Toy Story 4

Toy Story 4 ***

Sono passati quasi dieci anni dall’ultimo episodio della saga di Buzz e Woody. Allora la Pixar, premiata con un Leone d’Oro collettivo alla Mostra del Cinema di Venezia, era all’apice di una serie di clamorosi successi che – da Nemo a Ratouille, da Up sino allo sperimentale Wall E – ne avevano cementato lo status di factory della creatività e dell’intrattenimento, per eccellenza.

Il ritorno a Toy Story, ovvero ai personaggi che avevano reso possibile quella clamorosa ascesa, durata quindici anni, era allora una sorta di omaggio alle proprie origini, alla purezza della propria ispirazione e una nuova riflessione sui giocattoli tradizionali e sul rapporto mutevole, che intrattenevano con i loro legittimi proprietari.

Toy Story 4 nasce da un soggetto condiviso proprio dai quattro pionieri, premiati dieci anni fa, ovvero John Lasseter, Andrew Stanton, Pete Docter e Lee Unkrich, affidato in un primo tempo a Rachida Jones e Will McCormack e quindi a Stephany Folsom, con l’intenzione di farne una storia d’amore, sulle tracce di Bo Peep, la pastorella scomparsa prima del terzo episodio.

Il film si apre proprio con il suo brusco allontanamento dalla casa di Andy, il proprietario originale dei giocattoli.

Passano nove anni e quando Andy va al college, i suoi giochi finiscono alla piccola Bonnie, una bambina in procinto di cominciare l’asilo. Qui, per rompere la solitudine di un ambiente nuovo, anche grazie a Woody, il cowboy di pezza, leader del gruppo dei giocattoli, Bonnie costruisce con una forchetta di plastica, un filo di ferro e uno stecco di legno, Forkie, un nuovo pupazzo, che fatica però a comprendere il suo ruolo e la sua nuova identità.

Quando Bonnie e la sua famiglia partono per una vacanza in camper, Forkie si mette nei guai e ovviamente toccherà a Woody incaricarsi di riportarlo dall’affranta Bonnie, non senza aver sperimentato l’ebrezza di un mondo nuovo, quello dei giocattoli senza padrone: che comprende gli abbandonati, i difettosi, che fanno bella mostra in un grande negozio di antiquariato, e quelli che devono essere ancora vinti e assegnati, nei giochi di fiera di un luna park itinerante.

Promosso l’animatore di Inside Out, Josh Cooley, a regista di questo quarto capitolo, la meravigliosa saga di Toy Story può continuare a raccontare, sul filo della malinconia, un altro capitolo della storia del nostro rapporto con i giocattoli e della loro pirandelliana presa di coscienza.

Mai come questa volta, addentrandosi nel mondo eterogeneo dei giocattoli che non appartengono a nessuno, il film della Pixar mostra tutta la sua forza filosofica e psicologica.

Ancor più centrali che nel terzo episodio, i giocattoli abitano un mondo più vasto della cameretta del bambino a cui sono stati assegnati, costretti a confrontarsi con il sogno di essere finalmente scelti ed amati, senza mai perdere di vista la propria funzione primaria, che rimane quella ludica.

Il viaggio di formazione questa volta è quello che compie Woody, alla scoperta di una realtà inconsueta, piena di pericoli e di alleati, di giocattoli incattivi e desiderosi di trovare il proprio posto nel mondo.

Il film lo costringerà ad una scelta dolorosa, spingendolo a seguire una strada di emancipazione, che mette in discussione il proprio ruolo e il senso della propria funzione.

La fedeltà assoluta e incrollabile di Woody gli impedisce di vedere una realtà che tutti gli altri giocattoli hanno già intuito, ovvero che il suo tempo con Bonnie è passato: altri giochi e altre necessità riempiono la vita della bambina paffuta.

Ad aiutarlo questa volta è Bo Peep, la pastorella remissiva e innamorata del secondo episodio, che qui ritroviamo diversa, dopo molti anni in libertà. E’ lei il personaggio chiave del film, quello che, sia pure con qualche cliché neofemminista, mostra a Woody che oltre alla fedeltà e al ruolo vicario impostogli dal destino c’è una libertà nuova da esplorare, c’è una vita propria da assaporare per davvero.

Sembra quasi di sentire echi dell’Ishiguro di Quel che resta del giorno.

Questo Toy Story 4 diventa allora una storia di orgoglio e accettazione, ma anche di libertà riconquistata: è il racconto di una seconda possibilità, uno dei cardini della cultura americana. Alcuni l’hanno già raggiunta, altri devono ancora compiere il viaggio.

Com’è giusto che sia, Toy Story 4 respira l’aria del suo tempo e comprende quindi una parte più vicina all’horror – se così vogliamo chiamarla – introdotta dalle note di Midnight, the stars and you, che chiudevano Shining: questa volta il labirinto è un negozio di modernariato, con le sue bambole rotte e i suoi pupazzi con gli occhi sgranati.

Come solo le grandi animazioni sanno fare, Toy Story 4 riesce a parlare ai bambini che sono in sala, così come ai genitori che li accompagnano, regalando a ciascuno un’emozione differente, perchè è davvero l’avventura di una vita, che non ha paura di spingersi… verso l’infinito e oltre!

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