Years and Years. E ora cosa accade?

Years and Years ***1/2

What happens now? Cosa accade ora? In Years and Years sentiamo con regolarità questa domanda. Uno dei protagonisti, a turno, nei momenti topici, la pone a voce alta. Nel piccolo mantra è riassunta la convinzione del nostro tempo: ora che la Storia procede a salti, qualcosa deve necessariamente accadere. Years and Years è una miniserie britannica coprodotta dalla BBC e da HBO, ambientata tra il 2019 e il 2035. Come in State of the Union, il punto di rottura è la Brexit. Nessuno può prevedere con certezza cosa succederà dopo, un salto nel buio dove l’unica certezza è la tendenza dell’evoluzione tecnologica ad accelerare e a travolgere gli steccati.

Molti critici hanno paragonato l’ultima creatura di Black Mirror, serie assurta a pietra di paragone, e di inciampo, di tutte le distopie contemporanee. La differenza di impostazione, verrebbe da dire filosofica, tra Years and Years e Black Mirror è però evidente e comporta anche una divergenza tra le due scritture. Qui, nei sei episodi che ruotano attorno alla vicende della famiglia Lyons, gli sviluppi tecnologici non diventano oggetto di tematizzazione esclusiva e soprattutto, nel corso della narrazione, è evitata ogni deriva moraleggiante. Per questo la serie di Davies, sceneggiatore di molte stagioni recenti di Doctor Who, è perfino più angosciante di quella firmata da Charlie Brooker. Il naturalismo, qualità estetica di Years and Years, avvolge lo spettatore con la forza seduttiva di un sogno troppo vero per non essere reale. Qui non abbiamo a che fare né con i cascami del determinismo 4.0 né con le fantasticherie della nuova teologia della singolarità. Perfino la scelta radicale della giovane Bethany, diventare qualcosa a metà tra il biologico e la macchina, è una soluzione all’infelicità personale radicata nell’umano. Ogni evento è politico e non trascende il campo di responsabilità individuale e collettivo. Il discorso tenuto dell’anziana nonna Muriel ad una famiglia seduta a tavola e segnata dal lutto, un momento evocante certe epifanie joyciane entrato di diritto nella leggenda delle serie tv, è una delle vette autoriali di Years and Years. Ci torneremo in seguito.

Vivienne Rook, chi era, anzi, chi è costei? La televisione rappresenta il focolare domestico anche negli anni Venti del Ventunesimo secolo e Vivienne, fondatrice del Four Star Party (da chi avranno copiato?) è una spregiudicata imbonitrice delle masse. Nelle sue parole, destra e sinistra, guarda caso, non esistono più. D’altronde, sia laburisti che conservatori hanno deluso, i candidati civici indipendenti non riscuotono il successo di una volta e i Verdi, nonostante Greta e le catastrofi climatiche ormai all’ordine del giorno, non sembrano entusiasmare l’elettorato. Emma Thompson ci mette del suo, e non è poco, considerato il suo immenso talento, per fare della candidata alle elezioni e futuro primo ministro un personaggio indimenticabile. Dobbiamo ammetterlo: questa tizia repellente, ignorante, sinceramente populista, è anche simpatica, accattivante e parla un linguaggio schietto, accessibile a tutti. Viv è una donna miliardaria, che straccia il politically correct affermando, durante pubbliche interviste e con estrema naturalezza, di fregarsene delle questioni nevralgiche che interessano alla stampa. Il conflitto israelo-palestinese? Semplice,“I don’t give a fuck”. Lasciamo al lettore l’onere della traduzione. Che altra risposta dare, quando gli inglesi non arrivano a fine mese? I Lyons non sono degli ingenui eppure qualcuno di loro ci casca. Rosie, la sorella più giovane affetta da spina bifida e costretta su una carrozzella, madre single di due figli avuti da padri diversi, inizia a trovarla interessante, al contrario di Daniel, il fratello gay dichiarato, di professione house officer, impiegato nelle strutture di accoglienza riservate ai rifugiati ucraini affluiti in Inghilterra a seguito dell’invasione russa, che la reputa un pagliaccio. What happens now?

Oltre a Rosie e a Daniel, la famiglia Lyons è composta da Stephen, operatore finanziario sposato con Celeste, padre di due figlie, ed Edith, attivista radicale specializzata nel promuovere cause umanitarie nelle zone più depresse e fragili del pianeta. Quattro fratelli molto diversi l’uno dall’altro, quattro persone della classe media del terzo millennio legate sentimentalmente a una grande casa di famiglia, una dimora dalle molte stanze governata dalla nonna-matriarca, solido rifugio ed elemento simbolico opposto alla liquidità sociale e ai processi di smaterializzazione.

