Cane che abbaia non morde **1/2
Yun-ju è un giovane ricercatore universitario che attende senza fortuna di diventare professore.
Vive in una periferia urbana senza identità, con la moglie incinta, all’interno di un condominio enorme. Infastidito dal continuo abbaiare di un cane, quando una mattina trova scendendo le scale un barboncino abbandonato, lo identifica come la causa dei suoi problemi e cerca di sbarazzarsene.
Lo porta sul tetto, ma non ha il coraggio di buttarlo giù, lo nasconde quindi nel sinistro scantinato condominiale.
Quando però la proprietaria del cane, assieme ad una generosa e sensibile impiegata, addetta alle affissioni, attacca dei manifesti per segnalarne la scomparsa, indicando che il cane non può abbaiare per un’operazione alla gola, Yun-ju non solo è afflitto dai sensi di colpa, ma capisce di non aver risolto i suoi problemi.
Scende nello scantinato per liberare il piccolo barboncino, ma non lo trova. Scopre invece l’addetto alle pulizie del palazzo, intento a cucinarsi furtivamente uno stufato dalla dubbia provenienza…
Nel frattempo un amico gli suggerisce di pagare una tangente al rettore dell’università, perchè quello è l’unico modo per diventare professore.
Sia la vicina di casa, sia la moglie acquistano dei piccoli cani, trasformando la sua esistenza in un incubo surreale.
In occasione della recente canonizzazione di Bong Joon ho, capace di vincere con Parasite la Palma d’Oro e l’Oscar nello stesso anno, come non accadeva dal 1955, la distribuzione ha deciso di rilanciare il suo primo capolavoro, Memorie di un assassino del 2004, che arriva nelle sale italiane con un ritardo di soli diciassette anni.
Ci è sembrato opportuno tuttavia recuperare anche il suo film esordio, Barking Dogs Never Bite, del 2000, inedito nel nostro paese, come tutti i suoi film precedenti a Snowpiercer.
Il film nasce come una satira del racconto ottocentesco Il cane delle Fiandre della scrittrice inglese Ouida, molto popolare nel sud est asiatico, che Bong decompone e ricompone, trasferendolo nella periferia di Seoul.
Il film si apre con un cartello che avverte gli spettatori: non sono state usate violenze sugli animali e che le riprese si sono svolte alla presenza dei loro addestratori. Tuttavia oggi sarebbe assolutamente impensabile produrre un film come Barking Dogs Never Bite.
Bong costruisce un altro racconto metaforico sulle differenze sociali e di classe, con un’amarezza grottesca, che avremmo imparato a conoscere e apprezzare nelle sue opere più mature.
Anche qui tutto nasce da un paradosso, ovvero il professore frustrato, costretto a casa, perchè non è in grado di ‘pagarsi’ una cattedra, che identifica i suoi problemi nell’abbaiare di un cane misterioso. Quando decide di passare all’azione, si accorge che ci sono gradi diversi di abiezione e di esasperazione, di generosità e gentilezza.
Scopre che c’è un piccolo mondo sommerso, che vive nell’enorme scantinato del suo palazzo, che non ha i suoi sensi di colpa e lotta per la sopravvivenza, con i mezzi che gli sono dati.
E scopre che la moglie e la giovane impiegata, che sembrano essere le sue nemiche involontarie, finiscono per essere le sue migliori alleate.
La satira sociale è affilata e crudele, lo sguardo di Bong assai meno controllato e formale rispetto ai suoi film successivi, ma non meno sensibile, e se si supera lo shock dei maltrattamenti sugli animali, che pure avvengono quasi sempre fuori campo, il film si rivela il più vicino a Parasite, per temi e atmosfere.
Se il film ha l’andamento di una commedia surreale, pian piano insinua riflessioni assai più nere sul contesto sociale e culturale in cui si muovono i protagonisti: si consideri come Bong descrive i rapporti di lavoro, paternalistici e misogini ad ogni livello.
Il rettore corrotto, che passa le sue sere ad ubriacarsi con quelli che ha fatto promuovere, la moglie di Yun-ju licenziata perchè incinta, l’impiegata Hyun-nam rimproverata e poi licenziata, per aver aiutato il protagonista ad affiggere i manifesti, il custode del palazzo che arrotonda il suo magro stipendio, rapendo i cani del vicinato.
La scala sociale, sembra dirci Bong, si è rotta e per risalirla ci sono solo due possibilità: la corruzione o il successo effimero che solo la tv può dare.
E alla fine, a pagare per tutti, sono davvero gli ultimi, quelli senza possibilità e dignità.
Memorabile la liberazione sul tetto del cane di Yun-ju e la fuga per le scale dell’impiegata Hyun-nam.
Byun Hee-bong è il custode del palazzo, che ritroveremo poi tra i protagonisti di The Host e poi ancora in Okja. Bae Doona, qui al suo secondo film, è l’addetta alle affissioni, forse l’unico personaggio veramente positivo del film. Anche lei tornerà a lavorare con Bong in The Host.
La malvagità e il caos che sembrano governare il microcosmo del film, si estendono come uan sineddoche all’intera società coreana.
Dietro l’apparente leggerezza di una commedia stralunata, si cela la riflessione di chi non ha mai smesso di guardare al proprio paese e alle sue strutture sociali, culturali ed economiche con severità e occhio critico.
In Italia grazie alla PFA solo nell’aprile 2023, dopo l’anteprima al Florence Korea Film Fest.