Extrapolations: ultima chiamata per il pianeta Terra

Extrapolations **

C’era una volta una città nel cuore dell’America dove tutta la vita sembrava scorrere in armonia con il paesaggio circostante. La città si stendeva al centro d’una scacchiera di operose fattorie, tra campi di grano e colline coltivate a frutteto dove, di primavera, le bianche nuvole dei rami in fiore, spiccavano sul verde dei prati… D’improvviso un influsso maligno colpì l’intera zona ed ogni cosa cominciò a cambiare… Si trattava di una singolare epidemia. Gli uccelli, per esempio, dov’erano andati a finire?… Nessuna magia, nessuna azione nemica aveva arrestato il risorgere di una nuova vita: gli abitanti stessi ne erano colpevoli” (Rachel Carson, Primavera silenziosa, 1962).

Sultan Al Jaber, il presidente della prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP28), ha detto a più riprese che l’obiettivo di contenere l’innalzamento della temperatura globale della Terra sotto il grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali, stabilito negli accordi di Parigi del 2015, è un traguardo irrinunciabile e assolutamente non negoziabile. Per riuscirci, però, occorrerebbe ridurre le emissioni nette di gas serra del 43 per cento entro il 2030 rispetto ai valori del 2019. Al Jaber, che ha intrapreso un tour globale per convincere capi di governo di tutto il mondo a mantenere gli impegni, può essere definito un nemico del petrolio e delle fonti di energia non rinnovabili? Non proprio. Al Jaber è l’amministratore delegato della National Oil Company di Dubai, un uomo che lavora, al contempo, per aumentare la produzione petrolifera del suo paese e per salvare la Terra dalla distruzione.

Immaginiamo ora che alla COP42 di Tel Aviv, fra quindici anni, il mondo sia arrivato al punto di rottura. La soglia del grado e mezzo è stata superata, rispettando gli infausti pronostici di una parte della comunità scientifica e l’asticella si è spostata ancora più su, verso i due gradi di temperatura. I boschi vanno in fiamme ovunque. L’aria è irrespirabile in vaste aree del pianeta. L’estinzione delle specie animali avanza inesorabile. Immaginiamo che un uomo di nome Nicholas Bilton, a capo della potentissima corporation Alpha, sia l’ospite d’onore della conferenza. Non un politico, non Greta Thunberg ormai cresciuta, ma un miliardario con interessi in molti settori, dalle miniere alla tecnologia. Immaginiamo quindi che vada lì con una proposta: concedere i brevetti di un innovativo impianto per la dissalazione dell’acqua di mare alle nazioni assetate, in cambio di vincoli meno pressanti sulle emissioni, preservando, di fatto il sistema che lui stesso ha contribuito a creare. Nicholas Bilton è l’eminenza grigia di Extrapolations, serie antologica di AppleTv+.

Bilton, un incrocio ambizioso tra Elon Musk e Charles Foster Kane di Quarto Potere, è l’unico personaggio di Extrapolations a comparire sia in apertura sia nel finale della serie, a significare che l’esito della storia (questa nello specifico e in generale quella umana, non senza risvolti teologici) è connesso strettamente alla sua origine (il male, l’egoismo del singolo e della specie). Altri, come il rabbino Marshall Zucker, il “sostituto” Ezra Haddad e sua madre, l’oceanologa Rebecca Shearer, ricorrono in due o tre episodi. I più sono funzionali a un momento peculiare del racconto, in quanto testimoni di un particolare aspetto del problema, o vittime, a modo loro, dell’immane disastro.

Il caldo è la peste del ventunesimo secolo. L’aumento delle temperature non viene mai ricondotto alle sue cause, cioè ai combustibili fossili (Al Jaber e soci, insomma, sono scagionati), un’ipocrisia che ha fatto storcere il naso al Los Angeles Review of Books, critico anche nei confronti della scelta degli autori di focalizzare l’attenzione sulla categoria sociale, e antropologica, degli “americani ricchi”. In realtà, Extrapolations, che in origine doveva intitolarsi Gaia, privilegia una narrazione globale del problema, saltando da un punto all’altro della Terra. Non sempre sono i più fortunati ad occupare il centro della scena, si prenda ad esempio il quinto episodio, ambientato nel 2059, in un’India dove letteralmente manca l’aria e l’asfalto si scioglie sotto i piedi. Qui, Neel e Gaurav, un invalido di guerra e un autista di camion, sono coinvolti in una missione disperata: consegnare a una comunità rurale alcuni semi di riso trafugati dal Global Seed Vault delle isole Svalbard. Apprendono da un genetista quanto siano preziosi: sono semi di una varietà non tracciata dalle multinazionali. Se solo arrivassero a destinazione e poi, finalmente, piovesse, potrebbero attecchire…

