Fin dal primo episodio della seconda stagione, The Deuce riafferma la ‘Raison d’Etre’ di tutta la serie: la ragion d’essere è il porno. Eileen alias Candy, lasciata definitivamente alle spalle la vita da prostituta, è una regista emergente del settore. Non solo: la sua ambizione è coniugare pornografia e arte.
Idea assurda? Controproducente? Chi le sta intorno insiste nel dirle che lo spettatore medio di un film hard non nutre interesse nei dialoghi, nella trama o nella cura dei dettagli, convinzione ribadita anche dal suo produttore, che pure in ufficio ha appeso un poster di Jules et Jim di François Truffaut.
Eileen, però, ha compreso che in America tutto può divenire industria, tutto può essere fonte di soldi e di gloria. Se il sesso è l’oggetto al centro di un immenso mercato, in continua espansione, allora vi sarà pure una domanda sensibile alla sua offerta. Business is business. Eileen ha il demone imprenditoriale dentro di sé, meravigliosamente sacrilega nel suo intento di riscrivere una favola, Cappuccetto Rosso, a uso e consumo di un pubblico adulto. Il lavoro emancipa l’uomo, e in The Deuce emancipa soprattutto la donna.
The Deuce è una serie tosta, un romanzo verista sulla New York City di fine anni Settanta. Lo stile dei suoi ideatori, David Simon e George Pelecanos, non è variato dai tempi della pluripremiata The Wire, una delle creature seriali più innovative mai realizzate.
Siamo di fronte a un vero metodo di studio applicato a una specifica realtà sociale, che si potrebbe sintetizzare così: prendi una città (qui è la Grande Mela, là era Baltimora), tieni fermo il mirino su una specifica attività criminosa (la prostituzione o il traffico di droga) e intercetta i soggetti che ruotano attorno al filone principale del racconto, descrivendone minuziosamente le dinamiche peculiari, di gruppo, di settore, di categoria, e le interazioni reciproche. Il filone narrativo si snoda senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine della serie, senza fare uso di escamotage tragici, colpi di scena spettacolari o cliffhanger clamorosi tra una puntata e l’altra.
Ogni episodio, ma si potrebbe dire addirittura ogni sequenza, contiene, in potenza, lo sviluppo del tassello drammatico successivo. L’evidenza dei fatti, in The Wire o in The Deuce, è massima, sempre esposta allo sguardo. Nulla ci è tenuto nascosto, ben poco è lasciato alla nostra immaginazione. Osserviamo l’evoluzione di una città, di un luogo fisico o di una sfera sociale, spiegata nel suo concatenarsi di cause ed effetti. La trasformazione è veicolata da protagonisti mai completamente buoni o cattivi, impigliati nelle contraddizioni economiche, culturali e morali del mondo cui appartengono.
Nella seconda stagione di The Deuce i locali gestiti da Vincent Martino, infiltrati dalla mafia italo-americana, fanno soldi a palate. I clan si sfidano per il predominio nei traffici del quartiere e al minimo sgarro reagiscono con violenza, fino a bruciare i ‘salotti’ (leggi: bordelli) altrui. Le cabine dei peep-show, paradisi per sporcaccioni, perdono il vetro divisorio tra le ragazze e i clienti. Il punk e il reggae insidiano il primato della disco music e fanno inorridire i puristi del suono ‘classico’ delle piste da ballo. La comunità gay si afferma e si libera da ogni remora nell’esibire la propria capacità di insediamento sul territorio. La droga è ovunque. Le strade, luride, sono piene di papponi e di puttane.
Intanto, però, si diffonde un inedito movimento di volontari, promosso da ex prostitute convertitesi all’attivismo sociale. L’obiettivo è quello di sostenere le colleghe meno fortunate e, nel migliore dei casi, di affrancarle dallo schiavismo sessuale, restituendole alla vita. La polizia, ça van san dire, è talmente corrotta da risultare organicamente inserita nel sistema. Gli agenti, oliati da ricche mazzette e allietati dalla dolce compagnia di quelle stesse ragazze che dovrebbero proteggere dallo sfruttamento, organizzano false retate per dimostrare all’opinione pubblica che le forze dell’ordine svolgono il loro mestiere.
