La stanza

La stanza *1/2

Dopo Il talento del calabrone, un altro film italiano di genere debutta su Amazon Prime, prodotto da Lucky Red. La stanza è il terzo lungometraggio di un giovane regista italiano, Stefano Lodovichi, nato a Grosseto, attivo nell’advertising e nei video, noto soprattutto per un paio di serie tv: Il cacciatore (Rai) e Il processo (Mediaset-Netflix).

Con La stanza l’idea sarebbe quella di imbastire un thriller metafisico, concentrato secondo le unità di luogo, tempo e azione care alla Poetica di Aristotele, con uno stampo evidentemente teatrale, che la regia avrebbe il compito di vivificare.

L’inizio sembra anche promettente, con la protagonista Stella, moglie tradita e aspirante suicida vestita da sposa, sull’orlo di una grande finestra aperta sul vuoto, mentre un temporale annega le lacrime in un grigio indistinto.

D’improvviso però, nella grande villa isolata, suona insistentemente un campanello. E’ un ospite inatteso, lo sconosciuto Giulio, che dice di aver prenotato una stanza online, nonostante il B&B sia chiuso da mesi. Con una certa insistenza occultata da una cortesia solo di facciata, Giulio riesce a farsi accogliere, ma la sua presenza diventerà sempre più inquietante, finchè anche Sandro, il marito di Stella, raggiunge la villa. C’è anche un bambino in casa, chiuso nella sua stanza, ma questo fa parte del mistero, che il film vorrebbe risolvere…

Se la scelta scenografica della grande casa dalle pareti grigie e dalle grandi finestre sembra un richiamo ad una certa teatralità del giallo argentiano degli anni ’70 e ’80, il modello più affine a La stanza è invece Una pura formalità di Tornatore, che evidentemente deve aver segnato la generazione dei nostri nuovi registi in modo molto più forte di quanto sia sembrato al tempo.

Tuttavia la regia di Lodovichi non ha il rigore e l’originalità per sostenere un impianto scenico così semplificato e la storia non l’aiuta. La stanza inciampa continuamente, dopo il discreto incipit, in dialoghi faticosi, fiacchi, che servono solo ad allungare il momento in cui la rivelazione sul ruolo di ciascuno, servirà a far virare il film verso un finale d’azione meno teorico e più classicamente horror.

Nonostante la dedizione dei tre attori, Guido Caprino, Camilla filippi ed Edoardo Pesce, le troppe parole inutili e la macchinosità inutile dell’intreccio che poi si affida una soluzione fantastica, per uscire dall’impasse, rendono il film piuttosto faticoso, nonostante i suoi soli 85 minuti.

Purtroppo nonostante quello che si pensi e gli auspici di una buona fetta della critica italiana, il cinema di genere bisogna saperlo scrivere, bisogna conoscerne le regole in modo magistrale, per poterle piegare, ribaltare, anche stravolgere.

E i modelli rimangono sempre altri, o davvero troppo lontani nel tempo e superati o produttivamente irraggiungibili.

Lodovichi cerca di metterci una certa intensità, ma onestamente si rimane freddi, confusi a lungo su quello che il film vuole raccontarci, frenati da una tensione che non cresce mai, nonostante sangue, sequestri, trapani e rancori.

Per lunghi tratti il film sembra un classico home invasion, poi vira sul dramma della gelosia, con un padre diviso tra due famiglie, solo alla fine invece, sapremo il vero rapporto tra i personaggi, ma non è la storia a condurci all’agnizione, quanto l’ennesimo spiegone a parole.

Un thriller che si dimentica presto.

 

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