6 Underground

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Il nuovo film di Michael Bay comincia in media res a Firenze, nel centro storico della città di Dante, con una Alfa Giulia verde acido, che corre a centotrenta all’ora, inseguita da altre auto in una caccia senza sosta, che finisce all’interno degli Uffizi  e poi a Siena e a Roma, con una geografia che solo il cinema può immaginare.

Sull’auto ci sono due uomini e due donne. Non sappiamo i loro nomi, il capo è numero 1, al volante c’è il numero 6, sul sedile posteriore ci sono numero 2, un’ ex agente della CIA che è stata ferita e numero 5  che cerca di estrarle il proiettile dallo stomaco.

Numero 4 è un acrobata spericolato e si trova sulla cupola del Brunelleschi, mentre numero 3 ripassa l’italiano, mentre attende gli altri, alla guida di un furgone.

Sono venti minuti di puro cinema, come non se ne vedeva da un pezzo. Forse proprio dall’ultimo film di Michael Bay, poeta visionario e lucidissimo distruttore di mondi reali, in favore del suo universo immaginario, in cui tutto si muove alla velocità della luce e lo schermo non riesce quasi più a contenere la proliferazione di immagini e movimento, che il suo montaggio ipercinetico cerca di stipare in quei 24 fotogrammi al secondo, che chiamiamo cinema.

Mai come in questo caso i devoti e i detrattori troveranno argomenti, per continuare ad amare e odiare Bay.

6 Underground infatti, scritto con i piedi dalla coppia di Deadpool e Zombieland, Rhett Reese e Paul Wernick, rifugge costantemente le necessità narrative tradizionali. Ogni volta che Bay rallenta, per lasciare spazio alla storia del miliardario high tech, che si è fatto credere morto, per assoldare una banda di sei specialisti con cui portare a termine nove missioni suicide, contro coloro che stanno avvelenando il mondo, con il loro potere e la loro ferocia, il film perde le sue coordinate e si scopre vulnerabile ed esposto.

Il racconto fa avanti e indietro nel tempo, aiutandosi all’inizio con dei cartelli, che dovrebbero aiutare a comprendere i diversi flashback, ma è tutto vano: perchè ogni spiegazione razionale, ogni tentativo di ridurre a formule codificate il cinema astratto e anti-narrativo di Bay è come costringerlo in gabbia.

Dopo la missione fiorentina di prova, finita male, il gruppo perde un elemento, che viene presto sostituito da un ex cecchino dell’esercito americano, inseguito dai sensi di colpa per non aver evitato che una bomba devastasse la sua unità in Afghanistan.

Sarà lui a portare nel team di 6 Underground, il senso del cameratismo militare, unito all’idea che non si può lasciare indietro nessuno.

Nella nuova missione il gruppo dovrà mettere in piedi un colpo di stato nel fantomatico Turgistan, un paese del Medioriente, deponendo il dittatore Rovach Alimov, che guida il paese con i suoi militari, usando il gas, per decimare la popolazione e gli oppositori.

Numero 1 era stato testimone delle atrocità di Rovach, quattro anni prima, in un campo profughi dell’ONU: in quel momento aveva deciso di barattare la sua vita da miliardario filantropo, con quella da vigilante invisibile.

L’obiettivo è quello di liberare Murat, il fratello di Rovach esiliato in una sorta di prigione dorata ad Hong Kong, e di installarlo come nuovo leader nel Dia de los Muertos.

La trama tuttavia è solo un canovaccio di puerile inconsistenza, che Bay rinnega ogni volta che può, lasciando buchi forse ancora più grandi di quelli creati dal duo di sceneggiatori.

Quello che gli interessa è solo trovare il modo per incastonare i suoi spericolati set d’azione, che da Firenze si spostano nel deserto, quindi a Las Vegas, poi a Hong Kong e infine nelle strade di questo Turgistan immaginario, per concludersi su un’enorme e labirintico yacht, dove si nasconde Rovach.

Bay, respinto dalla USC, diventato nei primi anni ’90 celebratissimo regista pubblicitario e di video,  aveva cominciato nel cinema d’azione, come l’uomo di fiducia di Jerry Bruckheimer, con Bad Boys, The rock, Armageddon, Pearl Harbor .

Col tempo tuttavia i suoi film, fondati sulla triade adolescenziale di motori, donne e amicizia virile, da sempre caratterizzati da una cura formale straordinaria e da una urgenza cinetica inarrestabile, si sono fatti via via più astratti, irriducibili, slegati da ogni ordinaria connessione causale.

Gli ultimi due Transformers, quelli interpretati da Mark Wahlberg, sono emblematici da questo punto di vista: Bay paradossalmente ha scoperto che solo rallentando le immagini, riusciva a rendere pienamente intellegibile la complessità coreografica e la distruzione controllata dello scontro tra autobot e decepticon.

In 6 Underground ricomincia da dove aveva interrotto due anni fa, con la stessa cura maniacale, per la composizione dell’immagine, ma con una capacità unica di creare cinema attraverso i suoi elementi basilari, i movimenti di macchina e il montaggio, entrambi spinti a velocità parossistiche.

La scena ambientata Firenze, ma poi anche a Siena e Tor Vergata, con una libertà che solo la finzione del cinema può consentire, è puro ritmo, caos controllato e creativo.

Bay è forse l’unico che costruisce cinema in forma pura, potremmo dire, senza pagare debiti alla scrittura, al teatro, alla fotografia, a tutte quelle arti che il cinema ha condensato e trasceso oltre un secolo fa, ma da cui non si è mai veramente affrancata, se non negli anni delle avanguardie.

La sua immaginazione è infinita come quella di un bambino, alla prese con il gioco più costoso e fantastico che ci sia: il cinema americano.

Ognuno dei cinque, sei set d’azione su cui è costruito questo 6 Undeground è uno showcase che spinge le potenzialità del mezzo verso limiti impensabili, un pezzo di videoarte, che coinvolge stuntmen, operatori, scenografi, direttori della fotografia, musicisti e maghi della computer grafica.

Un grande circo che riempie l’occhio di meraviglia: non ci si riesce neppure a chiedere davvero ‘come ha fatto’, tante volte lo si pensa, durante le due ore del suo film.

Certo, se cercate la solidità di un bel copione, la coerenza di un racconto d’intrattenimento, l’evasione di due ore di cinema senza pensieri, avete sbagliato indirizzo: 6 Underground non vi darà nulla di tutto questo. E’ un film faticoso, irrisolto, il primo di una possibile serie, che vorrebbe consolidare lo status di Ryan Reynolds come nuova star d’azione, ma Bay lo ha reso qualcosa di completamente unico, irreale, un esperimento, che forse neppure a Netflix hanno capito.

Altrimenti non avrebbero avuto il cuore di lanciarlo sulle nostre tv e non sullo schermo più grande possibile, lì dove dovrebbe stare.

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