La caduta della Casa Usher: una serie horror che danza al ritmo della prosa di Poe

La caduta della Casa Usher ***1/2

La famiglia Usher è alla guida della casa farmaceutica Fortunato, celebre per aver brevettato un antidolorifico, il ligodone, tra i più diffusi al mondo. Un farmaco che, secondo le accuse formulate dal procuratore C. A. Dupin (Carl Lumbly) crea dipendenze ed è responsabile della morte di milioni di persone in tutto il mondo. Proprio da queste accuse Roderick (Bruce Greenwood) e Madeline Usher (Mary McDonnell) si devono difendere in un processo che si preannuncia come particolarmente difficile per il sospetto lanciato dal procuratore che ci sia un informatore segreto all’interno della famiglia. La notizia, che poi si dimostrerà falsa, è una miccia che scatena veleni, sospetti e rancori, che peraltro da sempre sono state le armi utilizzate proprio da Roderick per tenere in pugno la famiglia e il consiglio di amministrazione dell’azienda. La situazione precipita quando misteriosamente i sei figli di Roderick iniziano a morire in modi terribili. Il primo è Prospero (Sauriyan Sapkota), il minore, che finisce letteralmente sciolto dall’acido mentre organizza un’orgiastica festa privata nell’episodio La maschera della morte rossa, peraltro coinvolgendo anche la moglie del fratello, Morrie (Crystal Balint) che invece riesce a sopravvivere pur riportando gravissime ustioni su tutto il corpo. Ma è solo l’inizio perché nelle settimane successive tutti i figli di Roderick subiranno la stessa sorte, seppur in modalità molto diverse gli uni dagli altri…

A Mike Flanagan non fa difetto il coraggio. Realizzare una serie Tv così ricca di riferimenti letterari alle opere di Edgar Alla Poe non era da tutti. Gli va reso onore perché non solo ha messo in gioco, con successo, la sua reputazione di narratore di storie gotiche (Hill House, The Haunting of Bly Manor, Midnight Mass), ma anche perché ha realizzato un’opera equilibrata, che può essere letta a diversi livelli, garantendo agli amanti della scrittura di Poe godimenti sconosciuti agli altri spettatori. Un valore aggiunto che permette allo sguardo colto di compiacersi nel riconoscere i riferimenti agli animali infernali presenti nelle storie di Poe; ai titoli dei racconti e dei romanzi, ripresi nei singoli episodi; ai versi delle poesie, che sono sparsi qua e là lungo la narrazione e in particolare concentrati nel finale; ai nomi dei protagonisti, tutti riconducibili alle opere del maestro di Boston. C’è poi il clima di Poe, fatiscente e mefitico, permeato da un male selvaggio e primordiale che l’uomo non riesce a contenere e tanto meno a fermare. La decomposizione è non solo del singolo, ma della società nel suo complesso e finisce per avvolgere anche i pochi retti (Lenore, Annabelle, Dupin) che pagano, direttamente o indirettamente, per le colpe altrui.

A questa sensibilità, legata non solo a Poe, ma che potremmo definire di natura letteraria decadente, si aggiunge un senso della giustizia arcaico, per così dire biblico, intendendo il termine nell’accezione veterotestamentaria. C’è poca misericordia, c’è poca speranza per il peccatore che può solo sprofondare sempre di più, senza alcuna prospettiva di redenzione. A nulla valgono gli appelli delle persone vicine, dei giusti: il male, una volta scelto, chiama altro male, senza possibili vie di fuga. Non resta che assistere alla punizione, inesorabile, a cui assistiamo con un senso estetico tutto contemporaneo per la sovra esposizione, per l’accumulo visivo, per l’estremo. Ecco quindi che le morti di ciascuno degli Usher rappresentano punizioni esemplari che lo spettatore attende per curiosità, per piacere estetico, per senso dell’ineluttabile.

