Saturday Fiction **1/2
Shanghai, 1 dicembre 1941.
In piena occupazione giapponese, la grande attrice Jean Yu torna in patria da Hong Kong, per partecipare ad una piece del regista Tan Na.
Nelle concessioni francesi e inglesi, la resistenza si organizza e invia messaggi preziosi agli Alleati.
Il Cathay Hotel dove alloggia la diva è un paravento per le attività di spionaggio, grazie al suo direttore, Saul Speyer e al diplomatico francese Hubert. Ciascuno gioca la sua parte in tragedia, mentre il capitano giapponese Furuya prepara le sue mosse in codice, assistito da fedele tiratore Kajiwara.
Miss Yu e Tan Na provano le loro scene in teatro, in vista della prima, ma vita e rappresentazione si confondono sempre più e la diva è al centro di un intrigo che avrà un’importanza decisiva per l’evolversi del conflitto.
Melò di amori traditi e mai dimenticati, Saturday Fiction è un film di spie e intrighi che solo l’insistita camera a spalla che pedina i suoi personaggi tradisce di modernità.
Per il resto ben avrebbe potuto essere un recupero di Venezia Classici. Il bianco e nero ovattato e grigiastro, la pioggia battente, gli impermeabili, i capelli sempre bagnati, il sangue nero sullo schermo, le pistole che sparano, i registratori che carpiscono i segreti, i codici morse, le onde corte.
Tutto l’armamentario classico del melò, con vendette e fatalismo che si diffondono a piene mani.
Non si può vincere, perchè il finale è scritto, per quelli che ricordano la Storia e le date. E neppure i libri ci potranno salvare, come mostra Hubert nel finale, perchè tutto è vano, la guerra incombe e quel piccolo mondo che gli alleati avevano costruito nella città occupata è destinato a finire nelle deportazioni e nel sangue.
Il ritorno di Gong Li alla Mostra dopo i trionfi in coppia con Zhang Yimou è segnato dall’incontro con Lou Ye, uno dei registi arrabbiati della Sesta Generazione, quella di cui anche Jia Zhangke fa parte: registi che rifiutavano la storia, preferendo il minimalismo del contemporaneo, con tutti i rischi e le difficoltà che comportava.
Saturday Fiction è una sorta di sconfessione di quel percorso? Possibile, anche se Lou Ye utilizza una messa in scena antiretorica, gli scontri a fuoco sono tutt’altro che classici e il pessimismo di fondo è assai più esistenzialista di quanto piacerebbe al regime.
Anche perchè torti e ragioni si fanno confusi, il personale prende il sopravvento e la vendetta sembra l’unica vera forza che spinge i personaggi principali.
Contraddittorio.
