La quarta stagione di Servant, la serie prodotta da M. Night Shyamalan giunta al capitolo finale, si apre con il ritorno di Dorothy Turner dall’ospedale. L’ultimo episodio della precedente stagione terminava con la sua rovinosa caduta dalle scale di casa. Un volo a precipizio nel buio, il volto congelato in un’espressione di puro terrore, lo sguardo segnato dal dolore del tradimento. Considerata pazza, nessuno le credeva più. Il figlioletto Jericho le era stato ormai sottratto dalla tata Leanne, con la connivenza del marito Sean e del fratello Julian.
Dorothy non esce di scena. Benchè paralizzata a causa di una lesione spinale, la moglie di Sean è viva.
La stagione, suddivisa, al solito, in brevi episodi, progredisce inesorabilmente verso un punto di non ritorno. Le inquietudini fin qui sedimentate esplodono in un parossismo di situazioni estreme, sempre più gravi, man mano che si approssima la fine. Le scosse diventano incontrollabili. Le fondamenta vacillano. Nel terreno, letteralmente, si spalancano orrende voragini.
Leanne è l’epicentro di Servant, il suo cuore tellurico. La ragazza del Wisconsin, insediata in pianta stabile presso i Turner da un anno e mezzo (l’età di Jericho), sa di essere speciale. “Non potete farmi del male. Io non sono quello che ero, sono qualcosa di più”, dice a se stessa Leanne. La sua autentica personalità, messe da parte le timidezze iniziali, è finalmente sbocciata. L’innocenza ha ceduto il passo all’astuzia. Vista nella sua interezza, la serie Servant, attraverso la lente della favola gotica del figlio cambiato/scambiato, guarda principalmente a lei. La trasformazione di Leanne deve molto al talento di Nell Tiger Free, l’attrice che la interpreta con attaccamento quasi simbiotico.
Nella quarta stagione le insidie per Leanne si moltiplicano. Ambigui vicini di casa minacciano la sua sicurezza. Tra di loro, Leanne è certa, vi sono persone legate alla setta. Il primo episodio, ispirato al topos per eccellenza del cinema horror, cioè l’assedio, conferma i suoi timori. “Devi tornare indietro”, le intima un uomo sconosciuto, intenzionato a strapparla con la forza dal posto di guida di un’automobile, poco prima che si scateni la furia di centinaia di piccioni assassini riuniti in squadriglia (un omaggio esplecito a sua maestà Alfred Hitchcock, nume tutelare della cinematografia di Shyamalan).
I coniugi Turner, superate non senza difficoltà le reciproche incomprensioni, si sono finalmente compattati contro Leanne. “È bello essere di nuovo dalla stessa parte”, dice Dorothy a Sean, abile a riconquistarla attraverso… uno squisito budino. Sean, ricordiamolo, è uno chef d’avanguardia, proiettato nel mondo dei reality, mentre Dorothy è, o meglio era, un’anchorwoman molto famosa (una classica inversione di ruoli, lei ora costretta a letto, lui dominatore del palinsesto televisivo).
La struttura di Servant non muta. Ogni episodio è dedicato a uno specifico evento: la mascherata della notte di Hallowe’en, la festicciola per il compleanno del bambino, il party organizzato per radunare i vicini… Il tessuto della realtà si squarcia. Qualcosa di imperscrutabile accade. Una forza sconosciuta invade il campo. Durante Hallowe’en Leanne spezza il braccio a un ragazzo, erroneamente scambiato per un aggressore. Leanne combatte come una tigre, con il soccorso di poteri eccezionali. O forse è solo un essere indifeso e spaventato. “Ne parli come se fosse una creatura di Stephen King”, dice Julian a Sean.
L’anno di vita di Jericho, festeggiato sei mesi dopo la vera data di compleanno (Dorothy non gradisce il pensiero), finisce in tragedia, non per Leanne, bensì per la donna che l’ha rapita e segregata in cantina nel tentativo di sacrificarla. Leanne deve infatti guardarsi le spalle anche da una coppia di invadenti assistenti sanitarie ingaggiate da Dorothy. L’agguato apparecchiato dai Turner si trasforma in una piccola apocalisse urbana e Sean per poco non viene infilzato dal proprio lampadario. Il ragno, il maiale, il serpente e il caprone impazzito alludono a una simbologia nemmeno troppo velata.
