Un uomo vestito con un abito di scena arancione, con berretto sormontato da corna sataniche dello stesso colore, enormi ali piumate ed occhiali giganteschi, entra di corsa in una sala dove è in corso una seduta di auto-analisi collettiva, come le vediamo spesso nei film americani.
Si presenta ed elenca le sue dipendenze da alcol, droga, cibo e affetti. E’ così che comincia Rocketman, una sorta di biografia immaginaria, un musical coloratissimo, dedicato a e ispirato da Elton John, il bambino prodigio, diventato icona rock a poco più di vent’anni, grazie alla collaborazione con il paroliere Bernie Taupin e ad una capacità fuori dal comune di assorbire le influenze più diverse, dal rock, al soul, dalla musica classica al pop, dal country fino ai Beatles e a Elvis, trasformandole e facendole proprie, personalissime.
Lontano anni luce da Bohemian Rhapsody, l’altro fortunatissimo biopic di stagione, che lo stesso regista, Dexter Fletcher, ha contribuito a terminare e portare sullo schermo, Rocketman decide di raccontare una parte della storia di Reginald Dwight, senza alcuna pretesa di verità, ma con la magia del cinema.
Il centro di rehab si trasforma così subito nella strada di casa del piccolo Reg, le canzoni sostituiscono i dialoghi dei personaggi e gli attori ballano scatenati sulle note di Saturnday Night’s Alright for Fighting o The Bitch is Back.
Come in un vero musical ogni momento è buono per introdurre una delle innumerevoli hit del pianista inglese, mentre il film segue la strada che mette pubblico e privato in stretta e continua relazione.
Lo scatenato performer sul palco è un uomo in cerca d’amore, dietro le quinte. Un padre assente, una madre svampita, un manager e amante, incapace di affetti veri tormentano la sua esistenza. Elton sprofonda nelle dipendenze, fino all’infarto. Ma lo spettacolo deve continuare e, tra alti e bassi, quello che conta è rialzarsi sempre.
Il film si chiude significativamente con il video di I’m Still Standing, girato nel 1983 proprio sulla spiaggia di Cannes, di fronte al Carlton.
Senza alcuna pretesa di mettere in scena una vera biografia – magari problematica e non autorizzata – Rocketman viaggia leggero sulle ali della musica, tra look stravaganti, occhiali infiniti, canzoni immortali e una malinconia, che avvolge perennemente il nostro protagonista, incapace di colmare il suo bisogno di amore neppure di fronte all’adorazione del suo sterminato pubblico.
Agiografia in musica di uno dei musicisti di maggior successo del novecento, Rocketman è un fuoco artificiale, coloratissimo ed esplosivo come le performance del suo protagonista.
Il film non è per nulla reticente sulla dimensione omosessuale di Reginald, sul suo essere, fino in fondo, una grande icona gay.
Scherzoso anche sulla calvizie incipiente, sullo shopping compulsivo e sulle dita tozze del pianista, il film è un grande can-can, che cerca costantemente l’emozione, con le armi più semplici.
D’altronde avendo a disposizione un gigante del rock, con una vita avventurosa negli irresistibili anni ’70 e l’intero catalogo di Bernie Taupin ed Elton John, perchè non sfruttarli appieno?
Intelligentemente Fletcher fa ricantare a Egerton ed al piccolo Kit Connor che intgerpreta Reg da bambino i suoi successi, senza timore di risultare blasfemo agli occhi dei fans, rendendo così Rocketman una commedia musicale a pieno titolo.
Se si dimentica la sua giocosa superficialità, il film è trascinante, godibilissimo, travolgente in alcuni momenti di pura estasi cinetico-musicale.
Taron Egerton è veramente adorabile nei panni adulti del protagonista, scatenato sul palco e tormentato nella vita, il lavoro della costumista è prodigioso, a dir poco, e anche lo scenografo deve aver faticato parecchio, ricostruendo palchi e mood degli anni ’70, a cominciare da quello iconico del Troubadour di Los Angeles, dove tutto è cominciato.
Rispetto alla regia assente e al montaggio demenziale di Bohemian Rhapsody, qui siamo proprio all’opposto. Fletcher si diverte a coreografare numeri musicali, a danzare con la macchina da presa attorno al suo protagonista, spingendo il pedale del ritmo in modo forsennato e restituendo tutta l’urgenza creativa, che ha portato i due a pubblicare undici album in sette anni.
Peccato solo che Fletcher mostri con parsimonia la magia dell’ispirazione e della creazione musicale, non a caso al centro invece di due tra i momenti più riusciti del film, con la collettiva I want Love che prende vita nella sua casa di bambino, cantata da tutta la sua famiglia e con la musica di Your Song, che si fa strada tra le note del suo piano, illuminando le parole scritte da Bernie.
Scritto da Lee Hall, lo sceneggiatore di Billy Elliot, con lo stesso contagioso entusiasmo, il film sembra alla fine dirci che nella relazione platonica e artistica con Bernie Taupin, Elton John ha trovato davvero la sua dimensione più autentica, creando un patrimonio musicale ed emotivo inestimabile. Rocketman invece lascia, giustamente, a un paio di immagini sui titoli di coda, la conquista della sua tanto agognata armonia sentimentale e familiare.
Jamie Bell è un convincente partner musicale, John Madden il produttore villain, Bryce Dallas Howard la madre.
Tutto il resto è musical.
Scatenato. Un must-see per i fans.