Shaking Tokyo

Shaking Tokyo – terzo episodio di Tokyo! ***

Subito dopo il successo di The Host, Bong Joon Ho accetta la proposta di un gruppo di produttori francesi di girare uno dei tre episodi del film collettivo Tokyo!, assieme a Leos Carax e Michel Gondry.

Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, il film si perde nel novero degli esperimenti curiosi e viene ricordato soprattutto per il segmento centrale affidato a Carax, che lo usa per creare la prima avventura di Mr. Merde. Denis Lavant torna a lavorare con il regista francese a diciassette anni di distanza da Gli amanti del Pont-Neuf, dando vita a quel personaggio che poi ritroveremo quattro anni dopo nel suo capolavoro, Holy Motors.

Bong invece, per la prima volta impegnato su set lontano dal suo paese, decide di lasciare sullo sfondo critica sociale e cinema di genere, per raccontare, in poco più di trenta minuti, una storia d’amore.

Il protagonista è un hikikomori, ovvero un giovane uomo che ha deciso di vivere confinato nel proprio appartamento, recluso e isolato dalla vita sociale.

Sono dieci anni che non esce dal suo appartamento, ordina tutto per telefono, evita il contatto visivo con i fattorini che gli recapitano da mangiare, non accende il vecchio televisore a tubo catodico da molto tempo e ha riempito la sua casa di infinite pile di libri con cui passa il tempo.

La sua casa è stipata di rotoli di carta igienica, bottiglie d’acqua, cartoni della pizza che consuma ogni sabato.

Il padre gli manda ogni anno una busta con i soldi necessari al suo sostentamento.

La sua vita regolare e silenziosa, viene interrotta una sera quando uno spacco nei jeans della ragazza che gli consegna la solita pizza, lo convince ad alzare lo sguardo. In quel momento la terra trema e la ragazza, dopo la scossa, cade svenuta nel suo appartamento.

Il contatto imprevedibile con un altro essere vivente, sconvolge la vita del protagonista, che rompe la sua routine, ordina l’indomani una nuova pizza per rivedere la misteriosa ragazza, ma viene informato dal proprietario del negozio, che anche lei si è rinchiusa in casa, col proposito di non uscire più.

Ma quando un hikikomori vuole incontrare un altro hikikomori c’è solo un modo possibile…

Il film di Bong è di una semplicità essenziale, girato per due terzi all’interno della casa ordinatissima del protagonista, ma è nell’ultima parte che il Shaking Tokyo diventa più interessante, quando con un curioso ribaltamento, la sua solitudine diventa quella di un’intera città.

Non siamo lontani da Lost in translation, con il ritratto di una città che ci rimane sempre estranea, distante, incapace di ogni vero abbraccio. Si vive come monadi autosufficienti, incapaci di condividere il proprio destino.

Qui Bong è ancora più esplicito della Coppola, mostrando una città completamente svuotata, che occupa gli spazi pubblici solo quando la terra trema e la paura della morte, spinge a condividere l’ultimo sguardo sul mondo.

Il film evita ogni deriva grottesca, ogni sovrapposizione di tonalità, preferendo questa volta un’essenzialità che trova compimento nel bellissimo finale, tutto in campo e controcampo, che si chiude con una altro sguardo in macchina del protagonista, come nei precedenti Memorie di un assassino e The Host.

Anche in questo piccolo esperimento sentimentale, il talento di Bong rimane cristallino, l’originalità della sua messa in scena è preziosa e chiude con la nota giusta un film di pura occasione.

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