Astuzia degli sceneggiatori: la casa, poggiata in un angolo di campagna, non rifiuta le comodità del 5G. La nonna chiacchiera amabilmente con Signor, l’onnipresente assistente virtuale, al pari dei suoi nipoti trentenni e quarantenni. Years and Years schiva l’opzione più semplice, ovvero presentarci polarità ideologiche tagliate con l’accetta, conservazione vs innovazione, ottimismo vs reazione. Ogni anno, per il suo compleanno o per le occasioni importanti, Muriel chiama a raccolta i nipoti. Stephen, Daniel, Rosie e, una volta tornata dalle sue missioni, anche Edith, quattro figli abbandonati ancora bambini, o al massimo adolescenti, da un padre fedifrago, segnati dalla perdita prematura della madre, si ritrovano così, stretti l’uno all’altro nella medesima stanza in un faccia a faccia rituale. Le loro chiacchierate, anche virtuali, servono a misurare l’impatto dei cambiamenti politici, culturali e, in accezione epistemologica, di paradigma sulle loro vite. Le feste si concludono nel giardino, dove tutti patiscono il freddo delle nottate di Manchester.

Gli autori non ci risparmiano nessuna sciagura possibile. L’eccezione traumatica, in Years and Years, è sempre regola. Prendiamo il primo incidente evocato dalla serie, il missile nucleare sganciato da Donald Trump sull’isola artificiale di Hong Sha Dao nel Mar Cinese Meridionale, proprio nell’ultimo giorno del suo mandato, un regalo confezionato per Xi Jinping che causa migliaia di morti. Il fatto viene inserito in una concatenazione logica, che ha origine nelle tensioni presenti già oggi, realmente, sullo scacchiere geopolitico globale, le crescenti tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, senza dimenticare le frizioni internazionali che insistono su quel quadrante di Pacifico. Years and Years non è un prodotto ascrivibile al genere della fantascienza, è piuttosto un ibrido sospeso tra il dramma sociale e il mockumentary distopico. Cosa stiamo guardando, se non il futuro come potrebbe evolvere, date le premesse di partenza, cioè i semi che noi stessi stiamo gettando, qui e ora?

Quando scoppia la bomba, perfino i ragazzini inebetiti dagli smartphone si risvegliano e guardano la televisione. La sceneggiatura gioca con la tradizione del filone catastrofico. In Threads, ad esempio, agghiacciante film inglese post-apocalittico del 1983, la guerra nucleare traccia un confine netto tra un prima e un dopo. L’esplosione atomica battezza una nuova era. Le cronache del dopobomba registrano lo squallore indicibile dello stato di natura. In Years and Years, viceversa, l’incidente di Hong Sha Dao è contenuto. Non vi è alcuna escalation, le sirene suonano, ma nessuna testata atomica cade su Manchester. L’attesa della fine è paradossalmente delusa. Solo Edith, che converge dal Vietnam sull’isola per prestare soccorso, è investita fisicamente dal disastro sotto forma di radiazioni letali. I medici le danno al massimo dieci anni di vita. Quella notte convulsa Daniel raggiunge Viktor, un rifugiato ucraino ospitato nel campo profughi. What happens now?

Daniel lascia il marito per Viktor. Edith torna in patria e riprende la sua lotta contro il sistema. Stephen sperpera l’intero patrimonio della sua famiglia in una speculazione finanziaria azzardata. Licenziato, scende negli inferi della gig economy. Celeste, la moglie, perde il lavoro a causa dell’intelligenza artificiale. Bethany, la figlia disadattata e incapace di venire a patti con il proprio corpo, inizia il suo percorso di trasformazione transumana, che la conduce su terreni minati (l’episodio dell’occhio impiantato fa venire i brividi e non spoileriamo oltre). Rosie, esperta di cucina, soccombe al mutamento delle abitudini alimentari imposto dalla modernizzazione ed è costretta a reinventarsi. Intanto, anno dopo anno, l’architettura costituzionale delle nazioni europee va in frantumi sotto i colpi della demagogia. Tesi storicamente antitetiche collassano nell’unico calderone populista. La Spagna ‘socialista’, investita da una rivoluzione di estrema sinistra, abbraccia tesi oscurantiste in tema di diritti civili. In Italia, ci informano i notiziari, è imposta la legge marziale. In Gran Bretagna attentati con ordigni radioattivi (dirty bombs), compiuti da terroristi senza volto, si alternano a devastazioni ambientali causate da un clima impazzito. Un mare di sfollati scappa dalle zone colpite. Viv sale al potere, aiutata da misteriosi deep fake che esasperano la diffidenza dei cittadini verso la politica. Il suo programma di governo, finalizzato a restituire dignità al Regno Unito, contiene una carta nascosta, l’istituzione degli Erstwhile, campi non segnati sulle mappe dove la natura fa il suo corso…

