Atteso inutilmente prima a Cannes, quindi a Venezia, il nuovo film di Claire Denis ha debuttato invece a Toronto, lo scorso mese di settembre, per arrivare poi al Festival di Torino, un paio di mesi dopo, con l’aura di opera totale e maledetta.
L’incontro tra la controversa regista francese e il divo Robert Pattinson, all’interno di un film girato in inglese e ambientato su una nave spaziale, hanno subito acceso la fantasia dei cinefili di mezzo mondo.
Il film racconta il viaggio della 7, sulla quale viaggia un gruppo di criminali, scelti per una missione senza ritorno, con l’obiettivo di catturare l’energia di un black hole, per salvare la Terra, impoverita dallo sfruttamento intensivo delle sue risorse.
Sulla nave però troviamo solo l’ascetico Monte e una bambina di pochi mesi. Non c’è nessun altro nei corridoi e nel piccolo giardino terrestre, ricostruito per i bisogni dell’equipaggio.
Un flashback ci riporta indietro nel tempo. La 7 è guidata con pugno di ferro da una dottoressa, la Dibs, che ha imposto regole rigide a tutti gli altri: il suo scopo è cercare di ricreare la vita a bordo dell’astronave, azzerando però qualsiasi contatto sociale e qualsiasi interazione sentimentale. Gli uomini ridotti a donatori di sperma, le donne a cavie da inseminare artificialmente. Ogni pulsione sessuale viene repressa chimicamente e poi fisicamente, da Monte e da Tcherny, che si occupano di mantenere l’ordine innaturale, imposto dalla dottoressa.
Se tuttavia sulla 7 le dinamiche sociali sono state interamente abolite, gli istinti sopravvivono ancora e la Dibs ha fatto costruire una fuckbox, nella quale appagare le proprie pulsioni. L’unico ad astenersi, come un monaco, è proprio Monte, che non dona neppure lo sperma.
La situazione pian piano degenera, il comandante muore per leucemia, la Dibs gli succede, ma poi il desiderio animalesco ha la meglio anche su di lei e su altri componenti della nave. Nel frattempo, con l’inganno, la Dibs è riuscita inseminare la giovane Boyse, lasciando a Monte una figlia da accudire.
Il viaggio della Denis è confuso, velleitario e ambizioso in pari misura. Il suo notevolissimo talento visivo, coadiuvato dalla fotografia sensazionale di Yorick Le Saux e dallo score sonoro insinuante di Stuart Staples, è questa volta influenzato pesantemente dal Tarkovsky di Stalker e Solaris, non solo nella rappresentazione degli spazi della nave, ma anche nelle poche immagini della terra, frammentati isolati che non significano molto e non si fanno neppure memoria.
Per rompere gli spazi chiusi e claustrofobici della 7, dominati dal contrasto continuo tra il blu e il rosso degli interni e il bianco netto del laboratorio, la Denis si affaccia di tanto in tanto nello spazio profondo, nel nero illuminato dalle stelle, facendone una sorta di ambiente neutro dove posare lo sguardo, per lo spettatore, ma anche dove ritrovare la solitudine della morte, per i suoi personaggi.
Se tuttavia il film è tanto potente dal punto di vista della messa in scena, creando sequenze che difficilmente si possono dimenticare, a cominciare dalla sorprendente fuckbox, nella quale si immerge la dottoressa o dalla Boyse riversa nel suo latte materno, High Life è invece assai meno efficace dal punto di vista narrativo e filosofico.
La fantascienza distopica ha quasi sempre rappresentato un modo per venire a patti con le tensioni, le idee, le paure del nostro mondo, poi grazie a Kubrick e Tarkovsky il viaggio si è fatto, se possibile, ancor più grande e misterioso, diretto al cuore dell’animo umano, alla sua intelligenza, cercando risposte a domande, che si perdono nella notte dei tempi.
L’approdo della 7 ci riporta ad una coppia primigenia, ad un Adamo ed Eva incestuosi o suicidi, disturbanti come molte delle ossessioni, che innervano il cinema della Denis, da Beau Travail a Mangiata viva, fino a Les Salauds: un esito tuttavia che mal si connette con gli esperimenti sulla fertilità asessuata della Dibs e con l’amoralità ascetica di Monte, che un po’ per caso e un po’ per scelta, rimane l’ultimo uomo.
Non c’è mai una dimensione metafisica nel racconto della Denis, mai una tensione verso l’ignoto, tutto riporta invece alla brutalità di personaggi, con cui difficilmente si può empatizzare. L’equivalenza tra uomo e animale è sin troppo manifesta, quando la 7 è raggiunta da un’altra nave gemella, sulla quale vi sono solo cani.
Il mistero che avvolge High Life è piuttosto frustrante, anche perchè la Denis sembra più interessata al cranio e al volto di Pattinson, che a tutto il resto, indugiando eroticamente e voyeristicamente sul suo primo piano, preferendo esplorare la sensualità residua dei suoi attori, i loro corpi e i loro fluidi, piuttosto che qualunque altro elemento del film.
Straordinaria Juliette Binoche nei panni della Dibs, bravissima anche Mia Goth in quelli di Boyse, molto meno interessante invece Robert Pattinson, catatonico come spesso accade, non molto aiutato dalla Denis, che sembra volerne carpirne la spigolosità nervosa del volto, piuttosto che l’intensità espressiva.
Molto semplicemente è la dimensione hobbesiana o, se volete, il determinismo darwiniano a sovrintendere alle sorti del viaggio: la più forte riesce a procreare, il più forte rimane l’ultimo sopravvissuto.
Su tutto però incombe l’ignoto spazio profondo, che, impassibile, finisce per inghiottire ogni cosa.
Disturbante e respingente.
film neofascista esplicitamente contro il genderismo, mi piace molto.