The Avengers **
Il primo passo verso il collettivo The Avengers è stato l’Iron Man di Jon Favreau: con l’ironia da screwball comedy Robert Downey Jr aveva riposizionato l’intero universo della Marvel verso coordinate più leggere, autoironiche, scanzonate.
Era il maggio 2008. Da allora si sono alternati sullo schermo L’incredibile Hulk, il più sfortunato della serie, quindi un secondo Iron Man, Thor e Capitan America.
In ognuno di questi film una parte marginale, spesso persino confinata nei titoli di coda, faceva riferimento alla storia più grande, al collettivo degli Avengers, riuniti dal capo della divisione SHIELD, Nick Fury, e dai suoi fidati agenti Phil Coulson, Natasha Romanoff – La vedova nera e Clint Barton – Occhio di falco.
Affidata la regia a Joss Whedon, famoso per la serie Buffy, più che per altri blockbuster cinematografici, sotto la supervisione di Kevin Feige, potentissimo direttore dei Marvel Studios e produttore di innumerevoli opere dedicate ai supereroi, dal primo X-Men in avanti, il film doveva solo cercare di far coesistere sette protagonisti diversi in un’unica avventura.
Purtroppo la sceneggiatura di Whedon presuppone la devozione dei fans e la fresca visione degli altri film della serie. Vi basti sapere qui che il cattivo è ancora Loki, il fratellastro di Thor e che il macguffin è il possesso del Tesseract, un cubo luminoso, capace di mettere in comunicazione la terra con gli altri mondi, perso dai nazisti dell’Hydra dopo la Seconda Guerra Mondiale e recuperato da Iron Man, assieme al corpo congelato di Capitan America.
Loki, grazie ad un incantesimo, trascina dalla sua parte Occhio di Falco ed il Prof. Erik Selvig, dopo aver sottratto il Tesseract dalla sede dello SHIELD.
Nick Fury chiama a raccolta i suoi supereroi, che sulle prime sono piuttosto riluttanti e animati da ego smisurati quanto i loro poteri. Poi naturalmente un nuovo distruttivo attacco alla fortezza volante dello SHIELD ed alla Stark Tower a Manhattan, finirà per spingerli a collaborare.
Una trama tutto sommato ordinaria e convenzionale, che dopo lo spaesamento iniziale dovuto alla necessità di riannodare velocemente il filo che lega The Avengers agli altri film della Marvel, procede spedita per i suoi 140 minuti.
A salvare l’operazione dalla solita routine distruttiva che continua a bersagliare New York come scenario naturale di ogni attacco alieno, ci sono le battute di Tony Stark – Iron Man e lo straordinario Bruce Banner – Hulk.
Mentre al primo è affidato il coté comico della serie, con battute a raffica sugli altri e su se stesso, il Dottor Banner, qui interpretato da un convincente Mark Ruffalo è la variabile impazzita che viene a minare la sicurezza del gruppo degli Avengers.
Il pericolo che da un momento all’altro Banner si trasformi in Hulk è il sottotesto costante di tutta la parte centrale del film di Whedon.
Hulk è infatti incontrollabile, distruttivo, imprevedibile nel bene e nel male. E spacca. Sì, Hulk spacca: concentrato di forza bruta, di potenza sovrumana e inarrestabile, il gigante verde è l’unica cosa che resta di questi Avengers.
Perchè infonde il gene dell’aziona pura e della magnifica irrazionalità in un racconto che procede, per il resto, con il pilota automatico.
Ruffalo è straordinario nel mostrarsi ambiguo, confuso, sempre sul punto di esplodere, circondato dal timore generale. Il film di Whedon sfrutta degnamente la grandezza tragica del personaggio, regalandogli una parte centrale nello scontro finale e la più bella battuta del film, quando Loki pomposamente rivendica le proprie nobili origini.
Il successo già ottenuto dal film, curiosamente uscito prima nel resto del mondo e quindi solo dopo negli Stati Uniti, ci garantirà una nuova serie autonoma e verosimilmente un nuovo episodio collettivo. Si comincia con il terzo Iron Man.
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