Già, la pioggia non cade. Gita Mishra è una scienziata convinta di poter regalare al pianeta un ombrello protettivo artificiale, liberando nell’atmosfera sostanze chimiche che riproducano l’effetto refrigerante di un’eruzione vulcanica (l’estate del 1816, a seguito dell’eruzione del monte indonesiano Tambora, è ricordata come una delle estati più fredde, cupe e tempestose di sempre, tanto da ispirare nella prima stesura di Frankenstein la giovanissima Mary Godwin, poi Shelley, allora ospite di Lord Byron sul lago di Ginevra). Labile è la soglia che separa il tecno-ottimismo dall’ecoterrorismo. Nonostante gli inviti alla cautela dell’ex marito Jonathan Chopin, anche lui scienziato, e l’intervento del solito Nicholas Bilton (con la compiacenza della Casa Bianca), l’operazione riesce, grazie al talento eversivo di Rowan, il figlio di Gita e Jonathan, abilissimo nell’hackeraggio dei droni. Tuttavia, i risultati sono differenti da quelli sperati. Su vaste aree della Terra inizia a cadere la pioggia, sì, ma selvaggiamente. Alla siccità perpetua seguono devastanti alluvioni.

L’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) prevede che, con un aumento della temperatura di due gradi, il 37 per cento della popolazione mondiale sarà esposta a ondate di caldo estremo almeno una volta ogni cinque anni. Nel terribile 2046 dipinto da Extrapolations una madre lotta per la salute di suo figlio. Rebecca è in grado di parlare con l’ultima balena rimasta negli oceani. Ezra soffre di una nuova patologia, il cuore estivo, causato dall’insostenibile e persistente calura, che negli anni provocherà in lui un progressivo deterioramento delle sinapsi cerebrali, fino alla perdita dei ricordi. Whale Fall è l’episodio più lirico e struggente della serie. Anche qui, l’incrocio tra interessi economici, potentialità tecnologica e tutela dell’ambiente si fa perverso. La balena viene ingannata dagli uomini e così pure l’idealista Rebecca. L’inganno consiste nel richiamo fasullo di un maschio inesistente, usato per raccogliere i dati del cetaceo destinato a morire senza prole, informazioni utili a riprodurre i suoi schemi di comportamento, a futura memoria, quando la remunerativa industria della retroingegneria potrà riportare indietro le specie scomparse.

Per dirla in maniera sintetica e brutale: il cambiamento climatico è redditizio per pochi, pochissimi e mostruosamente oneroso, in termini economici, sociali, sanitari e culturali per le moltitudini. Dorothy Fortenberry, la produttrice esecutiva della serie, ha espresso chiaramente quale sia stato l’obiettivo di fondo degli autori, ovvero “influenzare positivamente il pubblico” per spingerlo a cambiare le cose. Lo showrunner Scott Z. Burns ha dichiarato di aver realizzato Extrapolations per sensibilizzare il singolo non solo sulle grandi questioni, ma anche sulle possibili modifiche da apportare al proprio stile di vita. In che modo agisce Extrapolations sullo spettatore? La serie, salvo qualche isolata impennata emozionale, è algida, come potrebbe esserlo un manifesto politico che punti unicamente sulla ragionevolezza degli argomenti.

Il valore aggiunto della serie è rappresentato dall’impressionante sfilata di star che compongono il cast. In ordine di apparizione: Daveed Diggs, Kit Harington, Sienna Miller, Tahar Rahim, Matthew Rhys, Heather Graham, Meryl Streep (è poco più di un cameo, però c’è), David Schwimmer, Diane Lane, Edward Norton, Indira Varma, Michael Gandolfini, Mia Maestro, Keri Russell (ahinoi, non in coppia con Rhys come ai bei tempi di The Americans), Gemma Chan, Marion Cotillard, Forest Whitaker e… Tobey Maguire.

