Transformers 3

Transformers 3 *

La nostra recensione di Transformers – La vendetta del caduto è stata una delle prime pubblicate su Stanze di Cinema ed è ancora oggi una delle più consultate.

Rileggendola a due anni di distanza, in occasione dell’uscita del terzo episodio della saga dei robot della Hasbro, verrebbe voglia di riportarla quasi interamente. I difetti di allora sono esattamente quelli di oggi.

Parlavamo di trama inconsistente, di uso spregiudicato delle curve femminili e della ferraglia dei Transformers, di luddismo culturale e indiscreto fascino della distruzione.

In questo terzo episodio cambia una sola cosa. La protagonista femminile. Al posto della travolgente Megan Fox, la burrosa Rosie Huntington-Whiteley, che infligge il colpo di grazia ad ogni credibilità, dopo soli 5 minuti di film, quando entra in scena con un primissimo piano insistito del suo fondoschiena: cosa pensi Michael Bay delle sue attrici è chiaro.

La sua visione dell’universo femminile è quella di un quindicenne in preda ad una profonda tempesta ormonale. Per di più la protagonista è costretta ad attraversare l’assedio finale con giacca bianca e tacchi a spillo, per uscirne solo un po’ arruffata dopo un’ora di esplosioni, salvataggi, corse a piedi e in auto.

Donne e motori in questo ennesimo superfluo Transformers, che si apre con un prologo al sonnifero negli anni ’60 della conquista della luna e poi riparte nel presente, dalle curve di Carly, la nuova fidanzata di Whitwicky, l’eroe sfigato dei primi due episodi, capace di salvare il mondo, ma ancora senza lavoro, nonostante una medaglia ricevuta dal presidente Obama e l’incontro fatale alla Casa Bianca con la nuova fiamma biondissima, che pure alle otto di mattina sembra uscita da una sfilata di Calvin Klein.

La trama è ben poca cosa, sorta di continuo auto-remake, non c’è grande sviluppo narrativo, solo una serie di eventi che si susseguono sino alla lunghissima battaglia finale a Chicago, con Deception cattivi e Autobot buoni a scontrarsi ancora una volta sul suolo terrestre per rinverdire i fasti dell’estinto pianeta di Megatron.

I militari buoni, questa volta guidati da un’imbarazzata Frances McDormand e da un sempre scintillante John Turturro, si uniranno a Sam, per salvare Carly e la terra (americana, naturalmente). Un’altra volta?

Sì, un’altra volta.

Chicago verrà completamente rasa al suolo, assieme a Washington, ma che importa…

Michael Bay qui raggiunge il livello zero del suo cinema sconclusionato, fascista, xenofobo e adolescenziale.

Ma non tutte è da buttare. Gli innamorati del suo cinema, parlano di cinema futurista, di avanguardia del cinema-cinema, di spettacolo astratto e assoluto di forme e corpi. Di velocità, forza, stupore.

Il 3D limita il suo montaggio subliminale, in favore di riprese più ampie con uso insistito del rallenty: questo naturalmente aiuta nella grandi scene di scontro e rende molto più efficaci le trasformazioni.

Un pugno di sequenze, certamente, tolgono il fiato, ma bastano a giustificare 2 ore e mezza troppo piene e contemporaneamente desolatamente vuote?

Per alcuni sì. Certamente per il pubblico che sembra divertirsi ancora con le avventure di Sam e delle sue improbabili fidanzate.

Sembra però che la sua epopea sia giunta alla fine. Shia LaBeouf ha dichiarato che non farà un quarto episodio.

Bay invece, dopo aver girato indubbiamente il suo “capolavoro” con il primo episodio, sembra aver sperperato il capitale improvvisamente guadagnato.

L’avanguardia del cinema d’azione è davvero questa? O non è forse quella di Michael Mann? Di James Cameron se volete, al limite di Nolan?

La produzione esecutiva di Steven Spielberg è solo una firma senza contenuti e si stenta a comprendere il motivo di una collaborazione, che sconfessa 40 anni di cinema democratico, inclusivo, anche intelligentemente pedagogico.

Durante il modesto Transformers 3 per di più si rischia anche di addormentarsi. E’ un continuo deja vu, un po’ come le battaglie del Signore degli Anelli: infinite, confuse e sempre uguali a se stesse.

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