In Vilfrìdur più bella di Vaia, una nota fiaba islandese, Vaia, la sposa in seconde nozze di un sovrano locale, ribolle di rabbia quando Vilfrìdur, la figlia di primo letto del re, è lodata dai sudditi in virtù della sua luminosa bellezza. Alla base del risentimento, oltre al facile alibi del comportamento altezzoso della ragazza, troviamo un classico motivo di molta letteratura favolistica e fiabesca: l’invidia. Vaia propone a Vilfrìdur un’escursione in barca. Giunte su un’aspra isoletta, la regina approfitta di una distrazione della ragazza, riprende l’imbarcazione da sola e abbandona la rivale al suo destino, con la convinzione che Vilfrìdur sarebbe presto morta di stenti. Così non è. Due nani offrono riparo a Vilfrìdur all’interno di una comoda fenditura rocciosa, finché Vaia non la rintraccia, complice uno specchio magico più efficace di un radar. La sovrana raggiunge l’ingenua Vilfrìdur e la uccide servendosi di un subdolo espediente. Tutto finito? Macché. I nani riportano in vita la gradita ospite. Vaia ci riprova una seconda e una terza volta ma la figlia del re viene regolarmente resuscitata. Nell’ultima occasione, l’intervento del popolo nascosto degli elfi è provvidenziale. Nell’assalto finale la regina degli elfi promette a Vaia una cassa piena d’oro. È un inganno. Vaia precipita da una scogliera e muore… lei sì, definitivamente. Vilfrìdur eredita il regno del padre, assassinato in sua assenza dalla feroce matrigna (sotto la maschera, una trollessa avida di denaro e potere).
Teniamo a mente almeno quattro elementi della fiaba, la roccia, la magia, il ritorno alla vita, il popolo nascosto, perché in Katla, serie Netlix composta da otto episodi, li ritroviamo fedelmente. La roccia in questione è un vulcano attivo, coperto da nevi che si credevano perenni. Le trasformazioni del clima, molto evidenti alle latitudini artiche, contribuiscono a riportare alla luce qualcosa di stupefacente. Lo spazio inesplorato offre al vulcanologo Darri, testimone diretto di un evento incredibile, l’unica possibile spiegazione al miracolo di Vik, paese alle pendici del Katla oramai semideserto e compromesso dall’inquinamento atmosferico. Che accade lassù, in quelle lande sperdute alla fine del mondo?
In breve: la bocca del vulcano, attiva da un anno, oltre alle ceneri inizia a sputare fuori esseri umani, in tutto e per tutto simili ad altri esseri umani. Ripuliti dalle ceneri che li avvolgono, quasi a farne figure iconiche tanto simili ai corpi ritrovati di Pompei, i cloni mostrano una vitalità sconosciuta agli originali, anche perché gli originali sono… già morti, oppure moribondi, o ancora deperiti sul piano mentale, o nel migliore dei casi sconfitti da gravi vicissitudini esistenziali. Questi changeling o mutaforme, come qualcuno comincia a chiamarli, nel solco del folklore nordico rispolverato dalla cartomante del villaggio, esperta di saghe pagane nonché proprietaria dell’unico albergo di Vik, sono copie degli abitanti del luogo o di persone che con il paese hanno avuto a che fare in passato.
I changeling compaiono alla spicciolata. L’apripista è Gunhild. La donna, silhouette “giacomettiana” emersa dai fumi e dalle nebbie, si abbandona tramortita all’abbraccio dei suoi soccorritori. In ospedale Gunhild, ripulita dalla pece che ha addosso, prende letteralmente colore e chiede di Thor, un meccanico ora vedovo. Scopriamo che l’uomo ebbe un’intensa relazione extraconiugale con la vera Gunhild. Rintracciata in Svezia, sua patria di origine, la vera Gunhild, che ha un figlio guarda caso ventenne (sofferente a causa di una malattia genetica invalidante), decide di recarsi in Islanda per comprendere meglio gli avvenimenti. Dobbiamo sottolinearlo? Siamo nel profondo nord di tutti i nord, un nord gotico, sulfureo, livido e senza speranza. La vita di Thor, a seguito della sua colpa, è costellata di tragedie atroci e silenziose. La moglie suicida in mare, la figlia Ása dispersa nei giorni dell’eruzione, Grima, l’altra figlia, depressa e ormai incapace di vivere accanto al marito. Ása è il secondo changeling ad emergere dal ventre caldo del vulcano.
