Lo Stato del Wyoming e la mitologia greca hanno poco in comune, eppure la fervida immaginazione umana può saldare perfino mondi così lontani. La sintesi? Uno stranissimo western metafisico in otto episodi, Outer Range, serie prodotta da Amazon Studios e distribuita da Prime Video. Outer Range è scritta da Brian Watkins, giovane sceneggiatore e drammaturgo cresciuto nell’Ovest degli Stati Uniti. Territori, ha dichiarato lo stesso Watkins intervistato da Tvline.com, in bilico tra meraviglia e paura. “Sono luoghi dove puoi camminare fino ai piedi di una montagna o ai margini di un bosco e avere la sensazione di penetrare in un’altra dimensione. Sono luoghi dove il suolo è una forza della natura e gli spazi esterni plasmano l’interiorità in un senso molto particolare“.
Outer Range si apre con un riferimento diretto al mito di Kronos. Nella Teogonia di Esiodo (VII secolo a.c. circa) Gaia e Urano generano un ultimo figlio, Kronos “dai torti pensieri”. Davanti al vizio ricorrente del terribile Urano di soffocarle in grembo la prole, Gaia fabbrica una gran falce “dai denti aguzzi” e, rivolgendosi ai suoi figli già nati, chiede vendetta. “Madre, sarò io, lo prometto, che compirò questa opera, ché d’un padre esecrabile rispetto non ho, sia pur mio, ché per primo compì opere infami”. Kronos, possente Titano, approfitta del desiderio di Urano di congiungersi con la madre e lo evira.
Il racconto iniziale di Outer Range rinvia anche al Chronos/Heracles, di derivazione orfica, che con il Kronos di marca esiodea costituisce un complesso pressocché inestricabile. Esso è il Tempo nell’accezione di eone, un Tempo non determinato e indiscriminato, in quanto non vi è ancora nessuno in grado di misurarlo. Chronos genera l’uovo cosmico (in una triplice discendenza, Etere umido, Caos senza limiti e Erebo nebbioso, concepiti come materia), rappresentazione dell’Universo in una forma indivisa e non dispiegata. L’Uovo, dischiudendosi, dà vita alla terra e al cielo e fa nascere il primo vivente ermafrodito “e come terzo accanto a quelli il dio incorporeo, con ali dorate sopra le spalle e con teste taurine attaccate sui fianchi e sopra la testa un dragone immane…” Connessa alle vicende dell’origine cosmica, una certa tradizione teogonica unisce a Chronos la figura di Ananke/Adrasteia, ovvero l’inesorabile Necessità che incombe sull’esistenza umana. Ananke è insieme Destino e Giustizia, e veniva rappresentata nell’atto di battere i cembali davanti all’antro della Notte (Nyx) per attrarre l’attenzione di tutti, compresi gli dei, sulla sua Legge.
Gli Abbott vivono in un ranch nella contea di Amelia. Royal, il patriarca interpretato da Josh Brolin, e sua moglie Cecilia (Lily Taylor) hanno due figli, Rhett (Lewis Pullman) e Perry (Tom Pelphrey). La moglie di Perry, Rebecca, è scomparsa nel nulla mesi prima, lasciando soli il marito e la piccola figlia Amy. Gli Abbott confinano con i Tillerson. Un’inimicizia radicale separa le due famiglie. Il vecchio Wayne (Will Patton) ha tre figli maschi, Billy, Luke e Trevor (Noah Reid, Shaun Sipos e Matt Lauria). Wayne Tillerson, un uomo influente e rapace, dai dubbi gusti in fatto di arredamento d’interni e collezioni d’arte, fa sapere agli Abbott di vantare dei diritti di proprietà sui loro pascoli occidentali.
Cosa c’è di straordinariamente prezioso in quelle terre, di sicuro fertili e ottime per le mandrie ma non al punto da giustificare un desiderio di possesso così feroce? Lo scopriamo già a partire dal primo episodio. Nel cuore dei pascoli ovest si spalanca un cratere perfettamente circolare che ricorda “i buchi della fine del mondo” recentemente apparsi nel permafrost siberiano. Sulla superficie galleggia una strana nebbia. Il fondo è scuro, profondissimo e inghiotte la luce. Vediamo Royal spingersi fin lì, attirato da una misteriosa forza. Qualcosa lo lega al cratere? Forse un’esperienza passata? Soprattutto, cosa c’è dentro quel buco? Nel frattempo, una stramba ragazza di nome Autumn (Imogen Poots) chiede ai Royal il permesso di accamparsi là attorno. Dice di essere una poetessa in cerca di ispirazione e, a corredo del suo abbigliamento da hippy, indossa una collanina con un ciondolo di ambra cui tiene moltissimo. Nella sua tenda, Royal trova raccolte poetiche, un manuale di meccanica quantistica e… un flacone di psicofarmaci.
