Police, Adjective ***
Presentato a Cannes ad Un certain regard, è stato accolto trionfalmente e premiato, come l’ultimo straordinario esempio della nouvelle vague romena.
Porumboiu, già autore del divertente A Est di Bucarest, Camera d’or nel 2006, qui sfida le regole del genere e ci mette di fronte ad un’indagine di polizia del tutto surreale.
Il protagonista è Cristi, giovane poliziotto, incaricato di indagare su ‘pericolosissimi’ ragazzini… colpevoli di fumare hashish nel cortile della scuola.
Il regista non ci risparmia nulla: segue Cristi a lungo – con la macchina da presa, quasi sempre immobile – nei suoi quotidiani appostamenti fuori dall’edificio scolastico, poi vicino alle abitazioni dei ragazzi e nella stazione di polizia.
Nella noia delle indagini, nella meticolosità dei verbali e nella lunghezza della burocrazia delle richieste, dei certificati e delle autorizzazioni, si insinua però il dubbio, che tanto zelo sia finalizzato, solamente a rovinare la vita ai tre improvvidi ragazzini.
Lo spettatore è spiazzato dal ribaltamento continuo delle attese: nessun momento drammatico, nessun inseguimento, nessuna tensione.
Solo la routine professionale e familiare di Cristi, piccolo poliziotto con una coscienza.
Il protagonista comincia a chiedersi, infatti, se sia giusto arrestare i suoi pedinati, esponendoli ad una pena che può arrivare sino a 7 anni di carcere, per un po’ di fumo, pratica che in altri paesi dell’est non è più neppure sanzionata.
Fra i tre inoltre c’è un delatore, che ha indirizzato le indagini e messo in moto il brutale meccanismo della giustizia, per motivi che rimangono poco chiari: forse per banale gelosia.
Il protagonista cerca conforto ai suoi dubbi, parlandone con un pubblico ministero e rimandando più volte il confronto con il capo, che vuole invece arrivare subito all’arresto dei tre ragazzi.
Quando finalmente Cristi farà rapporto al suo superiore – il sempre inquitetante Vlad Ivanov, indimenticabile Bebe in 4 mesi 3 settimane e 2 giorni – ne nascerà una sottile e inquietante discussione sulla giustizia.
Il capo gli chiede conto del significato delle parole che usa e Cristi dovrà fare i conti con la definizione di coscienza, legge morale, polizia.
Di fronte alle sue risposte incerte e di buon senso, sarà la perentorietà di un dizionario a fare piazza pulita di ogni legittimo dubbio.
Una straordinaria lezione di semantica applicata – e distorta – a fini di controllo sociale. 1]
Il Potere si nutre del linguaggio, afferma la sua forza anche attraverso le parole e le loro interpretazioni: mai era stato mostrato sullo schermo in maniera così efficace.
Vale la pena di pazientare sulle lunghe inquadrature di Porumboiu, per arrivare a questo finale raffinatissimo, sconcertante, esemplare, che ci racconta come i paesi dell’est siano ancora in un limbo doloroso: la fine del regime è ancora troppo vicina, le pratiche, le idee, le facce del potere sono ancora terribilmente contaminate dall’ottusità e dalla violenza del passato.
La democrazia è un processo lungo, una conquista che si compie giorno per giorno, impossibile da imporre.
Forse però qualcosa si sta muovendo: il fermento culturale che traspare nei film e nel cinema di questi giovani registi rumeni è un segnale evidente di una libertà realmente ritrovata.
1] Alberto Barbera, Politist Adjectiv, Cineforum n.485



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