Navalny

Navalny ***

C’è un momento folgorante, irripetibile, completamente surreale e allo stesso tempo terribile al centro del film che il giovane documentarista canadese Daniel Roher ha dedicato ad Aleksei Navalny, il politico e dissidente russo, arrestato e incarcerato dal 17 gennaio 2021, di ritorno dalla Germania, dove aveva trascorso cinque mesi di convalescenza, per riprendersi dall’avvelenamento con l’agente nervino Novichok, che lo aveva condotto in fin di vita.

Si tratta di una lunga telefonata che Navalny stesso fa ad uno dei sospettati, assistito dai giornalisti del sito di data journalism Bellingcat e sotto l’occhio vigile delle telecamere di Roher.

E’ il giorno in cui il sito, assieme ai maggiori media internazionali (CNN, Der Spiegel, El Pais) stanno per pubblicare l’indagine sul suo tentato omicidio in Siberia, che scoperchia una rete di agenti e scienziati dei servizi segreti russi che lo ha seguito per anni, cercando il momento più adatto per mettere la sordina ad uno degli sparuti oppositori del regime.

Navalny quella mattina decide di telefonare ad alcuni di questi uomini, prima che il loro nome finisca sulla stampa: ai primi si presenta col suo nome, chiedendo conto delle loro azioni e ricevendo silenzi imbarazzati e immediate interruzioni delle comunicazioni. Poi cambia strategia e, come in una commedia degli equivoci, si finge un dirigente di alto grado dei servizi che chiede conto dell’insuccesso dell’operazione. Uno degli scienziati ci casca in pieno e racconta tra orrore e farsa come hanno messo in piedi l’operazione, fallita solamente perchè l’aereo che trasportava Navalny dalla Siberia a Mosca, atterrò in emergenza pochi minuti dopo il decollo nella cittadina di Omsk, per consentire di sbarcare il politico su una barella e condurlo in ospedale, dove i medici, allora inconsapevoli del complotto, gli somministrarono subito un antidoto, salvandogli la vita.

E’ una scena che ogni documentarista, ogni giornalista investigativo sogna di poter filmare una volta nella vita. Il colpevole che confessa, candidamente e senza reticenze i suoi crimini, inconsapevole e indifferente della loro gravità, anzi dispiaciuto per non aver potuto portare sino in fondo il suo compito: la reazione dei giornalisti di Bellingcat è sempre più incredula, quindi trionfante, mentre Navalny riesce a mantenere la compostezza, senza mai uscire dal personaggio.

Una scena che mette i brividi, se non fosse intimamente e tragicamente comica. Le didascalie che chiudono il film ci avvertono tuttavia che dal momento della pubblicazione del video della telefonata, successivo alla conferenza stampa di Putin di fine anno, di quell’agente si perderanno del tutto le tracce, inghiottito dal silenzio che il regime fa calare su chiunque osi mostrare una voce.

Poco più di un anno dopo Putin invaderà l’Ucraina, riportando la guerra nei confini dell’Europa a distanza di quasi trent’anni dalla dissoluzione della Ex-Jugoslavia.

Il film di Roher su Navalny, avvocato e leader della coalizione d’opposizione al partito di Putin, è stato sostanzialmente girato nei pochi mesi di esilio del dissidente in Germania, tra l’avvelenamento di agosto 2020 e il suo ritorno in patria a gennaio 2021, ricostruendo la cospirazione e le mosse del Cremlino, chiudendosi con l’arresto, il solito processo farsa e la condanna di Navalny a nove anni di carcere nella colonia penale n. 2 in regime di isolamento.

Roher si è trovato tra le mani del materiale così formidabile che il suo film risulta sbilanciato, lasciando alla ricostruzione giornalistica dell’avvelenamento la denuncia di un sistema talmente corrotto e criminale da essere prevedibile nelle sue risposte. Il fatto poi che Navalny, che vediamo sempre sorridente e positivo con la moglie, i due figli adolescenti e il suo piccolo staff di collaboratori, sia stato imprigionato e sia tuttora detenuto in condizioni disumane ha reso il suo lavoro una testimonianza bruciante, necessaria, ma assolutamente militante sulla brutalità del regime.

Tutto questo a scapito di una riflessione più obiettiva sulla dimensione politica di Navalny, sulla sua vicinanza a posizioni nazionaliste e persino sulla sua accondiscendenza verso l’estrema destra neonazista, in nome di una avversione al regime che unisce tutti quelli che non si riconoscono nella dittatura di Vladimir Putin.

Il film ne esce così un po’ squilibrato. Prevale l’elemento di detection, assolutamente formidabile, prevale la dimensione umana e testimoniale del protagonista, anche questa ineluttabile, alla luce dell’epilogo, speriamo solo temporaneo, della sua parabola politica.

Come spesso accade ai documentaristi, la realtà si fa gioco del cinema, si prende uno spazio imprevedibile, cambia le priorità e gli obiettivi e Roher non ha potuto far altro che assecondarla, in questa occasione.

Vincitore del Premio Oscar.

In Italia è stato distribuito da I Wonder nell’aprile 2022 e sulla piattaforma Iwonderfull.

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