L’amica geniale – Storia del nuovo cognome

L’amica geniale – Storia del nuovo cognome ***

La prima stagione de L’amica geniale ci ha raccontato di un microcosmo fatto di violenza, sopraffazione e conservazione, ma anche tenacia, affetto disinteressato e coraggiosa lotta per l’emancipazione. E’ in questo microcosmo, un Rione alla periferia di Napoli, che nasce uno straordinario rapporto di amicizia tra Elena, “Lenù” e Raffaella, “Lila”. Tra le due bambine si  instaura un’amicizia ricca di sfaccettature, sospesa tra una sottile, ma costante, competizione ed una interdipendenza a tratti morbosa. Nonostante sia una brillante studentessa, Lila (Ludovica Nasti) non può continuare gli studi perché la sua famiglia non può permetterselo. Opportunità che invece è concessa ad Elena (Elisa Del Genio), i cui genitori decidono di seguire il consiglio della maestra Oliviero e mandarla prima alle medie e poi al Ginnasio.

Anche a livello sentimentale con il passare degli anni le strade delle due amiche si allontano: Lila sposa Stefano, erede della salumeria Carracci, mentre Elena nutre un sentimento, non ricambiato, per un brillante studente, Nino Sarratore ed attraversa dei brevi fidanzamenti senza un reale trasporto emotivo. Il rapporto tra le due amiche si configura tutto all’interno del Rione dove crescono e maturano le rispettive aspettative verso un futuro diverso: al termine della prima stagione la vita di Lila ci appare già definita, anche se drammaticamente, con il matrimonio; resta invece sospesa verso molteplici possibilità, senza una direzione chiara, quella di Elena.

La seconda stagione prosegue nella descrizione del percorso di crescita delle due amiche che scoprono il potere esercitato dal proprio corpo: una forza di attrazione che offre loro nuove opportunità, ma che le espone anche a grandi rischi. Mentre l’esistenza di Elena Greco (Margherita Mazzucco) continua ad essere percorsa da un senso di incompiutezza che nemmeno i buoni risultati nello studio riescono a dissolvere, Lila (Gaia Girace) sprofonda nella mediocrità della propria condizione matrimoniale da cui cerca di trarre quanto bene possibile. Durante una vacanza estiva ad Ischia, le due ragazze incontrano Nino Sarratore (Francesco Serpico)  e questo comporta un vero e proprio terremoto sia nella vita matrimoniale di Lila sia nel rapporto tra la due amiche.

Elena non ha il coraggio di confidare all’amica il sentimento che prova per Nino e finisce quindi con il subire e soffrire la relazione passionale che si instaura tra i due. Lila torna ad immergersi nelle storie e nella vita riscoprendo il gusto della lettura che aveva accantonato dopo il matrimonio, mentre Elena si sente tradita dalle due persone più importanti della sua vita. La distanza tra loro diventa anche fisica quando, dopo il diploma, Elena riesce ad entrare alla Normale di Pisa, allontanandosi così dal rione e lasciando l’amica alle prese con un figlio da allevare in un contesto familiare ormai compromesso. Un racconto scritto dalla piccola Lila, La fata blu, sarà l’inaspettata occasione per un riavvicinamento.

Una delle principali scelte narrative compiute da Saverio Costanzo è l’utilizzo di una voce narrante. Con la pacatezza rassicurante di Alba Rohrwacher,  alla voce fuori campo di Elena è affidato il compito di sviluppare il discorso, mentre la storia è tutta nell’azione delle due amiche ed ha un singolo epicentro nella prima stagione (Lila), nella seconda invece si sviluppa da molteplici epicentri. La storia è fatta di movimento, di vite in evoluzione, di uno sguardo mobile che progressivamente si allarga nello spazio (fuori dal rione) e nel tempo (attraverso gli anni) per accompagnare Elena e Raffaella nella ricerca del proprio posto nel mondo.

La storia emoziona ed affascina lo spettatore, anche grazie alla lingua dei dialoghi. La scelta di utilizzare il dialetto napoletano rappresenta una differenza coraggiosa rispetto ai romanzi ed è decisiva per conferire vivacità e realismo ai personaggi. Nono solo: immerge lo spettatore con la sua durezza, la sua ineluttabilità, la sua energia in un mondo che non fa sconti a nessuno, figuriamoci a due giovani donne. Il discorso, veicolato tramite la voce narrante, è di sua natura più razionale e si pone come elemento in grado di garantire continuità e connettività alle vicende, specie a seguito dello sviluppo di due linee narrative parallele. Se paragonata alla vivacità della lingua parlata dai protagonisti ed alla freschezza della storia, la voce narrante però ci ha convinto meno, per un tono spesso monocorde, con pochi guizzi degni di essere mandati a memoria ed una inflessione che stride con il vitalismo del dialetto partenopeo e che anzi sembra in qualche modo volerne prendere le distanze.

Le vicende di Elena e Lenù possono apparire ad una prima visione come il racconto di un’amicizia tra due donne ambientato in una cornice storica e geografica ben definita e descritto nell’ambito di una tradizionale forma narrativa autobiografica.
Qualcosa che ha il sapore della lavanda custodita con cura dalla nonna nel cassetto dell’armadio. Una lettura che sarebbe però riduttiva perché la forma della narrazione non va confusa con il contenuto e la modernità della storia non risiede nella trama, ma nella ricchezza dei significati descritti.

Vediamo perché.

