Julio Blanco è il patròn di una storica azienda di bilance di precisione, ereditata dal padre, che guida con spirito comprensivo e retorica paternalistica e familiare.
La fabbrica sorge in un’area industriale e di sviluppo in periferia, mentre la moglie gestisce in centro un negozio di abbigliamento. I due non hanno figli e come dice sempre Julio, gli impiegati e gli operai sono la sua famiglia.
La Blanco è finalista di un premio regionale a cui Julio tiene moltissimo. L’arrivo imminente della commissione di valutazione riempie i suoi pensieri.
Blanco cerca di essere comprensivo e di aiutare i suoi dipendenti: fa uscire di galera il figlio di un suo tecnico, accusato di aver picchiato un immigrato, si accorge che il capo della produzione, Mireilles, ha dei problemi con la moglie che si riflettono pesantemente sul lavoro e cerca di metterci una pezza.
Ma confortando e supportando il suo più antico collaboratore, Julio finisce per peggiore le cose ancora di più.
Nel frattempo un ragioniere della contabilità appena licenziato si è accampato fuori dai cancelli con i figli, manifestando la sua rabbia e non vuole sentire ragioni.
Ad aggiungere nuove preoccupazioni c’è una nuova stagista che Julio si porta a letto e che scopre essere la figlia di un suo caro amico, compagno di università.
Il film scritto e diretto da de Aranoa è una sapida commedia imprenditoriale e un ritratto del suo protagonista attorno a cui tutto il film ruota.
La bonomia di Julio pian piano mostra delle crepe sempre più profonde. L’atteggiamento compassionevole è solo un modus operandi per gestire l’azienda minimizzando i conflitti, senza risolverli.
Un atteggiamento ipocrita che alla fine lascia spazio a metodi di tutt’altro tipo, quando le questioni devono essere risolte e non rimandate.
Il film che comincia come una commedia leggera e divertita, sia pure preceduta da un prologo violento e notturno, si tinge sempre più di nero mano a mano che il patrón capisce che occorre usare le maniere forti.
Quanto forti? de Aranoa non lo chiarisce sino in fondo, lascia qualche dubbio irrisolto, suggerisce semmai che dietro quella parete di premi luccicanti a casa di Julio, vi sia una realtà molto diversa e che il fidato Fortuna ne custodisca i segreti più turpi.
E a poco serve che la giovane stagista abbia compreso benissimo il suo gioco e lo sfrutti sino in fondo, ribaltandolo contro di lui. E’ solo un detour drammatico che strappa un sorriso.
Più volte il film mette l’accento sull’idea di giustizia che le bilance Blanco dovrebbero garantire: peccato che quegli strumenti si rivelino spesso terribilmente fallaci.
Come dice il protagonista qualche volta bisogna truccare la bilancia perchè il risultato sia “giusto”. Il simbolismo è facile, eppure efficace. Solo che Julio Blanco è costretto a truccare non solo la bilancia posta all’ingresso della sua azienda, ma anche molte altre, con metodi assai poco ortodossi, per far tornare i conti nella sua impresa e nella sua vita.
Tutto per un premio in più sulla grande parete rossa di casa. Ma anche quello alla fine sembra un po’ storto: figlio di una realtà pesantemente manipolata.
Scelto dalla Spagna per gli Oscar, Il capo perfetto si giova di un Bardem invecchiato e imbolsito, che dietro gli occhialini rettangolari sembra celare ancora la crudeltà fatalista di un Anton Chigurh.
Non servono pistole ad aria questa volta, basta sfruttare le debolezze umane e la forza del capitale.
In sala dal 23 dicembre.