Daisy Jones & The Six: due anime perse nella vecchia favola del rock’n’roll

Daisy Jones & The Six **1/2

Raccontare la vita delle rock star può rappresentare un esercizio scivoloso. Cosa inserire? Cosa omettere? Privilegiare il lato pubblico o quello privato? Nel caso di Daisy Jones & The Six il taglio narrativo non ha bisogno di scendere a compromessi con la realtà dei fatti, perché la band degli Anni Settanta, di cui la serie tratta, è immaginaria. Daisy Jones e Billy Dunne, i due leader del gruppo, non sono mai esistiti.

Partiamo dall’antefatto letterario. L’omonimo romanzo del 2019, scritto da Taylor Jenkins Reid, ha venduto complessivamente più di un milione di copie. In Italia è stato recentemente pubblicato da Sperling & Kupfer. Gli showrunner Scott Neustadter e Michael H. Weber cominciarono a lavorare alla trasposizione seriale del libro, con l’obiettivo di iniziare le riprese nella primavera del 2020, una deadline poi risultata impossibile da rispettare a causa della pandemia.

“Se avessimo girato nell’aprile del 2020 sarebbe stato uno show molto differente”, ha dichiarato Neustadter in un’intervista al The Hollywood Reporter, “ma grazie al fatto di avere diciotto mesi a disposizione hanno potuto lavorare ogni singolo giorno per raggiungere la forma desiderata”. Lo sceneggiatore si riferisce agli attori, in particolare a Riley Keough e a Sam Claflin che interpretano le due anime tormentate del gruppo, rispettivamente Daisy Jones e Billy Dunne. “Li abbiamo piazzati davanti a un microfono”. A un microfono? Sì, perché Keough e Claflin hanno dovuto imparare l’arte del rock, non solo cantare insieme, ma, di più, misurarsi in un concerto di prova davanti a un pubblico composto dai parenti della crew, ricevendo feedback critici da professionisti del settore (ad esempio Kim Gordon dei Sonic Youth e Bernie Taupin, il paroliere di Elton John). “Si è trattato di un vero concerto per cinquanta persone… Avevano un set di canzoni e i loro strumenti, sono saliti sul palco con i costumi e hanno suonato come se fossero realmente una band…”.

In Daisy Jones & The Six il gioco di specchi tra finzione e realtà è totale. Il giorno precedente l’uscita dei primi tre episodi, per la precisione il 2 marzo 2023, è stato pubblicato un album composto dalle canzoni originali che ascoltiamo nella serie. Le undici tracce del disco sono cantate da Riley Keough e Sam Claflin. Aurora, prodotto da Blake Mills con la collaborazione di Jackson Browne, Marcus Mumford e Phoebe Bridgers, nomi di punta della scena musicale rock-folk americana e californiana in particolare, oltre a essere presente nel catalogo Spotify, è disponibile anche su supporto fisico, inclusa, ovviamente, la versione in vinile. Aurora è quindi un album del 2023, quando nella serie è il primo (e unico) disco che Daisy Jones & The Six registrano, al completo, nel 1977.

Veniamo alla storia. C’erano una volta due fratelli innamorati della musica, Graham e Billy Dunne, anche se, a onor del vero, è il chitarrista Graham a formare il gruppo con i suoi amici Eddie Roundtree, Warren Rojas e Chuck Loving, quest’ultimo destinato a lasciare i Dunne Brothers per seguire la carriera di dentista. Billy presta alla band la sua voce e, come è chiaro fin da subito, vi infonde il suo carisma. I Dunne Brothers dimostrano di saperci fare, ma le loro esibizioni si limitano alle feste di liceo di Pittsburgh e dintorni. Intanto, in una lavanderia automatica, Billy incontra la sua futura moglie, la fotografa Camila Alvarez.

Mentre i Dunne Brothers sognano il grande salto, molto lontano da Pittsburgh la giovane Daisy Jones trascorre un’adolescenza complicata e ribelle. Daisy, ripudiata dalla sua ricchissima famiglia di origine, assiste ai mitici concerti che si tengono nei club della famosissima Sunset Strip, la via di West Hollywood amata anche da Marilyn Monroe e Joe Di Maggio, dove negli anni Sessanta si esibivano i mostri sacri del rock, Led Zeppelin, Doors, Byrds… “Se amavi la musica non potevi vivere in un’epoca migliore”. Daisy compone canzoni e ne fa sentire una, Stumbled on Sublime (Inciampata nel sublime) al suo fidanzato di allora, che gliela ruba per inciderla a suo nome e farne un grande successo. Daisy non vuole essere semplicemente la musa di qualcuno e va per la sua strada. In quei giorni, i Dunne Brothers si trasferiscono a Los Angeles su suggerimento del tour manager Rod Reyes e cambiano nome in The Six, anche se sono solo in cinque (il quinto componente è la tastierista Karen Sirko, appena entrata nel gruppo).