L’interpretazione più convincente è probabilmente quella di Tahar Rahim, splendido in The Mauritanian, qui nei panni di un uomo afflitto da un declino cognitivo irreversibile e costretto, nella Londra acquitrinosa e superpiovosa del 2066, a vivere sacrificando i propri ricordi, mercificati/digitalizzati al pari di tutto il resto. Gli ultimi episodi raccontano un mondo pervaso fino al midollo da una tecnologia controllata dagli ultraricchi. “Il mondo è di Alpha”, dice qualcuno. Il trasferimento della memoria su supporti digitali e i vaneggiamenti transumanisti sulla prossima sconfitta della morte non sono materia particolarmente originale. Extrapolations, a lungo andare, smarrisce il focus e si trasforma in qualcosa di già visto. Il futuro è un incubo e la serie, non diversamente da altre, pretende di averne una conoscenza esatta e predittiva.

Extrapolations si sfilaccia in rivoli narrativi spesso sterili. Ad esempio, la storia del rabbino Zucker non appassiona mai, né nella polverosa ambientazione di Tel Aviv né in quella successiva, in una Miami periodicamente allagata, ed è appesantita da un didascalismo noioso. È del tutto evidente che la figura paterna ne esca, volutamente, assai male, perché maschilismo, patriarcato, tradizionalismo e conservatorismo compassionevole sono bersagli inevitabili in questo tipo di narrazione. Il padre di Marshall e quello di Alana sembrano aver sostituito il dio biblico con Mammona. Le domande di Alana, la giovane figlia del magnate Harris Goldblatt, sulla collera divina risultano però irritanti, tanto da desiderare di metterle in mano un buon libro sul rapporto tra limiti strutturali del capitalismo ed emergenza planetaria (Clima, storia e capitale di Dipesh Chakrabarty, edito in Italia da Nottetempo, sarebbe un ottimo punto di partenza). La surreale scena del balletto sulle note di Singin’ in the Rain, poi, nel suo essere fuori registro, è da dimenticare.

Sembra che gli attori e le attrici coinvolte nel progetto abbiano risposto con entusiasmo alla chiamata dei produttori. Diane Lane ha dichiarato di essere ossessionata da una personale idea di inferno, un incubo in cui la spazzatura, generata dai suoi bisogni egoistici, non le lascia alcuna via di fuga. Calza a pennello anche Ben Harper, ospite musicale di lusso. La presenza di stelle del cinema e delle serie tv (compresi volti noti de Il Trono di Spade) ci convincerà a usare meno acqua, ad abbassare il termostato e a migliorare la raccolta differenziata?

Dramma distopico con reminiscenze cyberpunk, spy story comprensiva di un magnifico sicario, manifesto progressista, trattato di futurologia e meditazione sulla sconfitta della religione: la serie di Scott Z. Burns è un frullato di contenuti e registri. In definitiva, nonostante le buone e lodevoli intenzioni, lo show ha qualcosa di abbozzato, di irrisolto. Tra avatar vocali, cibi sintetici, editing genetici, asset mnemonici e metaversi che ci immergono in scenari innevati, il ventunesimo secolo di Extrapolations sembra anestetizzare ogni ipotesi di dissenso sociale e neutralizzare una qualisvoglia opposizione organizzata al sistema, perché, in fondo, l’individualismo impera e ‘resilienza’ è la parola magica. “Il tempo ci sfugge di mano, ma lascia il segno”, recita un messaggio raccolto da Ezra Haddad in 2066: Lola, il sesto episodio. Anche Extrapolations è un po’ sfuggita di mano ai suoi creatori. Resta da vedere se lascerà il segno.

Titolo originale: Extrapolations
Numero di episodi: 8
Durata: circa un’ora l’uno
Distribuzione: Apple Tv+
Uscite: dal 17 marzo al 21 aprile 2023
Genere: Dystopia, Drama, Anthology

Consigliato a chi: ascolta Gustav Mahler, identifica le giornate con un colore, non si infilerebbe mai un robot nel naso.

Sconsigliato a chi: ha paura dei trichechi, è allergico agli abbracci, quando pensa a un bulbo lo associa solo ai tulipani.

Letture e visioni parallele:

  • Un grande classico sul tema: Amitav Ghosh, La grande cecità, Beat, 2019.

  • Uno studio imprescindibile: John R. McNeill, Qualcosa di nuovo sotto il sole. Storia dell’ambiente nel XX secolo, Einaudi, 2020.

  • Non solo disperazione: su Arte.tv, il trittico Un mondo nuovo di Cyril Dion.

  • Dalla parte degli animali: su Mubi, Cow di Andrea Arnold (2021).

Una frase: “è così che reagisce al dolore la nostra specie, mentiamo” (Rebecca Shearer alla balena).

Quattro parole: Occhi marroni, indovina, lavanda, Lola.

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