Secondo film per il celebratissimo regista televisivo londinese Miguel Sapochnik (Dr.House, Fringe, Game of Thrones, True Detective) che, dopo il debutto con Repo Man, aveva ripiegato sul piccolo schermo per quasi un decennio.
Anche questa volta siamo in un universo distopico e fantascientifico.
Dopo un’eruzione solare, che ha distrutto la barriera di ozono che protegge la terra, le condizioni di vita sono diventate proibitive e i raggi UVA uccidono.
Tra i pochissimi sopravvissuti c’è l’ingegnere Finch, che lavorava a St. Louis per la TAE Technologies. Si muove per la città desertificata con una tuta integrale protettiva, accompagnato da un piccolo robot che lo aiuta a recuperare cibo e oggetti utili. Nei laboratori sotterranei ella TAE lo attende un cane, Goodyear e un altro prototipo robotico, che Finch sta terminando.
L’esposizione alle radiazioni ha minato la sua salute e prima di soccombere al destino decide di mettersi in viaggio per compiere un RV modificato i 2900 km verso il Golden Gate di San Francisco.
Tra tornado, incidenti, fughe e racconti, Finch insegna al suo robot, che si fa chiamare Jeff, un po’ della memoria del suo mondo.
Il film scritto da Craig Luck e Ivor Powell mescola una serie di suggestioni millenariste e apocalittiche già viste molte volte, da The Road di McCarthy a Io sono leggenda, dallo stesso Cast Away con Hanks a The Martian.
Il film diventa una sorta di buddy movie di formazione con l’unico elemento nuovo del androide al posto del giovane o del bambino.
Hanks sembra muoversi in surplace, in un ruolo che recita col pilota automatico e che assume un po’ di spessore solo alla fine, quando Finch ci racconta un po’ del suo passato pieno di rimpianti, di occasioni perdute e solitudini.
Il duetto uomo-androide funziona anche, sia pure senza grandi invenzioni, tra lezioni di guida e lezioni di vita, ma l’impianto drammatico è piuttosto prevedibile, anzi stupisce l’assenza di grandi svolte od ostacoli, in un’avventura che si muove senza scosse verso un finale che resta comunque amaro: non ci sono incontri, la presenza umana rappresenta un pericolo da evitare.
Nonostante la produzione di Apple e di Robert Zemeckis, Finch rimane un lavoro assolutamente ordinario, professionale, che appassiona raramente, forse per quel sottofondo di misantropia che non abbandona mai il quartetto di uomini, cani e robot.