Leanne può contare su preziosi alleati. La relazione sentimentale tra lei e Julian, alquanto improbabile considerate le differenze di età e di temperamento, resiste, nonostante le rimostranze di Dorothy e Sean (“Sei solo un tossico che sta con un’adolescente”, “Leanne sta muovendo guerra alla mia vita e tu sei dalla sua parte”, per citare un paio di simpatiche stilettate). Oltre al “fidanzato”, su Leanne veglia l’esercito di diseredati comparso nella stagione precedente, una soldataglia senza tetto né legge, persone dall’aspetto sinistramente normale, si direbbe appartenenti alla classe media impoverita di Philadelphia.
Episodio dopo episodio, si profila un conflitto tra potenze contrapposte. Minacce oscure indicano l’approssimarsi del giudizio finale. Leanne afferma di voler difendere la famiglia Turner da un pericolo mortale, mentre Dorothy vede in lei “il male assoluto”. Si riaffaccia il sospetto che Leanne avesse insospettabilmente preso posto nella sua vita già da tempo. In effetti è così. L’archivio di servizi televisivi di Dorothy fornisce una prova inconfutabile. Il 17 aprile non è una ricorrenza come un’altra. Nel 2011, quel giorno, morì la madre di Leanne in un incendio. Un dramma già svelato, che ora assume la valenza di un evento mitico e fondativo.
Nel settimo episodio ritorna lo “Zio” George. Mentre Sean e Julian (una coppia di attori che ricorderemo, Toby Kebbell e Rupert Grint) in uno dei passaggi più ironici di Servant, sono intenti a passare in rassegna i possibili punti deboli di Leanne e gli eventuali “rimedi” a disposizione (l’aglio, l’acqua, i proiettili con la punta d’argento…), l’amico tuttofare Roscoe, convertito alla Chiesa dei Santi Minori, spunta alle loro spalle e li esorta a scendere nel seminterrato dove lo “Zio” intende confessare le proprie colpe. Servant funziona così. Non è chiaro come Roscoe e George siano entrati in casa, ma tant’è, le incongruenze sono la regola, non l’eccezione. “La soluzione più semplice è sempre quella giusta”. George smonta la tesi del sovrannaturale. C’è una spiegazione per tutte le stranezze di Leanne, “l’angelo caduto”, compresa la presunta “resurrezione” di Jericho. Soluzione del mistero o depistaggio?
La serie si regge fin dall’inizio sull’ambivalenza della parola “servant”. Il termine può significare tanto “domestico”, a servizio di un padrone terreno, quanto “servitore”, con riferimento a Dio. Gli adepti della setta si definiscono servants of the Lord. D’altronde, Dorothy è avvisata di essere il fulcro di un culto nascente. Leanne, che riempie la sua stanza di feticci in ricordo della vera madre, venera la sua datrice di lavoro.
La parola “feticcio” e la parola “fatto”, nella disamina del filosofo Bruno Latour (Petite réflexion sur le culte moderne des dieux faitiches, 1996), hanno la stessa etimologia ambigua. La prima rinvia alle folli credenze del soggetto, la seconda alla realtà esterna, eppure la verità di entrambe è permessa da un intenso lavoro di costruzione. Il nodo gordiano di Servant corrisponde a questo intreccio impossibile da sciogliere.
I fatti non si distinguono dal feticcio che, ricorda sempre Latour, è un far parlare, ovvero un portare qualcosa in vita, esattamente il lavoro oscuro di Leanne, realizzatosi con Jericho, morto e poi vivo, o meglio morto e insieme vivo. Cosa siamo disposti a credere? Agli spiriti invisibili o alle cause del mondo fisico? In Servant le due dimensioni, quella ordinaria e quella straordinaria del paranormale, si negano e si convalidano a vicenda.
In Servant finora mancava solo il tema sinistro dei mutamenti climatici. Nell’ottavo episodio l’uragano del secolo infuria contro la città di Philadelphia. “È tutto quello che sai fare?” L’urlo di Leanne squarcia il cielo. È convinta che il diluvio, un esplicito rinvio, certamente non l’unico, alla simbologia veterotestamentaria, sia lì per lei. Follia? La quarta stagione di Servant si muove lungo un’impercettibile linea d’ombra, quella che separa credulità da incredulità.
Sempre nello stesso episodio, la dolcissima tata sventa un tentativo di aggressione nei suoi confronti (a proposito, mai consegnare un pugnale arroventato nelle mani di Leanne). “Tu sei una ferita aperta nella terra e ora a soffrire è il mondo intero”. Leanne è una piaga biblica, come sostiene chi vorrebbe riparare a quell’anomalia cosmica con il sangue? Il gioco narrativo non cambia. Forse il tuono che manda in frantumi la finestra e produce il tragico infortunio di Sean è una casualità, o forse no. “Gli incidenti capitano, signora Turner”. Nell Tiger Free è bravissima nel saper padroneggiare l’istinto ferino del suo personaggio, alternandolo a una maschera di infantile rassicurazione. L’immagine di Leanne e Dorothy sedute sulle scale prepara lo spettatore al rush finale.
