La ragazza senza nome **
One evening, after closing her practice for the day, Jenny, a young doctor, hears the doorbell ring but doesn’t answer it. The next day, the police inform her that an unidentified young woman has been found dead close by.
Il nuovo film dei fratelli Dardenne, due Palme d’oro a Cannes, racconta l’indagine testarda e risoluta della dottoressa Jenny Davin, che in occasione delle sostituzione di un anziano medico di famiglia, appena andato in pensione, si trova a dover fare i conti con il senso di colpa per non aver risposto ad una chiamata, arrivata ben oltre l’orario dell’ambulatorio, da parte di una misteriosa donna, trovata morta l’indomani dalla polizia.
I filmati di sicurezza confermano che la giovane di colore aveva cercato aiuto, citofonando alla dottoressa Davin. Qualche minuto dopo il suo corpo giaceva senza vita su una banchina di cemento vicino al fiume.
La dottoressa Davin e’ un medico brillante e piano di umanita’ verso i suoi pazienti e verso il tirocinante che lavora con lei. Ha appena ottenuto un posto in una clinica privata, ma la sua vita viene sconvolta dalla morte della ragazza senza nome.
La polizia brancola nel vuoto e sembra poco interessata. Jenny decide allora si seguire le tracce che le arrivano dai suoi assistiti, si mette a fare domande scomode e si caccia inevitabilmente nei guai…
Il settimo film consecutivo che i Dardenne nel concorso ufficiale e’ certamente il loro meno riuscito. Pur utilizzando la consueta e ormai proverbiale e imitatissima strategia del pedinamento – dei personaggi e della realta’ – a differenza dello straziante Due giorni una notte o del necessario Il ragazzo con la bicicletta, questa volta i due registi belgi non riescono mai davvero a scaldare il cuore, ad emozionare, neppure a coinvolgere.
Qual e’ l’interrogativo morale al centro del film? Qual e’ la scelta decisiva che la protagonista e’ costretta a compiere?
La premessa drammatica dai cui prende avvio l’indagine della dottoressa Devin e’ troppo fragile, troppo inconsistente, stranamente forzata e implausibile, soprattutto per chi ha fatto della credibilita’ e del rigore realista un credo assoluto.
E cosi’ il film si trascina – proprio come l’inchiesta privata della protagonista – senza un vero perche’, per pura ipotesi di scuola.
Peraltro la soluzione del ‘giallo’ e’ cosi’ scontata che alla fine non si comprende davvero perche’ i Dardenne abbiano scelto questo soggetto, affrettandosi a tornare dietro la macchina da presa, e rompendo quella tradizione che dal 1996 li vedeva produrre un nuovo lungometraggio a tre anni di distanza da quello precedente.
Il viaggio verso al verita’ di Jenny Devin e’ un percorso, in fondo, privo di interesse, che rimane un’ossessione personale e non diventa mai segno necessario di cinema e di verita’.
I Dardenne, cosi’ come negli ultimi due film, lavorano ancora una volta con una giovane diva del cinema francese, questa volta Adele Haenel, dopo Cecile de France e Marion Cotillard.
Il risultato e’ assai meno interessante questa volta, ma verosimilmente non per colpa della giovanissima Haenel, che si trova a fare i conti con un personaggio senza motivazioni, incoerente, tutto scritto sulle pagine della sceneggiatura e poco in quelle della vita.
Se rimproveriamo giustamente ad Almodovar o Loach di rifare sempre se stessi, dobbiamo essere onesti fino in fondo e farlo anche con i venerati Dardenne, quando il risultato e’ anonimo e di maniera, come in La fille inconnue.
Un’occasione perduta.