Due storie parallele, quindi, finchè Teddy Price, geniale produttore, ha un’intuizione. Da una parte ci sono i The Six, reduci da un buon disco d’esordio ma troppo dipendenti dall’estro e dalla follia di Billy, che esagera con alcol e droghe (e, tipico clichè da rockstar, ha incontri molto ravvicinati con le giovani groupies durante il tour) e, ridotto a pezzi, non ha nemmeno il coraggio di presentarsi in ospedale quando nasce sua figlia. Dall’altra c’è Daisy, costretta a fare la cameriera per vivere e ad elemosinare una stanza dove capita, finchè Simone Jackson, una corista soul molto talentuosa, accetta di ospitarla in casa. Teddy Price, già mentore dei The Six, capisce che la band, dopo la disintossicazione forzata di Billy, è finita in un vicolo cieco. La nuova canzone Look at Us Now (Honeycomb) è rifiutata dall’etichetta discografica. Teddy, sempre alla ricerca di talenti, sente cantare per la prima volta Daisy in club e, incantato, si offre di “plasmarla”. Lei rifiuta. Ed ecco, appunto, l’intuizione, che prende la forma di una proposta di collaborazione. Daisy Jones con i The Six. Daisy Jones, soprattutto, con Billy Dunne. Daisy riscrive la canzone. Billy non la prende bene.

Billy e Daisy, due ego da rock star. Egoisti, ambiziosi e tremendamente vulnerabili, i protagonisti scoprono le carte. E la serie, circa a metà del percorso, aumenta i giri del motore, riuscendo finalmente a emozionare. Il primo giorno della sessione di registrazione (prima c’è l’episodio del concerto alle Hawaii, dove Daisy a modo suo si prende il palcoscenico) Billy le racconta di suo padre, fuggito quando lui aveva otto anni. Lei gli rivela di essere finita in prigione per aver scardinato la porta di quella che credeva ancora essere la casa dei suoi genitori, trasferiti altrove senza dirle nulla. Due diseredati, due anime perse nel rock’n’roll. “Non scriviamo di speranza. Scriviamo del perché facciamo cose che ci fanno male e continuiamo a fare anche se non c’è speranza”. Lui incassa con sofferenza le parole di Daisy. Le canzoni su sua moglie, la pazientissima Camila, mascherano un desiderio di perdono e battezzano la persona che Billy vorrebbe essere. L’articolo su Rolling Stones (la serie è una ricostruzione fedele di un sistema del tutto plausibile) fa deflagrare lo scontro.

Lei mette a nudo Billy, parlando al giornalista della sua esperienza in rehab. Lui fornisce tre elementi per descriverla, amore, lussuria e odio. Troppo simili per amarsi davvero. La loro è una relazione fantasticata e, nei fatti, impossibile. “Ho desiderato questa vita da quando avevo quattordici anni, allora perché siamo così infelici?”, chiede Daisy a Billy nel nono episodio, quando il successo del gruppo è ormai all’apice e gli eventi da qui in avanti non potranno che precipitare. In mezzo, c’è la fuga della protagonista in un’isola della Grecia e il suo matrimonio con un nobile decaduto irlandese, forse lo snodo meno credibile della serie. C’è la caduta di Daisy nella spirale della dipendenza, la cocaina a fiumi, l’overdose, la ripresa, il tour, gli stadi pieni, il delirio dei fan. E il suo desiderio di stare con Billy, sempre più forte. “Se mi deluderai, fallo con gentilezza”, recita una canzone. Mi sono innamorata diverse volte, ma con lui è stato diverso, dirà alla fine.

L’aspetto metanarrativo è importante. Daisy Jones & The Six è puntellata dalle interviste ai protagonisti, realizzate in occasione del ventennale dello scioglimento della band (solo nell’ultimo episodio scopriamo chi si nasconde dietro la videocamera e la ragione vera del documentario). Il rimbalzo temporale garantisce respiro e profondità alla serie. Lo sguardo al passato dei sei del gruppo è venato di nostalgia. A volte vince il rimorso per le occasioni mancate, più spesso, però, prevale la gioia del ricordo. Nonostante tutto, le gelosie, le liti, le rotture, le delusioni, per tutti sembra che, in definitiva, ne sia valsa la pena. Il messaggio di Daisy Jones & The Six che ci viene trasmesso è positivo: vivere con fiducia, affrontare con coraggio le stagioni dell’esistenza, darsi una seconda opportunità, non abbandonarsi mai allo sconforto, convincersi che quanto lasciato indietro non è andato perso e perfino il cambiamento di nome, a volte, è un passaggio necessario.

Eddie Roundtree (interpretato da Josh Whitehouse), il bassista, motiva la sua decisione di lasciare il gruppo lamentandosi del poco spazio concesso da Billy agli altri, fin dalla fondazione dei Dunne Brothers. La stessa sensazione è avvertita da noi che vediamo Daisy Jones & The Six. Dimentichiamoci degli Anni Settanta “politici”, del Vietnam, del fermento sociale, della violenza nelle strade, del razzismo, dell’attivismo degli afroamericani. La serie succhia linfa dal dualismo Daisy/Billy, e dal tormento di Camila, la Penelope di turno, come inevitabile corollario. Riley Keough e Sam Claflin interpretano i propri ruoli con una convinzione fuori dal comune. La loro perfomance immedesimativa, notevole anche sotto l’aspetto artistico (Riley Kough è la nipote di Elvis Presley, buon sangue non mente), avvita il racconto attorno ai sentimenti privati.

