Empire of Light

Empire of Light **

Dopo il tour de force di 1917 Sam Mendes ha scelto per il suo nuovo film, Empire of Light, una piccola storia ambientata a Margate nel Kent.

Siamo nel 1980 in un imponente cinema affacciato sul mare. Qui Hillary, la direttrice di sala di mezza età che vive da sola e soffre di depressione, comincia la sua routine quotidiana, fatta di caramelle e popcorn, biglietti staccati, passerelle e sedie da ripulire, assieme al gruppo eterogeneo di colleghi.

Hillary è stata assente per curarsi in una struttura psichiatrica e al suo ritorno Donald, il manager di cui è segretamente l’amante, ha assunto un nuovo collaboratore, Stephen, uno studente di origine caraibica respinto dalla facoltà di architettura e vessato da un gruppo di skinhead e militanti del Fronte Nazionale.

Tra Stephen e Hillary pian piano nasce un sentimento sempre più forte, che tuttavia precipita la protagonista nella sua oscurità, quando il rapporto si interrompe bruscamente.

Durante una serata di gala per la presentazione di Momenti di gloria, Hillary si prende le sue rivincite, ma finisce nuovamente in un istituto di cura. Al suo ritorno una manifestazione del Fronte Nazionale prende di mira proprio il cinema Empire e il giovane Stephen.

Il nuovo lavoro di Mendes pur in una dimensione apparentemente minimalista e personale, non rinuncia alle sue ambizioni e sembra voler dire troppo, caricando sulle spalle sottili dei suoi personaggi un fardello che non riescono sempre a gestire con efficacia.

La malattia mentale, il razzismo nei confronti degli immigrati di seconda generazione, l’amore interraziale e intergenerazionale, il sesso usato come strumento di potere maschilista, la sala cinematografica come reperto di un passato glorioso destinato alla decadenza, il cinema come strumento per fuggire alla durezza della realtà, la violenza del razzismo istituzionalizzato, un ritratto d’ambiente che ci riporta ad anni decisivi per la storia inglese recente: Empire of Light vuole essere tutto questo e altro ancora.

Forse Mendes non si fidava fino in fondo della linearità di una storia d’amore tra due emarginati ed ha caricato il suo film di ambizioni inadeguate, mentre avrebbe potuto affidarsi alla bravura dei suoi attori, dai premi Oscar Olivia Colman e Colin Firth, al formidabile proiezionista interpretato da Toby Jones, a Michael Ward che viene dall’antologia Small Axe, interpretando un personaggio che vive la stessa temperie culturale e politica del lungo racconto a episodi di Steve McQueen.

Incapace di sposare il minimalismo di quello che avrebbe dovuto essere altro breve incontro, Mendes sembra preoccupato di aggiungere inutili sottotesti che finiscono per rendere meno chiara e netta la storia di Hillary e Stephen, in un film che pare soffocato dall’ansia di dover dire sempre qualcosa di importante.

Empire of Light funziona così in modo intermittente e le parti sembrano essere più interessanti dell’insieme.

Come al solito la fotografia è del maestro Roger Deakins, che immerge in una luce calda e dorata le notti trascorse nel grande cinema, mentre nelle scene diurne restituisce benissimo l’aria crepitante di salsedine della cittadina di mare.

Assolutamente indovinata la colonna sonora di Trent Reznor, Atticus Ross che pure riprende alcuni classici della musica reggae e ska dell’epoca.

Resta, complessivamente, un’occasione persa.

Dal 23 febbraio in sala.

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