The Pale Blue Eye – I delitti di Westpoint **
Il cinquantenne Scott Cooper, già attore con studi al Lee Strasberg Theatre a New York sotto la guida di Robert Duvall, poi sceneggiatore e regista in proprio negli ultimi quindici anni, è un solido professionista che sembra uscito dalla Hollywood degli anni ’60.
I suoi film attraversano i generi con sguardo timido e mano sicura, passando dalla biografia musicale al western, dal gangster movie all’horror, fino al dramma proletario e alla detection classica di questo ultimo The Pale Blue Eye.
Come spesso accaduto anche in passato il soggetto viene da un romanzo, quello scritto nel 2006 da Louis Bayard e incentrato sulle indagini del detective August Landor all’accademia militare di Westpoint nell’inverno del 1830.
Quando il cadetto Leroy Fry viene trovato impiccato nei boschi che circondano la scuola, il colonnello Thayer e il capitano Hitchcock convocano il veterano Landor per salvare l’onore dell’accademia, che il Senato non vede l’ora di chiudere.
Nella notte peraltro, il cadavere di Fry è stato privato del cuore, insinuando il dubbio che non si sia trattato di un suicidio, ma di qualcosa di completamente diverso.
Ad aiutare Landor nelle sue indagini il cadetto Edgar Allan Poe, sì proprio il futuro scrittore, e il dottor Marquis, la cui famiglia sembra nascondere segreti e ambiguità.
Quando un altro cadetto, Ballinger, viene trovato morto e senza cuore, le indagini si fanno ancora più complesse, tra rituali satanici, antiche vendette e nuovi inganni.
Il film di Cooper ancora una volta sembra essere uno strano oggetto non identificato, completamente fuori dal suo tempo. Ancorato solidamente alla scrittura romanzesca e all’intreccio congegnato da Bayard si muove in un contesto interamente maschile, mosso da sentimenti primari.
E’ ancora il fuoco della vendetta ad ardere sotto traccia e a muovere la volontà dei personaggi anche se noi lo scopriremo solo nel sottofinale, quando è la guida Poe a intuire la verità dietro una colpevolezza di comodo.
Immerso nella neve bianca della Virginia e nella nebbia e nel buio notturni rischiarato solo dalle candele, il film è altrettanto cupo e senza luce.
Il duetto tra Landor e Poe si muove su coordinate risapute: il mentore e l’allievo, l’esperienza e l’intuito, un’intelligenza pratica e una costruita sui libri.
Bale come al solito giganteggia e gli basta pochissimo per nutrire il suo minimalismo. Il personaggio dimesso e assalito dai fantasmi del passato gli calza a pennello. Non meno indovinato l’allampanato Melling, scoperto dai Coen, che fa di Poe un emarginato di talento all’interno dell’accademia.
Ottimi i caratteristi, scelti con una certa precisione drammatica, da Lucy Boynton a Gillian Anderson, da Charlotte Gainsbourg a Toby Jones, fino ai veterani Timothy Spall e Robert Duvall.
Alla fine è sempre il codice della violenza e dell’onore a segnare le tappe di questa storia tutta al maschile, dove le donne sono quasi solo vittime: degli uomini, della malattia, della superstizione.
Il film di Cooper è deliberatamente fuori sincrono rispetto alla contemporaneità e non solo perchè è ambientato due secoli fa, ma per modi e forme e discorsi, che non sembrano neppure sfiorarlo.
Peccato che l’ultimo atto si poggi interamente su flashback e racconto, ribaltando in modo piuttosto pigro l’esito soddisfacente delle indagini di Landor.
Orgogliosamente passatista.
Distribuito da Netflix.
Bellissimi cosrumi. Secondo me il problema maggiore della sceneggiatura è che non mi sono accorto dello scorrere del tempo… dai dialoghi tra un omicidio e l’altro passa un mese