La furia di cui sono capaci due rock star quando si vedono allo specchio, e scoprono l’esistenza di un’anima gemella, è un combustibile che brucia tutto. Il resto è ai margini. La relazione tra il chitarrista Graham e la tastierista Karen (gli attori Will Harrison e Suki Waterhouse), nonché l’avventura musicale di Simone Jackson (la cantante e cantautrice Nabiyah Be) nei templi arcobaleno della disco music di NYC, sono propaggini narrative del discorso principale, spunti potenzialmente interessanti ma non sviluppati nell’arco dei dieci episodi. Questo richiedeva il plot: due ego smisurati, “più divertenti da perderci che da starci insieme”, lanciati nella folle scommessa del rock’n’roll.

Il romanzo Daisy Jones & The Six, per aperta ammissione dell’autrice Taylor Jenkins Reid, è ispirato alla vita dei componenti dei Fleetwood Mac. Nel 1977 (l’anno di Aurora) la band fondata da Peter Green pubblica Rumours, l’album più apprezzato dalla critica che raggiunge il picco record di 40 milioni di copie vendute. Rumours, ovvero “pettegolezzo”. Le sessioni di registrazione presso il Record Plant di Sausalito, in California, sono caratterizzate da scontri e eccessi di ogni tipo. Il gruppo è attraversato da fortissime tensioni interne: Mick Fleetwood in quel periodo scopre il tradimento della moglie, Christine e John McVie sono sulla via della separazione, la relazione tra Stevie Nicks e Lindsey Buckingham va in pezzi. Buckingham ha scatti d’ira continui nei confronti del produttore, culminati in un’aggressione fisica. Eccessi, si diceva. Leggenda vuole che i Fleetwood Mac avessero pensato di inserire il nome del loro spacciatore tra i credits del disco….

La costume designer Denise Wingate ha vestito i personaggi della serie ispirandosi al look dei gruppi dell’epoca. Millecinquecento cambi d’abito complessivi: un lavoro incredibile! “Mick Fleetwood e i suoi giubbotti, ecco da dove siamo partiti per Warren… Tutti i batteristi di quell’era vestivanto giubbotti, suppongo per comodità… Nella scena finale Eddie indossa un abito bianco in tre pezzi, che ho copiato da una foto scattata a Lindsay Buckingham durante un concerto”. Tuttavia, l’abbigliamento più fantasmagorico è toccato a Daisy. “Sono andata ai mercatini delle pulci ogni fine settimana per un anno… Negli anni Settanta la gente vestiva vintage. L’abito dorato lavorato all’uncinetto che Daisy indossa nel concerto finale di Chicago è degli anni Trenta”.

Oltre alle canzoni originali del gruppo, la serie è impreziosita da musica fantastica, inserita dagli autori con precisione filologica. Ogni canzone è in sintonia con il mood dei personaggi, contrassegnato di volta in volta da ebrezza, agitazione esistenziale o rabbia. E talvolta non si va leggeri con le scelte, prendiamo i seminali Neu! o i meno noti The Saints (ebbene sì, arriviamo fino al kraurock e in particolare al punk, iceberg e punto di non ritorno per il folk melodico di Daisy & Billy), chiamati, gli australiani di Brisbane, a testimoniare l’autodistruzione di Daisy in albergo.

Costumi, interpreti, dialoghi sceneggiatura: tutto ben scritto e oliato per una messincena impeccabile. E poi due attori affiatati per ricamare un duello sulle note dell’amore e della disperazione. Peccato per il finale, scontato e un po’ melodrammatico, a chiusura di questa ennesima vecchia favola del rock’n’roll.

Titolo originale: Daisy Jones & The Six
Numero di episodi: 10
Durata: circa un’ora l’uno
Distribuzione: Prime Video
Uscite: dal 3 al 24 marzo 2023
Genere: Musical Drama, Mockumentary

Consigliato a chi: ha un fuso orario personale, porta sempre con sé un taccuino, non ha paura di usare la propria voce.

Sconsigliato a chi: non viaggerebbe mai in furgone, si è presentato a una festa con un ananas, non regge l’alcol e nemmeno la verità.

Letture e visioni parallele:

  • Mezzo secolo di musica americana raccontata dal batterista dei The Roots: Questlove, Musica è vita, Jimenez Edizioni, 2023

  • In controtendenza rispetto all’esplosione del punk alla fine degli anni 1970, i The Pretenders si sono fatti portavoce di un sound più melodico. Un documentario li racconta: Una vita rock. Chrissie Hynde & The Pretenders, disponibile su Arte.tv

Amore è: “quando qualcuno ti dice la verità anche quando non vuoi sentirla” (Simone a Daisy).

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