Nel nono episodio, diretto da M. Night Shyamalan, la pioggia continua a cadere con rabbia. Rabbia? Sì, perché in Servant gli elementi sembrano rispondere a un disegno superiore. O forse siamo noi a fantasticare su un castigo divino laddove, semplicemente, si manifesta la natura con brutale determinazione. Dorothy è in balia di Leanne (anche se la tata asserisce di volerla proteggere). Sean e Julian, non esattamente al massimo della forma, riescono a farle pervenire un messaggio. Con estrema fatica, la moglie di Sean li raggiunge nell’auto parcheggiata sotto casa. Da qui in avanti, la piega degli eventi è drammatica. Lauren Ambrose, l’attrice che interpreta Dorothy, è protagonista di una sequenza terribile. Il vaso di pandora è aperto. Ciò che non si poteva dire è detto. Con il risveglio, la tragedia esplode. Dorothy, straziata, ondeggia nel vuoto. È la caduta più dolorosa. “Sono capace di cose che non si possono spiegare, come la vita e la morte, o il legame tra una madre e un figlio”, le sussurra all’orecchio Leanne. Chiede semplicemente di crederle, di dirle di SI’.
Il discrimine tra fede e fiducia è sottilissimo. Il confronto finale tra Leanne e Dorothy avviene sul tetto. Ed è un confronto umano, all’insegna di un’esigenza di perdono, nella sua accezione più profonda, di lasciare andare. E perdona i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo chiunque sia in debito con noi (Luca 11 : 4). È tempo di affrontare la verità. Per riconciliarsi con la vita occorre sacrificare quella parte di sé ancora attaccata al passato. Il messaggio di Servant, denudato da ogni appesantimento e orpello, è basico e crudo. Leanne è sempre stata più allegoria che persona concreta. L’elemento oscuro, immanente, della paura diventa con lei devastazione esteriore, ambientale, sistemica. Non a caso, la sua deriva autodistruttiva segna anche la rottura del cordone ombelicale che legava i Turner al nido familiare. La casa, status symbol borghese e organismo vivente, gabbia dorata e mostruosità simbiotica quasi à la Cronenberg, è il vero totem di Servant.
Quante promesse ha mantenuto Servant, pensando soprattutto al meraviglioso primo capitolo? Certamente non tutte. A tratti sfilacciata e talora persa, in termini di sceneggiatura, in vicoli ciechi, la serie ha sprecato troppe occasioni per meritare il titolo di capolavoro. Nonostante il potenziale inespresso, la fattura complessiva di Servant è pregevole, in definitiva di rango autoriale, nonostante il riposizionamento nelle retrovie di Shyamalan, complice una scrittura con punte di eccellenza, il desiderio di sperimentare e un cast quadrato come pochi. Una serie solida e illusoria insieme, simile a un paio di ali riflesse su un vetro, ali che potrebbero essere perfino le nostre, oppure no.
Titolo originale: Servant – Season 4
Numero di episodi: 10
Durata: 30 minuti l’uno
Distribuzione: Apple Tv+
Uscita: 12 Gennaio – 17 Marzo 2023
Genere: Drama, Thriller, Psychological Horror
Consigliato a chi: crede che anche le case abbiano sentimenti, rifiuta le pillole di saggezza degli insegnanti di yoga, ha un profilo da nouvelle vague.
Sconsigliato a chi: nasconde scatole di legno sotto al letto, ha fatto cadere una torta di compleanno a terra, non ha una chiara predilezione per gli impressionisti.
Letture e visioni parallele:
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Un libro sul lutto, sull’amore e sulla rinascita che solo l’arte può concedere: Nick Cave e Seán O’Hagan, Fede, speranza e carneficina, La Nave di Teseo, 2022.
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Una piccola comunità dei monti Appalachi che si nutre di superstizioni e pregiudizi: è l’ambientazione del romanzo La terra d’ombra di Ron Rash, La Nuova Frontiera, 2022.
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La compagnia Deviazioni mette in scena Corpora, storie di corpi nel tempo che precede la sparizione. Testi di Eliana Rotella e drammaturgia di Giulia Sangiorgio. Al teatro PACTA di Milano, mercoledì 18 aprile 2023.
Un oggetto: la coperta realizzata con i primi vestitini di Jericho.
Una domanda: mucca o maiale?