I segugi: sontuosi combattimenti in una Seul stremata dalla pandemia

I segugi **1/2

I segugi è ambientato in una Seul alle prese con l’epidemia di Covid che ha avuto drammatiche conseguenze non solo sulla salute delle persone, ma anche sull’economia: i ripetuti lockdown infatti hanno messo in difficoltà finanziaria molte famiglie e costretto numerose attività commerciali ad indebitarsi pur di andare avanti. E’ proprio quello che è successo al piccolo bar/ristorante gestito dalla mamma di Kim Geon-woo (Woo do-hwan), un ragazzo pacato e determinato, che si dedica anima e corpo al pugilato. Sul ring Geon-woo ha stretto amicizia con un giovane estroverso, come lui un ex-marine,  Hong Woo-jin (Lee Sang-yi): i due ragazzi cercano di aiutare la madre di Geon-woo, sfidando con determinazione “i segugi”, cioè gli esattori dei crediti degli strozzini che hanno minacciato la donna. Un compito arduo: gli usurai hanno mezzi economici e forze di soverchiante superiorità. Per fortuna Geon-woo e Woo-jin trovano l’aiuto di un uomo ricchissimo che si è pentito del proprio passato da strozzino e che ora presta soldi senza interessi a quanti necessitano di cure mediche o sono in momentanea difficoltà economica. Il signor Choi (Joon-ho Huh) è costretto a muoversi su di una sedia a rotelle: la sua priorità, oltre come detto alla possibilità di aiutare chi è in difficoltà, è  proteggere Hyeon-joo (Kim Sae-ron) che ha accolto quando era una bambina orfana come fosse sua nipote. Geon-woo, Woo-jin e Hyeon-joo creano un legame molto forte, diventando una piccola famiglia. Per ottenere il successo sarà però necessario sconfiggere il mefistofelico Kim Myung-gil (Park Sung-woong) e dimostrare la corruzione della sua società, la Smile Capital, disposta a tutto pur di finanziare la costruzione di un grande albergo con annesso casinò. Del resto, cosa può giovare al lavoro di uno strozzino meglio di un grande casinò?

Il tema dei debiti come causa scatenante del racconto era già al centro dell’ormai iconico Squid Game, ma nei primi episodi viene trattato con una certa cura, lasciando nello spettatore la sensazione che possa rappresentare qualcosa di più di uno sfondo narrativo.  In realtà il prosieguo del racconto lascia poco spazio alla descrizione sociale. Lo stesso dicasi per il Covid, che appare qualcosa di lontano e poco significativo, riducendosi di fatto ad un’ostentazione fine a se stessa dell’uso delle mascherine. E’ comunque innegabile che le difficoltà sociali siano al centro del racconto e abbiano uno spazio adeguato per apparire più di un mero  stratagemma narrativo, soprattutto nei primi tre episodi che hanno il passo del dramma sociale. Di certo viene a delinearsi una società spaccata in due tra chi può tutto e chi non ha (quasi) niente, tra tradizione e spirito liberista, tra rispetto delle regole e corruzione. Uscire dal sistema vuol dire morire e, quando i protagonisti vengono spinti ai margini, sono disposti a tutto pur di sopravvivere. E’ questo istinto di sopravvivenza a costringerli ad un riposizionamento morale: è necessario che i due pugili diventino essi stessi segugi per riuscire a sconfiggere la gang di Myung. Solo la nipote del signor Choi, che lascia la scena per andarsene a Roma prima dell’escalation finale, resta in qualche misura ai margini del progressivo espandersi dell’ombra che inghiotte tuti i protagonisti. Va detto peraltro che questa scelta narrativa, piuttosto debole, dipende dal fatto che l’attrice che interpreta Hyeon-joo, Kim Sae-ron (A Man from Nowhere), accusata di aver causato un incidente d’auto a Seul per guida in stato d’ebbrezza, è stata allontanata dalla produzione durante le riprese.  L’approdo ‘al lato oscuro’ dei due pugili presenta sfumature molto diverse dal ghigno diabolico di  Myung-gil, ma è innegabile che la loro vita abbia preso una strada diversa da quella sportiva che avevano inizialmente sognato. Su tutto cala poi l’ombra della vendetta che rappresenta la chiave degli ultimi episodi. Il tema della vendetta è uno dei più diffusi nella filmografia crime (e non solo) orientale, ma in questo caso collima perfettamente con la tendenza della serialità degli ultimi anni a prediligere personaggi complessi sul crinale tra legalità e delinquenza. L’urgenza della vendetta fa saltare gli ultimi freni morali dei due protagonisti che però non si spingono fino alla fine rigettando, una volta sconfitto l’avversario, di togliergli la vita.