I fatti trascendono ogni logica. La scienza, la fede, il fervore religioso o la fiducia nella tradizione scadono a narrazioni fragili, sistemi di valori non in grado di dare un senso alla verità deflagrante che contamina irreparabilmente la realtà. I pensieri si scoprono deboli di fronte all’irrazionale. I “ritornati” destabilizzano relazioni personali già deteriorate. Nessuna famiglia è esente da traumi. Gisli, l’ambiguo capo della polizia locale, ha una moglie in fin di vita. Darri, il geologo in trasferta a Vik dalla capitale Reykjavik, è devastato da un lutto gravissimo. In Katla i silenzi trasmettono più delle parole. Passioni, positive e negative, affondano nel cuore dei protagonisti, in un processo di sorda macerazione interiore. Sofferenze e aspirazioni, mai gridate, filtrano in superficie, come bolle di gas intrappolate da troppo tempo nella crosta terrestre. L’allegoria, certo non inedita, è facile da decodificare: i changeling sono proiezioni viventi di desideri e di pregiudizi, di esigenze e di bisogni (emblematica la scena in cui il marito di Grima non riesce a vedere la moglie, ma solo il suo clone). L’inconscio flirta con il sovrannaturale. Uomini e donne di Vik, a cospetto di un figlio “rinato”, di un coniuge “guarito”, o della versione migliore di se stessi, attraversano un vasto spettro di sentimenti, incandescenti ed effimeri. Il disincanto è in agguato. L’illusoria ascesa verso vasti orizzonti di felicità prepara la discesa nei precipizi della nostalgia inconsolabile.
I changeling sono parti costitutive, organiche, di un ambiente ostile che, per paradosso, genera nuova vita. Occorre dire che il Katla esiste davvero ed è tenuto d’occhio con apprensione dagli islandesi. L’ultima eruzione risale al 1918. Nella serie, la desolazione naturale è un timbro estetico onnipresente. Il grigio della cenere e il nero dei campi dominano, sul piano cromatico, ogni singola inquadratura di esterni. È un inferno puntellato di crepacci, lingue di vapore e pozze d’acqua bollenti, un panorama brutale, sinistro e magnetico, in continuo mutamento. Gli animali sono parte di un racconto segreto, arcano, accessibile solo agli iniziati, segnatamente ai changeling, unici esseri ad avvertire il messaggio nascosto in loro. Corvi, cavalli, vacche, pecore, mufloni accennano, eloquenti e muti, alla dimensione del caos.
In Katla il paesaggio è caricato di una sostanza mentale e spirituale. Il visibile diviene metafora dell’attuale condizione umana. La questione ecologica traspare in filigrana. Il nero deserto, soggetto centrale e motore immobile di gran parte della serie, allude, con la sua presenza ossessiva, al tempo di frontiera che il pianeta sta attraversando. Non sappiamo cosa troveremo sotto il permafrost una volta fuso. Non conosciamo i segreti sepolti nel cuore dei ghiacciai in rapida ritirata. Non abbiamo idea delle conseguenze reali delle nostre azioni a lungo termine. Nessuno immagina quale arca di Noè potrà salvarci (e chi potrà salvare). I demoni venuti dal vulcano, nudi, coperti da fuliggine, insicuri, sono messi alla prova dalla brutalità di un mondo alieno. Gli unici punti di riferimento dei changeling sono i ricordi innati che gli “originali” insufflano in loro. La stretta dipendenza dalla vita degli altri ne fa coscienze alla deriva, serrate in gusci vuoti.
A meno di essere un Tarkovskij o un Béla Tarr, e quindi poeti di altissima levatura, giocare con la lentezza è sempre un rischio. Katla non è né Stalker (benché il topos della Zona, baricentro di tanta fantascienza, sia esplicito) né Satantango. Peraltro, dopo il successo di Le Revenants di Fabrice Gobert, il tema della ricomparsa appare un cliché. Balthasar Kormákur e Sigurión Kjartansson, i due showrunner e registi della serie, in certi momenti sembrano decisamente a corto di spunti. L’attesa si appiattisce su questa domanda: chi sarà il prossimo / la prossima a sbucare dal vulcano? Allo spettatore tentato di abbandonare a metà strada consigliamo comunque di andare avanti. L’ultimo episodio è un condensato di situazioni perturbanti.
