Revanche ***
Revanche dell’austriaco Goetz Spielmann, candidato all’Oscar l’anno scorso, è una riflessione originalissima sulla vendetta, sul rifiuto della violenza, sul trauma indotto dalla morte traumatica ed involontaria di un altro essere umano.
Uscito nel 2008, raggiunge le sale italiane solo ora, grazie alla Fandango che ne ha coraggiosamente acquistato i diritti.
Siamo a Vienna, dove Alex è l’autista tuttofare di un losco trafficante, che si è arricchito gestendo un bordello ed un giro di prostituzione con ragazze dell’est. Tamara è una delle ragazze, costretta a umilianti performance notturne e prigioniera di un albergo-carcere di giorno.
Tamara è però l’amante di Alex, che l’aiuta a sopportare il fardello, la difende quando i clienti se ne approfittano e sogna di scappare insieme a lei, con i soldi facili di una rapina ad una banca fuori città.
Il colpo è apparentemente semplice, la via di fuga assicurata e i rischi ridotti a zero, grazie ad una pistola scarica.
Alex riesce a far fuggire Tamara dall’albergo in cui vive e la porta con sè.
Non tutto va come dovrebbe, parte un colpo di pistola e tutto precipita in tragedia.
Contemporaneamente un poliziotto di provincia e sua moglie non riescono ad avere un figlio. Lui si esercita al poligono e corre nei boschi per tenersi in forma. Fino a che un giorno, nella tranquilla cittadina…
La storia avrà sviluppi imprevedibili, sofferenze e dolore non risparmieranno nessuno per sciogliersi nel più inatteso dei finali.
Alex è un personaggio che sarebbe piaciuto a Eastwood: un perdente, silenzioso, rude, ma – come gli dice il suo capo – troppo buono per essere veramente un duro.
Il film si regge su un equilibrio sottile, fatto di piani fissi, dialoghi ridotti al minimo, perchè prevale la complicità, l’attesa, il silenzio della natura che avvolge i protagonisti e sembra assistere attonita alla loro angoscia.
L’Austria non è solo la falsa coscienza di Haneke o la crudeltà di Seidl: qui non mancano violenza e durezze, ma Spielmann traccia traiettorie inconsuente, ha la forza di chiudere in levare, scavando nei personaggi, nel loro dolore, nei loro sentimenti, fino a rendere impossibile ed inutile, la vendetta del titolo.
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