New York City è, alla lettera, una città straordinaria, basterebbe guardare The Deuce per capire come la metropoli delle mille luci abbia potuto, nel contempo, dare i natali a Donald Trump e rivestire il ruolo di baluardo del pensiero, e del voto, democratico-progressista.
A NYC è consentito rompere gli schemi. Il meglio e il peggio della cultura e dei valori americani, probabilmente, hanno origine qui. Eileen decide di girare alcune scene di Red Hot in esterno, senza permessi, e quando una pattuglia si avvicina per controllare, anziché bloccare le riprese, si ferma a guardare, affascinata dalle ‘performance’ degli attori. Ciononostante, il clima placido del porno è increspato dal vento del razzismo.
Nella permissiva NYC dei tardi Seventies, un nero che si candida ad attore protagonista di un film è ancora una stranezza (“Gli spettatori sono tutti bianchi e non vogliono vedere c***i neri”), e sul set per un’attrice nera non è semplice far valere i propri diritti e denunciare forme di discriminazione salariale. Le bianche, a prestazioni invariate, guadagnano di più… Eileen, donna intelligentissima, intuisce il potenziale dirompente di Larry Brown, un pappone nero, nella parte del lupo cattivo della favola. Ed è l’unica a comprendere che la donna, rappresentata da Lori, una cappuccetto rosso ammaliante e supersexy, può incanalare il desiderio assai meglio del suo partner maschile, per farne uno strumento di controllo, di dominazione, perfino di sovversione dei rapporti di potere tra i generi: il femminismo ricade sul porno, a testimonianza ulteriore della vocazione all’indagine sociologica di The Deuce.
La serie è attraversata da una sottile ironia che aiuta a smussare il suo spessore monumentale. Gli autori non ci risparmiano scene di nudo (e oltre), senza mai dimenticare il buon gusto. The Deuce 2, non diversamente dal primo capitolo, eccelle in raffinatezza. Ogni ambientazione è come dovrebbe essere e le ricostruzioni, di interni ed esterni, sono perfette. In The Deuce 2 c’è una sana ossessione per le minuzie. A differenza della prima stagione, la visione si allarga su altre realtà del sogno hard americano, dagli Oscar di categoria alle losche figure di manager e produttori rampanti, un allagamento anche geografico.
Lori, talento naturale, aspira ad una vita migliore a Los Angeles. Sono forti, e significativi su un piano tanto materiale quanto simbolico, i contrasti tra lo squallore dell’abitazione newyorkese di C.C., il suo magnaccia che, per invidia e gelosia, ne ostacola la scalata, e gli splendori californiani, gli hotel scintillanti, i lussi presagiti sotto orizzonti luminosi, all’ombra delle palme e della collina di Hollywood.
Vince Martino, incastrato dalla mafia, stufo di partecipare al gioco perverso della malavita, fugge per un giorno nel Vermont, un’incursione in un mondo sconosciuto, puro, e in definitiva irraggiungibile. Il fratello gemello, Frankie, rovinato dalle scommesse, costantemente in debito con la “famiglia”, è persuaso da Eileen ad investire una cifra, vinta a poker, nella produzione di Red Hot, ma la sua sconsideratezza è il tramite che conduce la mafia stessa nel cuore dell’industria del porno. NYC, protagonista assoluta di The Deuce 2, anche quando è fuori inquadratura, appare la città degli infiniti ascensori sociali, spinti verso l’alto o sprofondati in basso da interessi illeciti, trasversali, selvaggi, intrecciati con i desideri individuali in un abbraccio spesso soffocante.
Tra i pregi della serie spicca la squadra di attori, confermata in blocco dalla prima stagione. Sulla sponda femminile, Maggie Gyllenhaal / Eileen è strepitosa. Nei nuovi episodi è tematizzato con maggiore enfasi il rapporto con il figlio. Cosa succederà, si chiede la madre di Eileen, quando i suoi compagni di scuola cominceranno a fare delle domande e, soprattutto, a darsi delle risposte? La regista porno sperimenta un fragile equilibrio: spregiudicata sul lavoro, sicurissima dei propri mezzi artistici, è però consapevole, nell’ambito familiare, di esercitare un ruolo protettivo, benché a distanza.