“Siamo identiche ma due persone diverse”, dice Grima alla sua copia conforme, prima di ingaggiare con lei una scommessa mortale per spezzare la dualità. Ása, la sorella “rinata” di Grima, va incontro a una crisi di personalità quando scopre la scomoda verità su se stessa. Il rapporto tra le due Gunhild non si accende e non sfocia mai nel confronto drammatico, che ci attenderemmo. Magnea, la moglie del poliziotto Gisli, tornata a lui in salute, improvvisa una fuga on the road con la Magnea malata, uno sviluppo del racconto interessante, sebbene tardivo. Il piccolo Mikael è il personaggio più inquietante. Con lui, “remake” del bambino che fu, pazzo, piromane e autolesionista, Katla vira verso il thriller psicologico da paura. Forse è vero ciò che suggeriscono le leggende locali: i changeling sono figli di fate e folletti, creature senz’anima, gelide, potenzialmente sanguinarie e assassine perché prive di empatia e rimorsi. Eppure, queste fantasie incarnate, come insegna la migliore tradizione horror, sono solo riflessi di abiezioni tenute nell’ombra e fin troppo umane.
“Gli ultimi dieci anni hanno sconvolto un mondo, quel che restava della mistica nordica, fatta di saghe e valchirie. Ora nel Valhalla entra solo la moneta straniera. La tigre boreale torna a ruggire sfruttando le conseguenze del cambiamento climatico”, ha scritto a proposito dell’Islanda il giornalista Marzio G. Mian, cofondatore dell’associazione no profit The Arctic Times Project. È il trionfo del nuovo esotico, “l’ultima occasione di vedere scampoli di Terra ancora remoti, di calarsi in quel che resta di paesaggio primordiale prima che sia colonizzato dalla globalizzazione ed entri nell’era geologica dell’Antropocene”. Katla si inserisce nel tempo storico della mercificazione dei tesori naturali dell’isola, dell’apertura di nuove rotte commerciali facilitate dallo scioglimento dei ghiacci, della costruzione di porti giganteschi destinati ad ospitare navi russe o cinesi, dell’accaparramento di terra da parte di imprenditori interessati solo al profitto, del tramonto di molte attività tramandate di generazione in generazione, vedi l’allevamento di pecore, ostacolate dai progetti industriali.
Katla è un prodotto medio, ben al di sotto della soglia dell’eccellenza seriale. Il cast interamente islandese, tranne la svedese Aliette Opheim, puntella con mestiere e professionalità una trama pigra, superficiale, che si adagia con eccessiva indolenza sull’idea di base. Gli autori non valorizzano a dovere nemmeno il potenziale musicale della terra d’Islanda, che trapela solo ogni tanto, grazie alla voce di Björk. La serie è rimandata a un’eventuale seconda stagione, sperando di veder esplodere, a mo’ di geyser, tutte le potenzialità inespresse.
Titolo originale: Katla
Numero degli episodi: 8
Durata ad episodio: 45 minuti l’uno
Distribuzione in Italia: Netflix
Data di uscita: 21 Giugno 2021
Genere: Mistery, Drama, Sci-fi
Consigliata a chi: non si fida delle nuotate fuori stagione, mette sempre la sicura dopo aver usato il taglierino.
Sconsigliata a chi: odia l’espressione “sei rimasto lo stesso”, vorrebbe sdoppiarsi per fare quei lavori di casa che attendono da molto tempo.
– L’articolo di Marzio G. Mian è stato pubblicato sul numero speciale di Internazionale del 31 luglio 2020 dedicato al Viaggio;
– Un romanzo: La base atomica di Halldór Laxness (Iperborea, 2014);
– Un film: Storie di cavalli e di uomini di Benedikt Erlingsson (2013), disponibile sulla piattaforma Amazon Prime Video.
Una scena: il finale, presagio di ciò che verrà.