Entrapped: la terza stagione della celebrata serie islandese delude i suoi fan

Entrapped **1/2

La terza stagione di Trapped, serie islandese ideata da Baltasar Kormakur (Cani Sciolti, Katla), inizia con una contesa che ha il sapore antico delle rivalità legate alla terra. Assistiamo infatti a una faida tra padre e figlio per un pezzo di terreno che vede contrapposta La Famiglia, una comunità di hippy neoluddisti guidati dal vecchio Oddur (Egil Olafsson), alla banda di motociclisti guidati dal figlio Gunnar (Haraldur Stefansson). Un rapporto conflittuale che si inasprisce con l’arrivo sull’isola dello zio di Gunnar, Danis Hopper (Thomas Bo Larsen) dalla Danimarca. E’ lui il vero capo dei riders, ma ha in mente qualcosa di più di una contesa con il fratello: è infatti coinvolto in attività illegali che, con il prosieguo degli episodi, scopriremo essere il traffico e lo spaccio di droga. In somma: una polveriera pronta a esplodere. La miccia sembra essere l’assassinio di un membro della Famiglia, Ivar, che costringe la polizia a intervenire. Da Reykjavik arriva .Trausti (Bjorn Hlynur Haraldsson) e con lui, anche se in veste inizialmente privata, c’è anche Andri (Olafur Darri Olafsson), il protagonista delle precedenti stagioni della serie, che abbiamo imparato a conoscere per capacità professionale, lealtà e determinazione, ma anche per i modi bruschi e la difficoltà a contenere la rabbia che l’hanno spinto in più di un’occasione oltre i limiti del suo mandato. Anche per questo motivo Andri si occupa solo di crimini informatici ed è grazie alla mediazione del capo della polizia locale, Hinrika (Ilmur Kristjansdottir) che Trausti decide di inserirlo ufficialmente in squadra.

Il racconto parte quindi da elementi già cruciali nelle precedenti stagioni della serie: la terra e la famiglia. La terra è intesa come bene, ma anche come ecosistema e come patria, mentre il rapporto tra padri e figli è conflittuale e spesso drammatico, ma tende a risolversi in modo positivo. Sembra quindi davvero di essere tornati a casa: gli interpreti che abbiamo apprezzato e di cui abbiamo sentito la mancanza, a cominciare da Andri, ma anche la brava e scrupolosa Hinrika, con il suo stralunato marito hippie, per proseguire con il saccente Trausti ed Eirikur (Porsteinn Gunnarsson) l’ex suocero di Andri, uscito di prigione e terribilmente solo. Poi c’è l’Islanda, così affascinante ed espressiva: non solo una location, ma una terra viva, in cui sotto il ghiaccio si nasconde un magma incandescente. Proprio come dietro l’ apparente freddezza dei protagonisti si nascondono emozioni, passioni, menzogne. E poi l’iconica musica di Hildur Guonadottir (Joker, Chernobyl) che accompagna al meglio le immagini di una sigla in cui il paesaggio si fa corpo dolente, ferito, sezionato.

Insomma è bastato poco per ritrovarci dove ci eravamo lasciati nel 2019. Purtroppo però questa sensazione è rimasta estemporanea, non ha trovato conferma negli episodi successivi. Non solo con il passare del tempo i temi tradizionali sono diventati un cliché (penso soprattutto al paesaggio islandese, senza il mordente e la durezza respingente del passato), ma anche la ricchezza di sollecitazioni sulle tematiche di natura sociale, tipica del thriller scandinavo, ha finito per impoverirsi e ridursi a cenni zoppicanti (la solitudine degli anziani) o a richiami superficiali (l’immigrazione, il disagio giovanile, la tutela dell’ambiente, le tradizioni culturali). A questo si aggiunga che la parte crime, forse troppo articolata, presenta diversi passaggi farraginosi e a tratti poco credibili. Manca uno sviluppo fluido nelle indagini e i due mondi contrapposti, quello della Famiglia e quello dei motociclisti, finiscono per ridursi a rappresentazioni stereotipate e poco approfondite. Lo stesso vale per il rapporto tra padre e figlio / madre e figlio, in cui i contrasti vengono superati quasi magicamente, senza un approfondimento adeguato.

Su queste semplificazioni sarebbe però interessante capire quanto abbia inciso l’intervento post-produttivo di Netflix che ha tagliato le iniziali 8 puntate realizzate da Kormakur e dal suo team, portandole alle attuali 6.

Tante criticità che inficiano le ottime prove del cast, la qualità di alcuni episodi (il primo e l’ultimo in particolare) e un alternarsi di approfondimento psicologico e di azione che ha pochi eguali nelle serie degli ultimi anni. Tutti elementi che avevano costruito l’eccellenza di Trapped, serie pluripremiata dal pubblico e dalla critica, ma che da soli non bastano a qualificare la visione di questo sequel.

Titolo originale: Entrapped
Durata media degli episodi: 40 minuti
Numero degli episodi: 6
Distribuzione streaming: Netflix
Genere: crime, drama, thriller

Consigliato: a quanti cercano una serie che unisca approfondimento psicologico e personaggi credibili a investigazioni articolate ed emozionanti.

Sconsigliato: a quanti si aspettano un prodotto del livello di Trapped: purtroppo siamo abbastanza lontani dalla qualità del predecessore, soprattutto se utilizziamo la seconda stagione come termine di paragone.

Visioni parallele: per gli appassionati di thriller nordici Netflix propone diverse opzioni interessanti: Deadwind (Finlandia), The Valhalla Murders (Norvegia), The Chesnut Man (Danimarca), The Young Vallander (UK).Per quanti fossero interessati all’universo creativo di Kormakur, sempre su Netflix, segnaliamo la serie Katla, in cui i temi cari al regista si declinano in un originale mistery apocalittico.

Un’immagine: uno dei temi della stagione è la fragilità e la solitudine degli anziani: la tocchiamo con mano nelle figure dell’ex suocero e della madre di Andri. La regia ne descrive le abitudini con poche inquadrature che da sole valgono mille parole: Ericur che guarda il mondo dalla finestra e la madre che accompagna camminando con difficoltà il cane a fare una passeggiata nella notte. Su di loro si posa lo sguardo di Andri e quindi anche quello dello spettatore, mentre non sembra interessata la società, in cui ciascuno è chiuso nel proprio mondo.

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