Un cenno a Viktor, la cui storia di emigrazione, persecuzione e passaggio “illegale” di frontiere occupa una parte significativa di trama. Le sue peregrinazioni forzate rimandano alle atmosfere di In this world di Michael Winterbottom (2002), mentre i meccanismi disumani della burocrazia del futuro prossimo venturo meritano l’appellativo di “kafkiani”. Perché un uomo scacciato dal suo paese per gli orientamenti sessuali non dovrebbe ricevere asilo in una nazione “civile”? Qual è la sua colpa? Un elogio va agli autori, capaci di tessere, a tal proposito, una narrazione coinvolgente scansando la trappola del piagnisteo politicamente corretto. Molte sono le sfaccettature antiretoriche di Years and Years: un amore omosessuale con caratteristiche atipiche (Daniel nonostante le vicissitudini patite da Viktor vota per i conservatori), una coppia interrazziale distrutta dal tradimento, segno che il melting pot ha ripartito equamente i vizi umani, una ragazza che getta alle ortiche la sua libertà consegnandosi al governo salvo poi usare i superpoteri cibernetici per ribellarsi ad esso e propiziare l’organizzazione di nuclei di resistenza. Su tutto giganteggia, dicevamo, il discorso di Muriel, una presa di coscienza e una risposta alla deresponsabilizzazione del singolo di fronte all’urgenza delle trasformazioni. Nulla, afferma l’anziana, è ineluttabile. Siamo noi che, davanti alle prime casse automatiche, non abbiamo detto niente. “It’s our fault” di Muriel contro “I don’t give a fuck” di Viv: ecco la sintesi di Years and Years. Il finale è un capitolo aperto e solleva nuovi interrogativi etici. Se Black Mirror valica spesso il confine della metafisica allontanando l’uomo da ogni centro decisionale, la serie di Davies compie il percorso inverso, esortando il soggetto a rendersi protagonista delle sue scelte.

Oltre a Emma Thompson, gli attori che interpretano la famiglia Lyons compongono una squadra affiatata e bilanciata. Russle Tovey, che vedremo nel film in uscita di Bill Condon, L’inganno perfetto, è Daniel; Jessica Hynes, scrittrice e artista in genere attratta da ruoli brillanti, interpreta Edith; il jamesbondiano Rory Kinnear è Stephen; Ruth Madeley, attrice sulla sedia a rotelle, grazie alla sua bravura ha ottenuto la parte e convinto gli autori a modificare lo script, trasformando Rosie da normodotata a disabile; T’Nia Miller, apparsa in Doctor Who, è Celeste; Max Baldry, vincitore di un Young Artist Award nel 2008, interpreta Viktor; Anna Reid, decana del cinema e del teatro britannici, è Muriel.

E ora? What happens now?

Titolo originale: Years and Years
Numero degli episodi: 6
Durata media ad episodio: 55-58 minuti l’uno
Distribuzione originale: BBC One e HBO
Genere: Political Drama, Social Issues Drama

Consigliato a chi: cerca le prove della vita dopo la morte e crede che la tecnologia ci abbia dato l’opportunità di trovarle;

Sconsigliato a chi: gira canale quando il telegiornale apre la pagina di politica estera;

Visioni, letture e ascolti paralleli:

– L’album The Book of Traps And Lessons (2019) della cantautrice e poeta Kate Tempest, voce critica appartenente alla nuova generazione di autori britannici;

– L’ultimo romanzo del grande scrittore Ian McEwan: Macchine come me (Einaudi, 2019);

– Un libro di taglio sociologico sull’era della post-verità e dell’emergenza cibernetica: Nuova era oscura di James Bridle (Nero Edizioni, 2019).

Una frase. Ci affidiamo al filosofo Paul Virilio (L’incidente del futuro, Raffaello Cortina Editore), quando commenta così l’eccitazione manifestata dallo scienziato Freeman Dyson davanti alla prima bomba atomica: “nel gioco di distruzione del fisico”, scrive Virilio, “la Terra è un astro già morto e l’incidente della Scienza fa parte di quelle cose che noi continuiamo a fare solo per il fatto che non lo dovremmo, che non lo potremmo fare”.

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