Uno dei temi su cui ci siamo soffermati in passato è quello dell’anti-eroe, descritto in sintesi come una variante/deviazione propria del nostro tempo dell’archetipo dell’eroe. L’antieroe non può essere un eroe: per scelta, necessità, causalità, etc.  e quindi trasforma le sue straordinarie capacità in strumenti al servizio di comportamenti opachi, moralmente ambigui, apertamente in contrasto con le norme sociali. Uno splendido esempio di questa figura è Saul Goodman, ma il nostro immaginario mediale e letterario più recente è ricco di antieroi come Joker, Tommy Shelby o Lisbeth Salander, la  protagonista della trilogia di Stieg Larsson.

Anche Lila può dunque essere definita un antieroe? Quel qualcosa di oscuro e misterioso che “la divora dall’interno” e che esercita un potere attrattivo e distruttivo verso chi le sta vicino permette di farla rientrare in questa categoria? Lascio a voi la valutazione, ma al di là delle classificazioni, quello che è rilevante ai nostri occhi è come i comportamenti di Lila (e anche di Elena) pongano spesso lo spettatore di fronte a questioni morali di non semplice decodifica, lo sollecitino a riflettere, prescindendo dal contesto culturale di riferimento. In questo risiede la modernità del personaggio di Lila, più significativo in chiave morale di Elena.

Al di là delle sollecitazioni di ordine morale, Raffaella ed Elena sono personaggi di rottura verso il mondo che le circonda che, per tutta la prima stagione, ma anche per buona parte della seconda, è costituito dal Rione. La decisione di Elena di proseguire con gli studi e di Lila di mettere in discussione il legame matrimoniale sono entrambe scelte incomprensibili per chi vive nel rione e segnano una frattura che porta entrambe ad essere viste come qualcosa di estraneo, ammirate ma anche guardate con sospetto nel caso di Elena, rimosse e copiate nel caso di Lila. E’ paradossale quanto la  nuova moglie di Stefano assomigli per abbigliamento e taglio di capelli a Lila, diventando forse inconsapevolmente una copia sbiadita dell’originale, una versione più gestibile, ma certo meno magnetica.

La scelta poi di raccontare un mondo situato geograficamente e storicamente, con precise connotazioni culturali di stampo novecentesco in questo momento è tutt’altro che conservativa come potrebbe apparire a prima vista. In un momento in cui imperversano zombie, vampiri e draghi la scelta di parlare dell’Italia degli anni ’50 e ’60 suona come qualcosa di inaspettato. E di profondamente emozionante per chi vi riconosce, seppur parzialmente, la storia della propria famiglia. La vicenda è ambientata in una Napoli di cui vengono ritratti scorci meravigliosi ed iconici che ci sono parsi spesso un po’ troppo “pettinati” per essere credibili, così come i dialoghi non sempre risultano all’altezza del tono realistico complessivo, soprattutto per l’ambiente culturale intellettuale, fortemente stereotipato.

La fotografia di Fabio Cianchetti e di Helene Louvart racconta in modo significativo la luce del Mezzogiorno così come la regia di Costanzo regala colpi di grande qualità visiva con citazioni colte e sguardi originali, anche rispetto al punto di vista dei testi narrativi. Anche le scene più drammatiche sono descritte cercando di evitare enfasi, con soluzioni eleganti e mai banali. Gli episodi in cui dietro alla macchina da presa c’è Alba Rohrwacher arricchiscono la stagione di uno sguardo diverso che si inserisce perfettamente nel tessuto complessivo dato che è circoscritto ad un particolare momento e cioè agli eventi delle vacanza ad Ischia.

La sceneggiatura è stata curata dallo stesso Saverio Costanzo, insieme ad una squadra composta da Elena Ferrante, Francesco Piccolo e Laura Paolucci, mentre la colonna sonora ha utilizzato pezzi di canzoni italiane degli anni ’60, scelti con cura da Max Richter (The Leftovers) e alternati a brani strumentali ricchi di sfumature, a partire dalla sigla “Whispers” che trasmette allo spettatore il desiderio di fuga e la vitalità dei protagonisti.

La seconda stagione de L’Amica geniale ha ottenuto un ottimo riscontro in termini di pubblico con uno share medio in prima serata del 28% pari a 7 milioni di spettatori. Un indubbio successo che ha trovato eco anche presso la critica che si è espressa con valutazioni molto positive sul prodotto targato Rai-HBO.

E ora l’attesa è tutta verso la terza stagione, “Storia di chi fugge e di chi resta” che presumibilmente sarà rilasciata nel 2021.

Titolo originale: L’amica geniale – Storia del nuovo cognome
Durata media episodio: 60 minuti
Numero degli episodi: 8
Distribuzione streaming: Rai Play
Genere: Drama Family Romance

Consigliato: a quanti amano immergersi in mondi reali più che figurati, che credono che l’amicizia sia un valore assoluto, ma che quella vera vada maneggiata con cura: il rischio di bruciarsi è molto alto.

Sconsigliato: a quanti  non sopportano le serie in dialetto e che sono allergici alle voci narranti.

Visioni parallele: 

La serie è basata sulla tetralogia di romanzi di Elena Ferrante edita in Italia da e/o: L’amica geniale, Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta, Storia della bambina perduta.

Ci sembra giusto ricordare anche un altro straordinario personaggio femminile, anch’esso in cerca della libertà, spinta dal desiderio di andare oltre le norme sociali: Uomini che odiano le donne, Stieg Larsson edito in Italia da Marsilio.

Un’immagine: il volto di Stefano che attende Lila la prima notte di nozze. Lo vediamo attraverso un vetro che trasfigura i contorni del volto e ci fa  percepire  tutta la violenza del suo desiderio di possesso. Ottima la scelta registica, ma anche l’interpretazione di Giovanni Amura.

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