Non c’è mai pace per le proprietà intellettuali di Hollywood.
Devono continuare a rendere, produrre utili, in qualsiasi forma: sequel, remake, reboot, merchandising, videogames, poco importa.
Le generazioni cambiano, il pubblico potenziale aumenta e ogni buona storia va sfruttata sino alla consumazione di ogni piccola idea.
Matrix aveva precorso i tempi e, dopo il successo epocale del 1999, le sorelle Wachowski avevano scritto e diretto, sotto l’egida di Joel Silver e della Warner Bros, due dei sequel più disastrosi e inutili della storia del cinema, giustamente inghiottiti nel nulla indistinto di un ricordo lontano e mai più frequentato, dal 2003.
Diciotto anni dopo il tempo è parso sufficiente alla major per immaginare nuovi capitoli delle avventure di Neo e Trinity.
Neo, che si era sacrificato alla fine di Matrix Revolutions per “salvare il mondo”, in realtà non è morto.
Le macchine l’hanno salvato e riattaccato ad un nuovo pod. Nella versione attuale di Matrix, Neo vive la vita di Thomas Anderson, un famoso creatore di videogames, il cui gioco più celebre era una trilogia chiamata… Matrix.
La società per cui lavora è costretta dalla Warner Bros (!!!) a progettare una nuova avventura e il socio di Thomas, Smith, mette in piedi una squadra che lo assiste nella nuova creazione.
Nel frattempo, nella caffetteria Simulatte, Thomas incontra una donna, Tiffany, che gli ricorda i fantasmi del passato.
Thomas ha tentato di uccidersi volando dal tetto di un grattacielo e da allora è costretto a lunghe sedute di analisi e ad assumere una pillola blu tutte le mattine.
Insomma, Lana Wachowski si sta prendendo gioco di noi spettatori, in maniera fin troppo esplicita.
E’ tutto un deja vu, come il gatto nero che compare continuamente.
Nel frattempo, fuori da Matrix, la comandante Bugs riesce a trovare un nuovo Morpheus, nascosto in un vecchio Modulo che Thomas ha riattivato e, dopo aver combattuto con i soliti agenti in giacca scura e occhiali neri, libera Neo, facendogli prendere la pillola rossa, che gli svela l’inganno della sua vita sintetica.
Tornerà Niobe e conosceremo il destino di Zion, riappaiono la bimba Sati, che è diventata una programmatrice che aiuta i ribelli, e persino il Merovingio, ma senza Monica Bellucci.
Inutile addentrarsi nelle speculazioni newage/marzulliane del nuovo film: valgono veramente poco.
E giustamente la Wachowski finisce per usarle come riempitivo, rispetto ad un film che vuole essere solo una limpida storia d’amore di mezza età, con Neo che riconquista la fiducia di Trinity ricostituendo quel legame indissolubile, che aveva dato un senso alla trilogia originale.
E che ancora è la forza trainante di questo nuovo capitolo, che sfrutta il tempo trascorso a suo favore, restituendoci i protagonisti storici come due reduci – di un’altra vita e di altre battaglie – a cui è stata data una seconda possibilità.
Il nuovo team, capitanato dalla volonterosa Jessica Henwick, ha una funzione solo ancillare, lo stesso Morpheus ringiovanito e dandy di Yaya Abdul-Mateen II non sposta granchè.
Più interessante il ruolo dell’analista interpretato da Neil Patrick Harris e quello del nuovo agente Smith, a cui Jonathan Groff (Mindhunter) dona una grazia del tutto diversa, ma non meno perfida e crudele.
Nel complesso l’operazione acquista significato solo nella sua dimensione testimoniale, solo nello spazio autoriflessivo e pieno di tenerezza, in cui due icone del cinema popolare degli anni ’90, ritornano ad indossare le giacche lunghe di un tempo e gli occhiali neri avvolgenti, senza nascondere le nuove rughe, gli acciacchi, la ruggine accumulata.
Non poteva poi mancare un’inversione dei ruoli anche all’interno della coppia, con Trinity che più volte viene in soccorso di Neo e si dimostra infine più potente dell’eletto.
La Wachowski evita di pasticciare troppo con gli elementi a sua disposizione, semplifica molto l’arco narrativo già nel secondo atto e si affida ai suoi attori.
Fastidiosissimi appaiono i flash dei vecchi film, che spesso accompagnano i personaggi che ritornano, sovente con sembianze diverse.
Il comparto tecnico è assolutamente ordinario questa volta: i collaboratori storici come il direttore della fotografia Bill Pope, il montatore Zach Staenberg, il musicista Don Davis e il mago degli effetti speciali John Gaeta, non sono stati più coinvolti.
Per il resto la Wachowski non aggiunge nulla a quanto di buono ricordavamo di Matrix e il suo nuovo lavoro non raggiunge mai davvero l’eleganza formale delle coreografie di Yuen Woo-ping, coinvolto nel 1999 per dare uno spessore diverso all’action fantascientifico contemporaneo.
Il senso di questo nuovo Matrix Resurrections ce lo daranno al massimo i dati del box office internazionale: siamo nel campo della pura exploitation. Idee nuove che rendessero necessario questo aggiornamento non ce ne sono. La Wachowski se ne rende conto perfettamente e nel film gioca in modo esplicito con i meccanismi di produzione e consumo.
Apprezziamo la sincerità, ma non basta.
In sala dal 1 gennaio 2022.