Dopo il successo di Alabama Monroe che l’aveva spinto sino alla nominations agli Oscar nel 2012, Felix Van Groeningen era tornato in Belgio per dirigere il suo quinto lungometraggio, Belgica, che ha debuttato al Sundance ed è poi stato distribuito solo nel suo paese natale e in Francia, due anni fa.
Il suo nuovo film è invece l’adattamento curato dallo stesso van Groeningen e dal poeta e scrittore Luke Davies (Lion), di due libri di memorie, quelli scritti da un giornalista del New York Times, David Sheff e da suo figlio Nic.
Sono loro i protagonisti di questa storia: Nic ha appena finito l’high school a San Francisco ed è stato ammesso a tutti e sei i college a cui aveva fatto richiesta.
Una mattina però scompare di casa. Il padre, che ne ha la custodia, dopo essersi separato dalla madre molti anni prima, lo cerca dappertutto. Quando Nic ricompare due giorni dopo la verità pian piano si fa strada: è un tossicomane, soprattutto di metanfetamina, ma non disdegna neppure altre droghe, compresa l’eroina.
Accetta di entrare in un istituto per 28 giorni di rehab, che poi si prolungano. Alla fine decide di andare al college, ma qui le cose precipitano, Nic ricomincia a bucarsi e il calvario di David e della sua nuova famiglia sembra un circolo chiuso e senza uscita.
Il film di van Groeningen è soprattutto un duetto attoriale tra lo straordinario e sempre più efficace Steve Carell e l’assai meno interessante Timothée Chalamet, precocemente glorificato dal film di Luca Guadagnino, che qui sembra già incline a recitare lo stereotipo del bravo ragazzo dalle cattive abitudini, l’angelo con la faccia sporca.
Il film soprattutto nella prima parte si muove circolarmente scomponendo i pezzi della storia come in un puzzle, consapevole che il racconto si muove in una spirale sempre uguale a se stessa di cadute e risurrezioni, di recriminazioni e dolore, di richieste d’aiuto e sacrifici indicibili.
Il punto di vista rimane quello di un padre che non riesce mai davvero a spiegarsi il perchè e che attraversa tutti gli stadi di una personale via crucis, dallo stupore, alla disponibilità, dall’aiuto alla fermezza, dal dubbio all’autoanalisi, fino al distacco necessario.
Assai più contenuto e rigoroso, rispetto ad Alabama Monroe, van Groeningen cerca di contenere gli eccessi drammatici che pure una storia di questo tipo avrebbe giustificato e si muove invece in uno spazio difficile, evitando di chiarire cause ed effetti, evitando di fare la morale alle famiglie disastrate americane, alle madri assenti e alle istituzioni distratte.
In modo assai più interessante, non sapremo mai davvero perchè il beautiful boy Nic, talentuoso scrittore in erba – appassionato di musica e poesia, sulle orme del padre – finisca nell’incubo della dipendenza da una delle sostanze più devastanti e invincibili come la chrystal meth e cerchi in quelle sostanze una sorta di devastante anestetico alla sua vita apparentemente perfetta.
Il regista è cauto anche nel rappresentare le realtà di recupero, con i loro 12 passi, la loro intransigenza, il loro fardello religioso e valoriale. Da buon europeo van Groeningen non ci crede poi troppo, ma ne mostra il fallimento e ne racconta anche i motivi scientifici.
E’ qui che il film trova la sua ragion d’essere, molto più che nelle inquadrature delle pere in controluce di Chalamet, che anche al nadir della sua dipendenza non perde mai la sua bella faccetta e il ricciolo sbarazzino.
Peccato solo che la colonna sonora si incarichi di negare questo approccio intelligente e problematico al tema, sottolineando continuamente ogni momento drammatico, con un’insistenza che diventa persino fastidiosa quando il rock di Lennon, Young, Bowie, Nirvana, Sigur Ros lascia il posto ad un’improbabile sinfonia di Górecki.
Beautiful Boy si chiude senza una soluzione e senza una risposta alle molte domande che ha sollevato, lasciando a noi una risposta che forse non c’è o che è più complessa e soggettiva di quanto vogliamo ammettere, se è vero, come annuncia la didascalia di chiusura che la morte per overdose è ancora la principale causa di morte per tutti gli americani sotto i 50 anni.
Nonostante i molti difetti, il film merita una visione.
L’uscita italiana è prevista per il 14 febbraio 2019 con 01.