Le belve – Savages

Le belve – Savages **1/2

Le belve, il nuovo film di Oliver Stone, tratto dal romanzo Savages di Don Winslow parrebbe una parentesi disimpegnata, su commissione, per un regista che ha sempre indagato il potere americano, quello politico, quello militare e quello economico.

Qui sembra spassarsela tra le spiagge californiane, raccontando la storia di un triangolo d’amore, quello tra i due spacciatori Ben e Chon e la bellissima O, rapita dai narcotrafficanti messicani, che vogliono una fetta del business dei due ragazzi, capaci di produrre la migliore erba della West Coast.

Eppure nell’utopia anarchica e libertaria alla base del romanzo di Winslow, c’è in fondo il rovesco della medaglia di tutto il cinema di Stone: lo sguardo laico sull’america latina ed i suoi traffici, l’antiproibizionismo, il rifiuto della guerra, un pacifismo nutrito di sogni di marjuana, la finanza come inganno e l’amore libero che viene diritto dalla Nouvelle Vague.

In Le belve si leggono in filigrana gli echi di una biografia presente in quasi tutti i suoi film: giovane di buona famiglia, padre broker e madre francese, volontario nel Vietnam, reduce tormentato e pacifista, studente di cinema della New York University, col mito del Che e del bolivarismo populista sudamericano.

E allora, pur in forme che sembrano riecheggiare tarantinismi pop degli anni ’90 – ma Natural Born Killers e U-turn erano già pulp al quadrato quasi vent’anni fa – questo Le belve si può leggere come un episodio transitorio in una carriera con ben altri esiti, ma anche come una sorta di sommario di temi ed ossessioni a beneficio dello spettatore più distratto.

Il film è narrato da O, in prima persona. Parte dalla fine ed ammonisce: anche se sono io a raccontare non è detto che sia viva alla fine della storia.

O è una ragazza di buona famiglia, la madre assente non si accorge che gli amori della sua vita sono due professionisti della marjuana: Ben e Chon.

Sono lo yin e lo yang dello spaccio: Ben è buddista, laureato in economia e botanica, pacifista. Chon è un reduce dell’Afghanistan, da dove ha importato i semi delle piante migliori che ci siano.

Insieme formano una coppia inseparabile, che diventa trio con la bellissima O.

Sulle loro piste c’è Elena, una dei capi del cartello della Baja California, il cui potere è messo in discussione dall’avvento di un concorrente, Azul, che aspira alla rispettabilità ed alle coperture di una carica politica.

Per rimettersi in sesto, Elena, attraverso il suo braccio destro in terra americana, Lado, vuole convincere Ben e Chon a condividere il loro prodotto.

Ai due non interessa mettersi in società: ma non si può dire di no a Elena, che fa rapire O e la tiene segregata fino a quando i due non avranno accettato l’accordo.

A complicare le cose arriva anche l’agente dell’FBI, Denis, poliziotto corrotto che protegge sia Lado, sia Ben e Chon: la guerra tra i due gruppi lo prenderà alla sprovvista.

Il film mette in scena agguati e tradimenti, fino al redde rationem finale, che ha due diversi epiloghi: come in Funny Games di Haneke la pellicola si riavvolge su se stessa e ricomincia un’altra volta. Nei sogni al tramonto della California tutto può succedere.</p>

Ben e Chon sono due volti del nuovo cinema americano, Taylor Kitch (John Carter) e Aaron Johnson (Kick Ass). O è la morbida e sensuale diva di Gossip Girl, Blake Lively, ma le vere sorprese sono nel cast dei comprimari: a partire dal poliziotto corrotto interpretato da John Travolta, sempre sopra le righe, passando dalla spietata Elena di Salma Hayek, al Lado di un imbolsito e goffo Benicio Del Toro.

Non mancano violenza, torture e teste mozzate, in questo film in cui Stone dimentica per un attimo il suo moralismo d’attacco, per lasciarsi andare ad un sogno hippy, così vicino ai suoi degli anni ’60.

Non a caso è una cover di Here comes the sun dei Beatles che chiude il film.

Ma anche qui Stone non dimentica di parlare chiaro sulle contraddizioni della sua America. Nella scena più significativa del film i figli della ricca borghesia e quelli della criminalità messicana si incrociano sulle scale mobili di un grande centro commerciale: i loro desideri ed il loro orizzonte in fondo sono gli stessi, entrambi corrotti da un’idea del mondo in cui sono solo i soldi a contare davvero. Non importa più come siano stati guadagnati.

Per nostalgici del flower power.

 

2 pensieri riguardo “Le belve – Savages”

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