Nella violenza esibita troviamo la sublimazione del nostro bisogno di emozioni, nell’affondo dei vetri rotti o degli artigli del gatto nella carne delle vittime, ciascuno si sente ricompensato della banalità quotidiana della propria esistenza, di quanto non provato, per mancanza di mezzi o di coraggio. Il loro appare come un sacrificio catartico senza catarsi, perché privo di emozione. A nessuno dei figli di Roderick lo spettatore riesce ad affezionarsi: proprio per il loro carattere volutamente eccentrico e sopra le righe, essi appaiono refrattari ad ogni forma di negoziazione. E’ arduo provare empatia, affetto o complicità per queste vite: nelle loro morti c’è solo un crescendo di orrore. E’ del resto lo stesso meccanismo del ligodone, l’antidolorifico prodotto dalla Fortunato: il piacere finisce per essere inibito dall’uso frequente e quindi bisogna aumentare la dose, salire di livello, nel consumo di droga come nello stordimento dato dalla violenza. E’ questo il meccanismo del capitalismo, contro cui si scaglia l’invettiva finale di Madeline: “Questi cazzo di mostri, questi cazzo di consumatori, queste cazzo di bocche …” e che viene spiegato nelle sue dinamiche con l’analisi di come far fruttare i limoni data da Roderick a Dupin. Il capitalismo nella sua accezione più consumistica è lo sfondo naturale che permette al male di evolversi e a Roderick di compiere e giustificare azioni terribili che portano alla scena madre dell’ultimo episodio, in cui i cadaveri dei morti a causa del consumo di ligodone piovono dal cielo, sotto lo sguardo impassibile di Roderick. Una scena che peraltro, consentitemi una divagazione sociologica, è uno specchio dei tempi: fino a qualche anno fa non sarebbe mai stata possibile per i richiami troppo forti e drammatici alla tragedia delle Torri Gemelle. Certo sono passati oltre 20 anni, un tempo relativamente breve, ma sono stati vent’anni densi di fatti e di emergenze e proprio per questo oggi possiamo vedere senza troppo scomporci sullo schermo quello che fino a poco fa sarebbe stato irrappresentabile.

Il riferimento al comportamento immorale delle case farmaceutiche è di grande attualità, così come la parità di genere e la difficoltà della giustizia (anche banalmente quella fiscale) nel raggiungere i grandi capitalisti, ma va detto che secondo alcuni critici proprio questo taglio ha tolto un po’ di fascino e di atmosfera alla narrazione. Certo anche Hill House era ambientata nel mondo contemporaneo, ma in quel racconto la vecchia dimora di campagna svolgeva un ruolo fondamentale, soprattutto nelle parti horror. Ancora di più in Bly Manor. Qui invece la vecchia casa degli Usher è lo sfondo per la lunga chiacchierata/confessione di Roderick e dobbiamo attendere l’ultimo episodio perché diventi un luogo e non solo uno spazio.

Dal punto di vista estetico la serie presenta il marchio di fabbrica di Flanagan che si è ormai imposto come autore horror di primissimo piano, competenza peraltro certificata dal nuovo e ricco contratto sottoscritto con Amazon Prime Video per la realizzazione di una serie Tv tratta dai romanzi di Stephen King del ciclo “La torre nera”. Le opere di Flanagan presentano valori estetici significativi sia dal punto di vista della fotografia, che qui vediamo accompagnare con colori desaturati gran parte della narrazione, che da quelli della regia, elegante e mobile. Ad ogni figlio corrisponde un colore dominante che trova la propria ouverture nel finale del rispettivo episodio, nel momento della sua morte, con un incremento della saturazione che porta l’intera immagine ad essere filtrata dal colore dominante: il blu per Frederick, il verde per Tamerlane, l’arancione per Victorine … una scelta non casuale, che rimanda ad un celebre racconto di Poe, La maschera della morte rossa, in cui il principe Prospero (lo stesso nome del figlio minore di Roderick) fa predisporre per i suoi ospiti sette diverse stanze con altrettanti diversi colori alle finestre: blu, viola, verde, arancione, bianco, violetto e rosso. Il sette peraltro è un numero caro alla simbologia e ripreso da Flanagan anche in Hill House: rappresenta la totalità, il compimento. Anche in questa serie, è un compimento del piano del destino che passa dalla morte e dal dolore.

Un altro segno distintivo di Flanagan è la comparsa nelle inquadrature, spesso di sfuggita e in modo ‘sporco’, di figure in grado di creare potenzialmente dei jump scares allo spettatore: rispetto ad altre serie questo effetto è depotenziato perché ben presto ci accorgiamo del fatto che le presenze che tormentano Roderick si limitano ad essere brutte e fastidiose, ma a parte quello non recano danni particolari. Sono in qualche modo anestetizzate e quindi il loro effetto horror risulta depotenziato.

