Il primo impatto con la Mostra del 2009 è inevitabilmente legato al cantiere imponente del nuovo Palazzo del Cinema, che ha reso meno lineare l’accesso alle sale ed ai luoghi del festival.
La nuova sala Perla 2 si erge come un cubo bianco davanti al Casinò e tutte le strutture sono state rimodellate con una imponente scenografia rossa.
La passerella e la vecchia Sala Grande sono state stravolte da una nuova scenografia, che ha portato nuovamente alla luce, parte della facciata originaria del Palazzo del Cinema, voluto dal Conte Volpi.
BAARIA **
Dopo molti anni, è toccato nuovamente ad un film italiano l’onore di inaugurare la Mostra.
Sulle spalle larghe di Tornatore (e della Medusa) ricadeva anche la responsabilità di non deludere l’attesa, con il film italiano più costoso della storia recente.
Eppure Baarìa non ha convinto del tutto.
La ricchezza produttiva e lo stile magniloquente di Tornatore accompagnano lo spettatore attraverso quasi sessant’anni di storia di una piccola famiglia contadina del paesino alle porte di Palermo.
Il protagonista, Peppino Torrenuova, bambino sovversivo ai tempi del fascismo, giovane comunista dopo la Liberazione, vive con coscienza politica tutti gli anni della ricostruzione, delle lotte contadine, della speculazione edilizia e delle rivolte studentesche, sino ai cupi anni ottanta, annunciati dalle locandine de I tre fratelli di Rosi.
E’ un percorso limpido il suo, senza sbandamenti e conversioni, il riformismo dal volto umano nella Sicilia in cui mafia, podestà, latifondo e democrazia cristiana hanno sempre avuto la medesima faccia.
Nel film, che comincia faticosamente con un montaggio alternato di due bambini, che corrono lungo le strade del paese, i momenti felici si alternano ad altri, risolti troppo sbrigativamente.
La sceneggiatura non riesce a sostenere con convinzione una serie infinita di camei, sottotrame, personaggi secondari, che appesantiscono la storia, senza aggiungere nulla, se non la simpatia di uno sketch ed il piacere di ritrovare un volto noto, seppur per pochi secondi sullo schermo.
Sembra quasi che Tornatore si sia trovato nella difficile posizione di dover inserire tutto, accorciando ogni scena, senza aver la possibilità di allungare la durata del film, oltre le canoniche due ore e mezza.
Baarìa scorre, così, sin troppo veloce e finisce per bruciare molti dei suoi momenti forti – l’assalto al palazzo del Podestà, dopo lo sbarco americano, l’attacco dei mafiosi ai contadini, arrivati a Corleone, per prendersi la terra o la scena in cui, dall’altopiano, Peppino indica al giornalista Raul Bova i luoghi dove sindacalisti e i politici locali sono stati uccisi, quasi a disegnare una mappa del terrore e del disonore.
Il tentativo di ricompensare tutti gli attori, che gentilmente si sono prestati a fare da coro, alle vicende di Peppino, ha portato ad una frammentazione della storia, che nuoce alla sua carica emotiva, inutilmente appesantita da una colonna sonora, che Morricone pateva risparmiarsi(ci) e che Tornatore avrebbe potuto almeno utilizzare con più parsimonia, senza stenderla retoricamente, come una coperta di Linus, su tutto il film: quasi che si fidasse poco della tenuta drammatica della storia ed avesse bisogno di sottolineare continuamente, con abusati strumenti extradiegetici, i momenti “forti”.
Dei due protagonisti, Francesco Scianna incarna Peppino adulto con sguardo semplice ed animo puro, ma senza particolari meriti, mentre Margaret Madè, nella parte di sua moglie, ha due occhi molto espressivi e null’altro.
Su tutti, Lina Sastri in un doppio ruolo di madre coraggio e Michele Placido, comiziante comunista bisognoso d’acqua.
Forse è un’occasione persa, ma certo fa piacere che il cinema italiano, tanto spesso derelitto, trovi la forza produttiva ed il gusto della sfida per un racconto grande, ambizioso ed in fondo anche politico, come quello di Baarìa.
Speriamo ora che trovi un suo pubblico, nelle sale italiane ed in quelle straniere, sempre pronte ad accogliere con favore gli affreschi dell’Italia che fu.
REC 2 **1/2
Il sequel del fortunato film di Balaguerò e Plaza comincia esattamente dove finiva il primo episodio, aggiungendo spessore e significati all’opera originale.
Questo secondo esito si pone come il capitolo centrale di una ideale trilogia, nella quale alla scoperta del palazzo contagiato dalla bambina posseduta dal demonio, segue il tentativo di un esorcista di trovare l’antidoto, attraverso il sangue della contagiata ed un prossimo episodio, annunciato dal finale aperto di questo Rec 2, nel quale il demone ha assunto le forme apparentemente innocenti della giornalista del primo film.
I due registi mettono in scena un campionario dell’horror nella casa stregata e dello splatter più moderno, con un occhio ai classici del genere, ma con una modernità di racconto, mediata dall’utilizzo di macchine da presa digitali, detenute da molti dei protagonisti, che testimoniano in questo modo lo svolgersi degli eventi, quasi che si trattasse di materiale ritrovato successivamente ai fatti e montato alla meglio.
Il meccanismo narrativo non è nuovo, da Cannibal Holocaust a The blair witch project è stato utilizzato più volte, ma nel racconto di Balaguerò e Plaza è efficace e ben condotto.
Il film ha aperto la notevole selezione horror della Mostra 2009, nel migliore dei modi, con uno spirito ferocemente politically uncorrect: si uccidono donne e bambini con fucilate alla testa, il Vaticano sperimenta segretamente vaccini contro il demonio, testandoli su cavie inconsapevoli ed il più ottuso sembra essere proprio il prete esorcista.
Perfetto per un sabato sera da brividi: consigliato il ripasso del primo episodio.
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