In viaggio verso un sogno – The Peanut Butter Falcon **1/2
Versione riveduta e corretta del classico di fine Ottocento di Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, In viaggio verso un sogno nasce dal desiderio del protagonista, il ragazzo down Zack Gottsagen, di diventare un attore.
I due registi Tyler Nilson e Michael Schwartz l’avevano conosciuto ad un camp estivo nel 2011. Dopo un provino video, con il quale hanno raccolto i finanziamenti necessari, il progetto si è concretizzato nel corso dell’estate del 2017 con l’ingresso nel cast di Shia LaBeouf e Dakota Johnson e le riprese in Georgia.
Presentato con successo al SXSW di Austin nel marzo 2019, il film ha avuto una distribuzione limitata la scorsa estate, diventando tuttavia un successo a sorpresa capace di incassare oltre 22 milioni dollari nei soli Stati Uniti.
Per la coppia di registi si tratta del primo lungometraggio, premiato con una nominations al Director’s Guild of America per il miglior esordio.
Il film racconta la fuga da una casa di riposo del ventenne Zack, un ragazzo affetto dalla sindrome di down, senza una famiglia. Appassionato di wresting, Zack vede ossessivamente una vecchia videocasssetta del lottatore Salt Water Redneck e sogna di iscriversi alla sua scuola di wrestling.
Sulla sua strada trova Tyler un pescatore senza licenza, che ha provocato la morte dell’amatissimo fratello Mark e si ritrova senza affetti e senza lavoro. Quando brucia le trappole per i granchi di colui che ha ereditato la licenza del fratello, è costretto anche lui alla fuga.
Zack e Tyler finiscono subito per intendersi: sono due drop out, due emarginati, due cuori puri incapaci di integrarsi nelle regole comuni.
Sulle loro tracce c’è Eleonor, l’assistente sociale della casa di riposo da dove è fuggito Zack e Duncan, il pescatore che ha visto le sue esche andare in fumo e cerca Tyler per vendicarsi.
In viaggio verso un sogno è il classico indie americano, esordio all’insegna dei buoni sentimenti, della solidarietà tra ultimi, dell’illusione libertaria di un sogno americano che sopravvive solo nelle fantasie di chi non ha più nulla.
Venato di una sottile malinconia, animato da una tenerezza che non diventa mai stucchevole, il film segna anche un altra tappa nel recupero di Shia LaBeouf, nel suo percorso di redenzione personale e professionale, dopo il notevole e autobiografico Honey Boy.
Anche qui l’attore si ritaglia il ruolo della spalla, del coprotagonista. E anche qui il film lo scopre fragile, indifeso, perduto nei suoi demoni, capace tuttavia di rimettersi in piedi, trovare un orizzonte, magari proprio nella condivisione con una nuova imprevedibile famiglia.
Il film in gran parte ambientato sull’acqua, sfrutta senza grande enfasi lo scenario naturale in cui è immerso, restando tuttavia sempre dalla parte dei suoi attori.
Il titolo originale fa riferimento al nome d’arte scelto da Zack per il suo debutto come wrestler. Quello italiano invece preferisce un sapore vago e indistinto.
Il minimalismo della messa in scena e il naturalismo della recitazione, spesso spontanea e imprevedibile, corrispondono verosimilmente allo spirito dei personaggi ed alle necessità produttive, aderendo al contempo allo stile che spesso associamo ai film indie americani, che Nilson e Schwartz non mi sembra vogliano mettere in discussione.
Una favola moderna, zuccherosa quanto basta.