Sarà l’argomento domestico, sarà la bruttezza del film, ma una recensione così lunga e articolata Peter Bradshaw non l’ha mai scritta. Una sola, misera stelletta per Diana, biopic talmente mal riuscito da spingere lo storico critico del Guardian a affermare che l’omonimo film ha fatto morire Lady Spencer una seconda volta.
This is due to an excruciatingly well-intentioned, reverential and sentimental biopic about her troubled final years, laced with bizarre cardboard dialogue – a tabloid fantasy of how famous and important people speak in private.
Non basta che dietro la macchina da presa ci sia un regista di talento – il tedesco Oliver Hirschbiegel (La caduta) – ne’ che davanti ci sia una star del calibro di Naomi Watts: il primo non riesce a dirigere dei dialoghi decenti in inglese, mentre la seconda – nonostante la bravura – si limita ad imitare le mosse e la voce di Diana, lasciando in secondo piano tutto quello che non è bland saintliness celebrato dai media.
[…] this seems a highly simplistic view of events. It seems possible, to say the least, that her feelings were much more complicated than this […] sucrose and emotionally-authorised version will allow. […] the moment anyone, anyone at all, opens their mouth we are in TV-movie-land, soap-land.
Un filmetto televisivo, insomma, cui si aggiunge la colpa imperdonabile di offrire una versione distorta degli ultimi anni di vita di Lady D: una versione in cui non solo non c’è Dodi, ma neppure I figli di Diana, e Charles non è mai nominato: a distorted, sugary and preposterous impression.
Il film esce nelle sale italiane distribuito da Medusa.
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