A complicare i rapporti di vicinato già troppo tesi, interviene un fattaccio. Al termine di una serata ad alto tasso alcolico trascorsa in un bar, Rhett Abbott e Trevor Tillerson si azzuffano. Di mezzo c’è una donna, la bella Maria Olivares, vecchia fiamma di Rhett. La rissa sembra conclusa. Mentre Rhett torna barcollante nel locale, Perry Abbott, che ha diviso i contendenti, sente dalla bocca di Trevor parole irripetibili sul conto della moglie Rebecca. Perry colpisce Trevor che stramazza al suolo e muore. Nessun estraneo assiste all’aggressione. Ed è qui che entrano in gioco Royal e il suo segreto. Quale miglior soluzione per sbarazzarsi definitivamente di un cadavere, se non gettarlo nella voragine apertasi nella pianura? Billy e Luke Tillerson si recano dagli Abbott in piena notte. I due fratelli hanno pochi dubbi su chi siano i responsabili di quell’ennesima sparizione (a quanto pare, scomparire è un’abitudine in quel lembo di selvaggio Wyoming). L’attempato Royal, però, è già lontano. Ha appena affidato il corpo di Trevor al Vuoto, quando avverte una presenza dietro di lui, una torcia luminosa, un volto femminile, una voce. Autumn, la bionda ragazza hippie, ha visto tutto. Si avvicina, gli chiede del buco, gli parla di Kronos e dei cicli cosmici comuni a molte civiltà, dello “strappo tra il cielo e la terra”, della “separazione tra il conosciuto e l’ignoto”, quindi lo abbraccia e, a tradimento, lo getta là sotto, nella Voragine.
Outer Range è debitore di Stephen King e di Twin Peaks, di The OA e di Lost, del primo Fargo e di Wind River (ma senza neve), dell’immaginario western e delle sue recenti rivisitazioni in chiave distopica e postmoderna. È un’America schizzata, post-trumpiana, l’America delle gare di rodeo e delle corse in quad, degli elicotteri personali e del country contaminato dall’heavy metal. Sempre più gli sceneggiatori si servono degli scenari dell’Ovest degli Stati Uniti per spalancare la porta alla possibilità del trascendente e per rimestare suggestioni sul senso dell’esistenza che altrove perderebbero di significato. In Outer Range la natura è viva e senziente, tanto da rispondere alle connessioni umane con eventi eclatanti, si pensi all’episodio del dissolvimento temporaneo delle montagne o all’avvistamento del mastodonte…
In questo quadro sospeso tra il reale e il fantastico, non sfigura la vice sceriffo Joy (Tamara Podemski), di origine pellerossa, un altro leitmotif di molta letteratura e cinema sull’argomento. Joy, invisa alla comunità bianca per diversi motivi, incluso il suo essere donna e lesbica, agisce da consumata detective, fedele alle tecniche investigative. Suo malfrado, Joy si deve piegare all’evidenza dei risultati comunicati dal coroner: l’autopsia del corpo di Trevor – ebbene sì, il Vuoto non è una discarica abusiva, tutto ritorna a galla e niente muore davvero – restituisce parametri non in linea con quelli attesi, anzi, assurdi e incomprensibili.
In Outer Range ognuno cerca di esorcizzare il mistero appellandosi alla verità più vicina a sè. Che si tratti del cristianesimo venato di sfumature neotestamentali, della ritualità arcaica dei Nativi americani, della scienza ufficiale incardinata nel sapere universitario, della spiritualità New Age o delle leggende fiorite nel solco dell’America rurale, la risposta al Male è comunque sempre precaria e insufficiente.
La rivalità separa le famiglie e, nel caso dei Tillerson, si insinua nella famiglia stessa. Quando il vecchio Royal finisce in coma, un testamento rivela le sue intenzioni: assegnare l’intera proprietà al figlio Billy anziché a Luke. Certo, il ranch dei Tillerson, ridondante di trofei, pelli, stuole e teste di cervo impagliate, è così kitsch da suscitare ilarità mista a ribrezzo e potrebbe allontanare anche il cacciatore di eredità più ingordo, ma la vera posta in gioco, una fonte di ricchezza probabilmente illimitata, è data da quei verdi pascoli caratterizzati dalla ferita circolare. Billy, un autentico sciroccato con la passione per il canto, da ricordare la sua interpretazione di Don’t Give Up di Peter Gabriel al funerale di Trevor, sul finire della serie instaura una bislacca liaison, a suon di baci ad alto tasso di salivazione, con Autumn, degna compagna di stranezze. Perché, ammettiamolo, non è da tutti comunicare telepaticamente con un orso o incidersi sulla pelle, a punta di coltello, il ricorrente schema circolare (spunta sulle rocce e corrisponde, se rovesciato, allo stemma presente sull’insegna degli Abbott), un elemento simbolico comunque non chiarito dagli autori, in attesa della seconda stagione.