Tutti gli attori principali, tranne l’ottimo Mark Hamill (Arthur Pym) e Mary McDonnell, fanno parte del mondo di Flanagan: Carla Cugino (Verna) vera musa ispiratrice del regista, ma anche Bruce Greenwood (Roderick), Kate Siegel (Camille), Kyliegh Curran (Lenore), Henry Thomas (Frederick), N’Tia Miller (Victorine), Samantha Sloyan (Tamerlane) sono presenze ricorrenti nelle sue opere. La loro alchimia si percepisce e contribuisce in modo determinante alla compattezza della narrazione. E’ forse un limite non aver spinto maggiormente proprio sulla coralità: il valore aggiunto di Hill House infatti era l’intreccio dei racconti che invece qui si perde; ciascuno fa storia a sé e i momenti condivisi servono per lo sviluppo della trama, ma non danno approfondimenti sui singoli e non li mettono in una relazione profonda, ma sempre e solo superficiale. Anche per questo proviamo poca empatia per i caratteri, non riusciamo a parteggiare per qualcuno nello specifico e anche i più buoni, come Lenore, finiscono per apparire un po’ scialbi.

Complessivamente ci troviamo di fronte ad una serie horror di tutto rispetto che conferma le notevoli qualità di Flanagan e di tutta la sua squadra, attori e tecnici. La sua eleganza e l’intelligenza con cui rielabora le opere letterarie è unica nel panorama contemporaneo; detto questo non riteniamo, come altri critici, che questa serie sia il suo capolavoro.

Se cercate una serie per Halloween, fermatevi a cena dagli Usher.

TITOLO ORIGINALE: The Fall of the House of Usher

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 60 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI: 8

DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix

GENERE: Drama Horror Mystery

CONSIGLIATO: imperdibile per gli amanti delle opere di Poe.

SCONSIGLIATO: a quanti cercano una storia horror piena di paura e di suspense: si capisce da subito lo sviluppo e l’esito del racconto. Il piacere sta piuttosto nel come più che nel cosa.

VISIONI PARALLELE: il tema della dipendenza da farmaci e delle truffe delle case farmaceutiche è al centro di diverse produzioni, a testimonianza di quanto sia attuale, specie negli Stati Uniti, dove il fenomeno ha assunto dimensioni impressionanti. Tra le altre segnaliamo Dopesick, una miniserie Disney Plus del 2021 ispirata al bestseller della giornalista investigativa Beth Macy e basata sulla storia della Purdue Pharma e sulla produzione e commercializzazione di un antidolorifico, l’Oxycotin, presentato come un farmaco senza alcun effetto di dipendenza.

Per quanti vogliono approfondire invece le opere di Mike Flanagan, il catalogo Netflix offre diverse produzioni, sia come film (Gerald’s Game) sia come miniserie, tra cui segnaliamo Hill House, dieci episodi del 2018, ispirata alle opere di Shirley Jackson e The Haunting of Bly Manor, nove episodi del 2020, ispirato alle opere di Henry James. La dimensione umanistica e letteraria è sempre presente nelle serie di Flanagan che non appare tanto un maestro della paura o dei brividi, quanto un indagatore dell’animo umano, nei suoi recessi più bui e nascosti.

UN’IMMAGINE: ci sono diverse figure iconiche, su tutte il corvo nero che ci accompagna lungo il racconto, anche questo un rimando all’omonima poesia di Poe del 1845.Tra le sequenze che rimarranno nella memoria certamente la caduta di corpi dalla torre della Fortunato e il mattone su cui Madeleine scriverà sei così piccolo, costringendo il CEO della Fortunato che li ha sfruttati ed umiliati a leggerlo, murato vivo, fino alla consunzione della candela che sola resta ad illuminare le ultime ore della sua vita.

3 pensieri riguardo “La caduta della Casa Usher: una serie horror che danza al ritmo della prosa di Poe”

  1. Esco dal contesto per chiedervi invece di C’è ancora Domani di e con Paola Cortellesi.Ho cercato una vostra recensione ma non c’e.Sono sempre interessato al vostro punto di vista.Un saluto.

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