Cannes 2024. Grand Tour

Grand Tour **1/2

Rangoon, Birmania 4 gennaio 2018. Edward Abbott, un funzionario dell’Impero britannico, fugge senza metà, non appena viene a sapere che la fidanzata Molly, che non vede da sette anni, sta per raggiungerlo per convincerlo a sposarsi.

A Singapore al Ruffles Hotel incrocia il cugino di Molly, Reginald Singleton, poi prende un treno per Bangkok, che deraglia nella giungla. E’ costretto a proseguire a piedi in un villaggio di persone silenziose, grazie alla guida di Umar. Rincorso dalla  moglie che gli continua a spedire telegrammi, che lo spingono a proseguire oltre, Edward arriva a Saigon e poi si sposta a Manila: vive nelle notti e dorme di giorno, fino a raggiungere Osaka, perdendosi tra i fumatori di oppio.

Il viaggio ricomincia da capo, questa volta dalla prospettiva di Molly, al seguito di quella che un altro viaggiatore chiama disgrazia umana. Preda di svenimenti, viene soccorsa da Timothy Sanders un allevatore americano che la conduce nella sua grande villa a Bangkok per un periodo di riposo e che vorrebbe sposarla.

Con la fidata Ngoc proseguirà oltre e grazie all’indicazione di una cartomante, deciderà di proseguire in Cina…

Il film di Miguel Gomes è il consueto pastiche visivo tra passato e presente. Se la storia di Edward e Molly è girata in studio fra Lisbona e Roma ed è in costume, le riprese in esterni, nei luoghi del Grand Tour asiatico sono state fatte nel 2020, senza nascondere la modernità relativa del contesto. Il film si apre con le immagini a colori di una ruota panoramica e diventa subito in bianco e nero, ma l’impressione di realismo è subito rotta da questa strano ibrido in cui fanno capolino i cellulari e i motorini in una racconto ambientato un secolo fa.

Miguel Gomes ha tratto ispirazioni da un paio di pagine del romanzo The Gentleman in the Parlour di Somerset Maugham, che raccontavano appunto dell’incontro con un inglese di stanza a Burma, che fuggiva dalla sua fidanzata, prima di capitolare in un felice matrimonio: la testardaggine della donna vinceva la codardia dell’uomo.

Come nelle commedie americane degli anni Trenta e Quaranta, la donna è la cacciatrice e l’uomo la preda. Ma i due personaggi sono separati nello spazio e nel tempo ed il passaggio dalla prospettiva di Edward a quella di Molly trasforma quella che appariva una commedia in un dramma d’amore maledetto.

Nelle intenzioni di Gomes il suo lavoro doveva rappresentare un tentativo di sintetizzare elementi diversi: paesi, generi, tempi, realtà e immaginario, mondo e cinema.

Solo che il suo film, tutto schiacciato sui personaggi e nella bidimensionalità dei set ricostruiti in studio, non sembra dirci nulla di nuovo di quanto non avessimo già imparato dal suo Tabu e molto meno del formidabile racconto delle sue Arabian Nights.

Crista Alfaiate è una Molly deliziosa, un personaggio che sembra uscito da una screwball di Hawks, meno centrato Gonçalo Waddington nei panni di Edward, più sfuggente e meno presente sullo schermo nel suo segmento.

In definitiva si tratta di un film di transizione, che conferma il talento del regista portoghese, ma anche un principio di maniera, dopo un silenzio lungo quasi dieci anni.

Nonostante i suoi personaggi siano in continuo movimento il suo cinema è invece sostanzialmente fermo.

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