Thor: Love and Thunder

Thor: Love and Thunder *1/2

Il quarto film dedicato al Dio del Tuono, il secondo diretto da Taika Waititi dopo Ragnarok, accentua esponenzialmente i molti difetti e i pochi pregi dell’ultima avventura asgardiana.

Il film comincia con un prologo che molto esplicitamente contiene già le due anime del film: quella melodrammatica e quella demenziale.

Gorr e la figlia sono nel mezzo di una tragica traversata nel deserto, ultimi seguaci di un Dio vanesio e presuntuoso. Allo strenuo delle forze, dopo aver perso la piccola bambina, Gorr trova un’oasi in cui rifocillarsi, occupata chiassosamente dalla sua divinità cafona, che è incapace di comprendere il suo sacrificio. Grazie ad una necrospada lo uccide, trasformandosi nel Macellatore di Dei e dedicando la sua vita ad una sola missione: sterminare le divinità.

Il suo obiettivo sembra essere Asgard.

Così Thor, che dopo le avventure con gli Avengers affianca i Guardiani della Galassia nel loro compito di polizia spaziale con esiti tragicomici, li abbandona per dirigersi verso New Asgard, il paese in cui Valchiria ha spostato i pochi sopravvissuti all’esplosione vista in Ragnarok.

New Asgard è sostanzialmente la parodia di un paesino nordico, meta turistica folkloristica.

Qui Thor deve affrontare i mostri creati nell’ombra da Gorr, ma scopre una nuova alleata, la sua ex Jane Foster che, malata di tumore, ha sentito la chiamata di Mjolnir e grazie al martello ricompostosi per l’occasione, si è trasformata in Mighty Thor.

Dopo che Gorr ha rapito tutti i bambini di Asgard, Thor, Valchiria, Jane Foster e il roccioso Korg, compagno di mille avventure, si dirigono a Omnipotent City, alla corte di Zeus per cercare alleati…

A Taika Waititi non sembra interessare per nulla la fabula di questo Love and Thunder, ridotto ad un canovaccio esilissimo su cui innestare le sue gag guascone e imbastire una serie di gustosi duetti che coinvolgono non solo Thor e Jane, come prevedibile, ma anche gli strumenti del Dio del Tuono, vezzosamente gelosi della loro centralità.

Mjolnir e Strombreaker, il martello e l’ascia, diventano così non solo personaggi a tutti gli effetti, spesso più espressivi dei protagonisti, ma anche oggetti di una curiosa storia di ossessioni e tradimenti.

Il rapporto feticistico del protagonista con le sue armi, da un lato consente di esporre e ridicolizzare la fascinazione dell’eroe per i simboli del suo potere, dall’altro ovviamente ridona centralità narrativa a questi strumenti nei quali si manifesta tutta la potenza del supereroe.

Anche qui il contrasto tra ironia demenziale e riflessione originale sui simboli finisce per alimentare il cortocircuito su cui tutto il film si regge.

Waititi non si cura della credibilità del racconto, della sua scansione temporale, della chiarezza narrativa, concentrandosi esclusivamente sui suoi personaggi, sulla costruzione di singoli momenti lasciando il resto alla deriva. Love and Thunder accumula bulimicamente registri diversi, cercando di contenere tutto, persino la sua stessa parodia.

Il film ne risulta così completamente sfrangiato, slabbrato: da un lato si sente il cuore del suo autore nel modo in cui mette in scena questa corrispondenza di amorosi sensi tra chi muore o è già morto e chi resta a piangerlo. Dall’altro si sente l’obbligo malriposto di dover infarcire il film di gag, calembour, battute, strizzate d’occhio perchè è quello che ci si aspetta da un film Marvel di Waititi dopo l’orrendo eppure fortunatissimo Ragnarok.

Le due anime non riescono mai davvero a dialogare, l’una depotenziando l’altra, lasciando solo la sensazione di un film fuori controllo, poco sorvegliato, che si perde ad ogni curva narrativa e che paga troppi debiti con le aspettative e con una formula che la Marvel pretende sempre riconoscibile.

In questa quarta fase del MCU, post Endgame, è abbastanza evidente che la società di Feige abbia smarrito qualsiasi originalità, continuando a macinare immagini e incassi per pura inerzia. Più l’universo narrativo si espande a serie e film marginali, più il giochino del grande universo condiviso mostra la corda in modo imbarazzante, cercando di celare il vuoto pneumatico su cui ormai è costruito.

Nemmeno gli attori sembrano crederci un granché, impegnati ad incassare velocemente l’assegno, gigioneggiando in maschere e costumi. Russell Crowe, sempre più pingue, impegnato in un paio di scene come Zeus è davvero al di sotto di ogni standard, ma anche Hemsworth e la Portman vanno col pilota automatico, così come Bale, che calvo e dipinto di grigio sembra quasi un effetto speciale, pur cercando in mezzo alle idiozie diffuse di mantenere quell’afflato tragico che pure il suo personaggio dovrebbe avere.

Nonostante i suoi limiti evidenti Love and Thunder funzionerà probabilmente bene al Box Office, perchè Waititi sembra prendersi a cuore il destino dei suoi personaggi: nel suo film si sente l’affetto e probabilmente il pubblico gli perdonerà sia le cadute nell’ironia più facile e innocua, sia una storia che non va da nessuna parte, tanto scontata da perdere quasi subito ogni interesse.

Sempre più inutili le scene post credit, ormai stucchevole vezzo di un brand incapace di cambiare.

La colonna sonora è sostanzialmente un tributo ai Guns’n’Roses con tutte le loro hit storiche: più che una scelta musicale sembra il vezzo di un fan. Ma anche in questo caso è meglio non farsi troppe domande.

 

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