L’allergia di Simon&Pelecanos all’espediente narrativo del flashback è un limite che non ci consente, almeno per il momento, di approfondire le motivazioni che hanno spinto una buona borghese sulla strada e poi sui set a luci rosse. Emily Meade / Lori, svincolatasi dalle sue iniziali ingenuità, vive sulla propria pelle la lacerazione tra essere e dover essere, tra un futuro roseo, quasi tangibile, di attrice celebrata, e un passato minaccioso in grado di risucchiarla al minimo tentennamento.
L’incantevole Margarita Levieva / Abby Parker, intellettuale discesa agli inferi, compagna sessualmente infedele (per mutuo accordo) di Vince, sensibilissima però nel condividerne gioie e dolori, incontra l’impegno sociale grazie a Jamie Neumann / Dorothy, rinata dalle ceneri della prostituzione e ora promotrice di attività di recupero delle malcapitate ragazze, azioni mal tollerate dalla pletora di protettori neri, pronti a difendere le prerogative dell’oppressore sull’oppresso. Dominique Fishback è Darlene, puttana circondata da un oceano di ignoranza, che, volenterosa e mai doma, persevera negli studi.
Sul fronte maschile, James Franco si impone, come al solito, più per fisicità e prestanza che per incisività espressiva. Il suo sforzo è comunque notevole, dovendo interpretare, ancora una volta, sia Vince che Frankie Martino, fratelli uniti e inconciliabili. Il bravissimo Lawrence Gilliard Jr / Chris Alston è il poliziotto, elevato al grado di ispettore, incaricato di indagare sugli omicidi nell’infernale deuce, un ruolo che, ci aspettiamo, possa lievitare nelle prossime stagioni e occupare più spazio nella trama.
Gary Carr è l’inquietante C.C., magnaccia aggressivo e vendicativo, sconfitto nel braccio di ferro con Lori, Gbenga Akinnagbe è Larry Brown, il lupo cattivo di Red Hot, arrivato per caso alla ribalta del porno e in procinto di lanciarsi in una insperata carriera di attore. Don Harvey è il poliziotto marcio Dan Flanagan, un viso che non si scorda, e Chris Bauer, altro magnifico caratterista, è il cognato di Vince e Frankie, gestore di ‘salotti’, laido e burbero al punto giusto.
L’ultimo episodio della seconda stagione mostra una degenerazione in corso, segnata da omicidi, faide, suicidi e sparizioni. Qualcosa a NYC sta cambiando, e in fretta. Nuovi piani di riqualificazione urbana promettono di ridisegnare i quartieri ‘infetti’. A fine settembre The Deuce è stata ufficialmente rinnovata per la season three. È un’ottima notizia per gli ammiratori di questa serie, che si merita il nostro bollino di qualità.
CONSIGLIATA A CHI: ha nella sua colonna sonora ideale Bangles, Patti Smith e Elvis Costello; cerca il lato nascosto nelle favole; ama l’improvvisazione in ogni forma artistica.
SCONSIGLIATA A CHI: non crede alla redenzione dei peccatori; si irrita quando gli si ricorda che gli italiani hanno esportato la mafia; associa ancora i peep-show al volto angelico di Nastassja Kinski.
PERCORSI DI LETTURE E VISIONI PARALLELE:
- La serie capostipite: The Wire (2002-2008);
- Uno dei libri più belli mai scritti su NYC: John Dos Passos, Manhattan Transfer, Baldini & Castoldi, 2014;
- Un film cult sull’industria del cinema a luci rosse: Boogie Nights di Paul Thomas Anderson (1997)
TITOLO ORIGINALE: The Deuce – la via del porno, seconda stagione
NUMERO DI EPISODI: 9
DURATA DEGLI EPISODI: un’ora circa ciascuno
DISTRIBUZIONE AMERICANA: HBO
DISTRIBUZIONE ITALIANA: Sky Atlantic
DATA DI USCITA IN ITALIA: 15 Ottobre 2018
UN’IMMAGINE PER RIASSUMERE THE DEUCE 2: Il volto di Lori che passa da un pianto a dirotto ad un riso di sollievo, alla notizia della morte di C.C. nell’ultimo episodio