Le strade del male – The Devil All The Time *1/2
Il nuovo film di Antonio Campos (Simon Killer, Christine) prodotto da Netflix a partire dal romanzo di Donald Ray Pollock, è un melodramma a tinte foschissime, in cui il sontuoso cast di giovani talenti, finisce praticamente sterminato da una serie infinita di omicidi, suicidi, tumori e maledizioni, che pesano su Le strade del male, rendendolo del tutto indigeribile.
La sceneggiatura scritta dal regista con il fratello Paulo, va avanti e indietro nel tempo, tra il 1945 e il 1965, incrociando le storie dei molti protagonisti, con un determinismo narrativo che non impressiona più nessuno da un ventennio.
Siamo in Ohio e nell’ordine abbiamo: un soldato, Willard Russell, che torna da fronte del Pacifico, sposa una cameriera, che muore di cancro lasciando soli lui e il figlio Arvin; una coppia di serial killer, Carl e Sandy, che abborda autostoppisti, li fotografa e poi li fa a pezzi, immortalandoli come trofei di caccia; un poliziotto corrotto, che è il fratello di Sandy e che aiuta il piccolo Arvin, quando anche il padre si suicida; un predicatore invasato, che sposa una giovane orfana e poi la uccide, confidando nella resurrezione; un altro predicatore, laido e ipocrita, che si approfitta delle giovani fedeli, spingendole a gesti definitivi.
Il film si muove alternando gli episodi e le linee temporali, senza grande precisione narrativa, dovendo più volte tornare sulle scene, per evitare la confusione.
Tutti usano la parola del Signore per giustificare le peggiori atrocità: forse il vangelo non è mai arrivato in Ohio, sono fermi al Vecchio Testamento, ai sacrifici, alla violenza vendicativa e primordiale, alla legge del taglione.
Mentre le pistole sparano, i corpi cadono, il sangue abbonda e la depravazione si accumula, il film assomiglia ad un polpettone stopposo, immangiabile e che sazia dopo mezzo boccone.
Campos si prende maledettamente sul serio, si affida ad un voice over magniloquente, letto dallo stesso autore del romanzo, ma il suo film è di una pesantezza insopportabile, che non prevede mai uno scarto, una deviazione, una svolta inattesa. Tutto accade esattamente come ce lo aspetteremmo: la morte chiama altra morte, la violenza si somma ad altra violenza, in un film carico di croci, di chiese, di simboli, di scelte irreparabili, in cui non si vede mai neppure l’ineluttabilità del destino, quanto piuttosto la mano di ferro dei due sceneggiatori, che muovono i loro personaggi come pedine su una scacchiera.
Se questo è uno dei film di Netflix più attesi della nuova stagione, francamente ha fatto bene la società di Hastings e Sarandos a saltare i festival autunnali, che avrebbero smascherato velocemente il bluff.
Disastrosi quasi tutti gli attori coinvolti, ingrassati, imbruttiti, quasi a voler rappresentare anche esteticamente l’animo nero e gretto che li accomuna. Si salva quasi solo Robert Pattinson, ma anche il suo predicatore sessuomane è una figurina senza spessore, come ne abbiamo viste fin troppe.
Il Midwest come coacervo di puritanesimo maschilista e bigotto, di religiosità superstiziosa, di violenza brutale e perversa: l’obiettivo è chiaro per Campos, solo che il suo racconto è talmente piatto e monodimensionale, che alla fine non rimane nulla, se non la sensazione di aver perso un sacco di tempo, quantomeno per i 138 minuti de Le strade del male.