Parallelamente ai Tillerson, va in frantumi anche il clan degli Abbott, già disorientati dall’eclisse improvvisa di Rebecca. La crisi è forse senza scampo, acuita dall’arrivo di Autumn, con i suoi obiettivi imperscrutabili, e peggiorata dai tentativi, destinati al fallimento, di depistare le indagini sull’omicidio di Trevor. Royal, che vorrebbe preservare dal disfacimento l’unità familiare, valore centrale in Outer Range, è ossessionato delle sue visioni, sbocciate durante la permanenza nel tunnel temporale. Il futuro già conosciuto incrina qualunque certezza. Rhett copre Perry rischiando la galera, Perry è spinto dalla scaltra Autumn a confessare il delitto. Così Cecilia, incapace di trovare conforto nelle Sacre Scritture, scivola nella disperazione. L’unica a mantenere la mente lucida è la piccola Amy (Olive Abercrombie, bravissima). “Tutti in questa famiglia nascondono delle cose agli altri… anche il non sapere ferisce”, dice Amy allo zio Rhett, sfoggiando una consapevolezza che, alla luce della rivelazione finale, si colorerà di toni sinistri.
La serie, negli ultimi episodi, stringe il focus sul rapporto conflittuale tra Royal e Autumn, tanto da configurarsi, al suo esito, come un duello asimmetrico, uomo vs donna, anziano vs giovane (o il faccia a faccia nasconde altro, magari una vaga consonanza di sangue?), dal sapore rusticano. In una diabolica, non è fuorviante definirla così, partita a poker i due si giocano tutto: lui, il pascolo occidentale, lei, la pietra nera incastonata nell’ambra che porta al collo. Royal vince e decide di sbriciolare il ciondolo con una pressa. Una cattiva idea. La polvere è della stessa natura del Vuoto. Il tempo si dilata, le coordinate collassano, passato e futturo collimano, una porta delle stelle si apre, le azioni non rimediabili riaffiorano. Nessuna fuga è infinita.
Outer Range è un coraggioso pastiche, non privo di incongruenze e salti narrativi, forte di ottime prove attoriali e sostenuto da una colonna sonora impreziosita da pezzi eterni (solo nel primo episodio ascoltiamo Avalanche di Leonard Cohen, Cry, Cry, Cry di Johnny Cash e Idiot Wind di Bob Dylan, per dire). Certo, la commistione di generi, mistery, western, thriller e sovrannaturale, è un esperimento di ibridazione ambizioso, che il ricorso all’imbastitura metafisica e alla mitologia, siano sempre benedetti i nostri amati Greci, salva da un sicuro naufragio.
Outer Range regala ai posteri un finale esplosivo, a suon di zoccoli di bisonte. Il grande bisonte americano, l’animale totemico, venerato perché sacrificava la sua vita per permettere agli uomini di sopravvivere, l’animale dell’abbondanza e della riconoscenza, l’animale sterminato, simbolo della ferita inferta al sacro da una civiltà votata al progresso, è ora ritratto, in segno di riconciliazione, o di definitivo sfregio, nella bandiera del Wyoming.
Non è un‘impresa semplice restare attaccati alla sella di Outer Range. Come nel rodeo, è facile finire disarcionati, con i denti nella polvere. Come nel rodeo, serve una presa salda per arrivare in fondo e magari, ebbri della vittoria, godere di quella scritta, così lynchiana, stampata su un immenso cartello, piantato nel cuore della notte, che recita: “America tells you that the only things worth knowing are those which can be known. America is wrong / L’America dice: le uniche cose da sapere sono quelle che possono essere conosciute. L’America si sbaglia”.
Numero di episodi: 8
Durata: tra 45 e 60 minuti ciascuno
Distribuzione: Prime Video
Uscita: Tra il 15 aprile marzo e il 6 maggio 2022
Genere: Thriller, Drama, Mistery, Western
Consigliato a chi: ragiona prima di scavare un buco nel cortile, sente di appartenere a un’altra epoca, è più distratto di Talete.
Sconsigliato a chi: ha una cicatrice di cui non ricorda l’origine, ha paura degli ostacoli improvvisi sulla strada, pensa che l’espressione “vorrei sprofondare” sia solo una metafora.
Letture e visioni parallele:
- Impossibile non citare Annie Proulx e il suo Distanza ravvicinata. Storie del Wyoming – Vol. 1 edito da Minimum Fax (2019);
- A proposito di film western anomali: Bone Tomahawk di S. Craig Zahler (2016), disponibile nel catalogo Prime Video.
Un passatempo: “Vado a prendere un alce nel parco” (Billy Tillerson).