Per lo spettatore occidentale risulterà immediata anche la constatazione che nella serie ci sono pochi personaggi femminili affascinanti e di questo soffre l’intero contesto narrativo, specie dopo la rimozione di Hyeon-joo. Il tentativo di sostituirla, a fianco dei due giovani pugili, dalla nipote di uno dei collaboratori del Presidente Choi, una simpatica nerd ossessionata dalla privacy e abilissima nell’uso dell’arco, finisce per apparire un escamotage e poco più. Anche la compagna di Myung-gil si mostra senza una personalità spiccata, finendo per essere un satellite dello spietato usuraio.

La serie è stata realizzata da Kim Joo-hwan, uno specialista degli action drama, e regala il meglio di sé nelle scene d’azione e nei combattimenti, particolarmente fluidi ed affascinanti. Ottimo il lavoro del coreografo delle scene d’azione Park Young-sik che ha puntellato lo show con numerosi combattimenti, in prevalenza con le armi bianche. Le scene corali raggiungono livelli qualitativi molto alti, paragonabili a Cobra Kai per fluidità, ma con uno spirito decisamente più violento e meno patinato.  Se la parte action è il punto di forza della serie, la parte drammatica appare meno convincente e non riesce ad appassionare lo spettatore. Dal punto di vista tecnico una fotografia ben fatta che ci immerge in una Seul dark e terribilmente fredda e una regia con spunti originali si accompagnano ad una musica che raramente aggiunge mordente o emozione alle immagini confermando la dicotomia valoriale che caratterizza la produzione.

Qualche eccesso calligrafico, peraltro coerente con lo stile rappresentativo della serialità orientale e una discreta lentezza iniziale potrebbero distogliere lo spettatore frettoloso, ma quanti proseguiranno nella visione saranno ripagati da una serie nel complesso avvincente e piacevole. Con qualche attenzione in più alla parte drammatica sarebbe stato davvero un bel guardare, ma anche così vale comunque la visione.

TITOLO ORIGINALE: I segugi

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 55 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI:  8

DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix

GENERE: Drama Crime

CONSIGLIATO: le scene di combattimento e il mefistofelico Myung-gil valgono la visione.

SCONSIGLIATO: a quanti cercano una storia con un buon equilibrio tra parte drammatica (zoppicante) e parte action (eccellente).

VISIONI PARALLELE: una serie ricca di azione e adrenalina come Cobra Kai, prima trasmessa su You Tube Premium e ora su Netflix, sebbene sia più vicina per temi al teen drama e al racconto di formazione. Per chi cerca un film compatto consigliamo invece Oldboy, un’esplosione di violenza e vendetta espressa attraverso il superbo senso estetico di Park Chan-wook.  Infine ancora per gli amanti delle arti marziali da non perdere Warrior serie scritta, tra gli autori, dalla figlia del mitico Bruce Lee, Shannon Lee. Sono due le stagioni finora rilasciate, visibili in Italia su Sky.

UN’IMMAGINE: in Corea del Sud il consumo di alcool rappresenta un mezzo importante per instaurare nuovi rapporti lavorativi e rinsaldare la collaborazione tra colleghi. Senza considerare quanto ci hanno tramandato già gli antichi latini: in vino veritas. E’ così che possiamo spiegarci, nella serie, l’ampio consumo di superalcolici che precede importanti riunioni. Un’abitudine peculiare che si acquisisce fin da giovani quando, nei 100 giorni prima della maturità, gli studenti bevono quotidianamente alcool per evitare sfortune il giorno dell’esame. Non sorprenderà quindi come la Corea sia uno dei Paesi con il maggior consumo di bevande alcoliche al mondo!

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