WW84, il recupero epico della Justice League originale, questo The Suicide Squad esagerato, i prossimi Black Adam cucito su misura di Dwayne Johnson, The Batman di Matt Reeves, che segue un giovanissimo Bruce Wayne nel suo Anno Due, The Flash di Andy Muschietti, che rimescola i tempi per tutti e recupera persino il Batman di Burton, quindi un secondo Aquaman, un secondo Shazam! e un Superman afroamericano scritto da Ta-Nehisi Coates.
Ognuno per sè.
Funzionerà? Difficile a dirsi. Più facile che qualcosa resti e qualcosa si perda.
Tornando a questo The Suicide Squad ha almeno il pregio di rompere l’idea Marvel dei quattro quadranti, ovvero di accontentare ogni tipologia di pubblico, scegliendosi invece il proprio target in modo molto specifico.
Ispirato, secondo Gunn, ai fumetti anni ’80 di John Ostrander, The Suicide Squad è, per noi, un lavoro realmente improbabile, così pieno del suo nichilismo sarcastico, da stufare dopo cinque minuti, prim’ancora dei titoli di testa.
Il giochino è sempre scoperto e se non si accetta l’ingaggio, si rimane sostanzialmente indifferenti al profluvio di assurdità.
Gunn forse si è divertito a girarlo, ma come spesso accade, quel divertimento non sembra essere passato attraverso lo schermo: rimane in realtà solo un grande nulla. Il regista vorrebbe ripetere la formula dei Guardiani, ma gli riesce tutto male, dalla colonna sonora telefonatissima al cliché dell’abbandono familiare e dei rapporti tra genitori e figli, che corre sottotraccia in alcuni personaggi.
Solo per nerd.
Aridatece Zack Snyder!