Chambers: un horror soprannaturale dispersivo e superficiale

Chambers **

Sasha è un’adolescente che vive in una riserva indiana in Arizona. Una sera, mentre cerca di fare sesso per la prima volta con il suo ragazzo, ha un attacco di cuore e viene salvata solo grazie ad un trapianto, reso possibile dalla morte di un’altra ragazza, Becky LeFevre.

Sasha sta affrontando i problemi tipici della sua età: la ricerca di un equilibrio con il fidanzato, il rapporto di amore/odio per la famiglia che poi è il suo tutore Big Frank (Marcus Lavoi) dato che la madre è morta; la necessità di scegliere se continuare gli studi o avviare un’attività lavorativa con l’amica Yvonne. Quel qualcosa dentro di lei di oscuro e di non controllabile è una sensazione che provano tutti gli adolescenti e che solo il passare degli anni permette di gestire senza farsi e fare del male.

Ma dopo il trapianto c’è qualcosa di diverso.

Nella vita di Sasha (Sivan Alyra Rose) infatti non entra solo il cuore di Becky (Lilliya Scarlett Reid), ma tutta la sua famiglia che vuole mantenere un contatto con la figlia morta tramite la persona che vive grazie al suo cuore. Prima si tratta solo di un invito a cena, poi una borsa di studio e quindi il regalo di un’auto. Sarà suggestione o depressione post traumatica, ma Sasha inizia a percepire sensazioni e ricordi di Becky. Non è poi così strano: i LeFevre le hanno cucito addosso la vita della figlia morta, mettendola a contatto con lo stesso ambiente e le stesse amicizie. Tra queste assume tratti inquietanti Penelope (Lilli Kay) da sempre ossessionata da Becky e che, dopo essere stata la sua migliore amica, si è allontanata da lei a seguito di un violento alterco. In realtà sembra che Becky volesse fare del male ed allontanare tutte le persone a lei più care, come il fratello Eliott (Nicholas Galitzine) peraltro con forti problemi di dipendenza da droghe. Entrambi sono di aiuto a Sasha che inizia una vera e propria indagine e, attraverso vicoli ciechi e percorsi tortuosi, arriva a scoprire le circostanze della morte di Becky. Un suicidio. Tutto risolto? Per niente. La situazione peggiora perché Sasha è sempre più posseduta dallo spirito di Becky che non sembra volerla abbandonare. L’unica soluzione è continuare ad indagare per scoprire le ragioni che l’hanno spinta al suicidio: tutto sembra ricondurre alla Fondazione Annex, cui appartengono entrambi i coniugi LeFevre, Nancy (Uma Thurman) e Ben (Tony Goldwyn). Questa Fondazione aiuta le persone in difficoltà emotiva, con dipendenze o anche con problemi di concepimento: nel grande e moderno edificio, pulito e asettico, dove ha sede al Fondazione avviene però qualcosa di strano.

Con il passare degli episodi la trama assume tratti sempre più horror e tanto lo spettatore approfondisce la conoscenza della Annex quanto più sente aumentare il senso di inquietudine e di claustrofobia, fino al finale in cui Sasha finalmente riesce a liberarsi di Becky, riappropriandosi della propria vita. Ma anche questa volta la tranquillità è solo passeggera.

Le vicende sono ambientate in un’Arizona in cui la natura incombe con la propria forza travolgente e gli uomini sono sempre sul punto di scontrarsi: i poveri con i ricchi, ma anche i bianchi con i nativi americani e gli stessi indiani tra di loro. La sensazione è che basti davvero poco per accendere la miccia. Sentiamo nell’aria quel senso di depressione e al contempo di appartenenza che alberga nelle minoranze etniche americane, in questo caso gli indiani navajo. Una scelta molto azzeccata perché consente anche di navigare in un retroterra magico ed esoterico che fa da contrappunto alla cultura New Age della Annex e della middle class americana. Peccato che questa navigazione sia sempre molto pilotata, fatta per lo più di descrizioni utilizzate strumentalmente a fini drammaturgici, senza alcun reale approfondimento per la cultura navajo. Per fare un esempio, l’importanza che i Nativi americani riservavano alle donne e la loro libertà nell’organizzazione tribale sorprenderebbe molti membri dei movimenti femministi. La sceneggiatura perde l’occasione di dare respiro a differenze così ricche di spunti antropologici e disperde le proprie energie con personaggi poco credibili che rischiano di far deragliare la storia nel ridicolo (come la vecchia maga che bazzica il sottotetto della casa di Sasha e Big Frank): la suggestione di fondere le due culture in un corpo, quello di Sasha appunto, meriterebbe uno sviluppo più articolato. Anche il confronto tra il mondo di Sasha e quello di Becky presenta poco spessore e si limita ad esprimere una diversità fine a se stessa, senza alcuno spunto di analisi sociale o socio-economica. Lo stesso dicasi per il rapporto di simbiosi-dipendenza delle piccole cittadine americane con le sette new age. Peccato.

La scrittura si è giustamente dedicata a tessere una tela ampia, in grado di coprire i personaggi fino al finale, lasciandoci per lungo tempo brancolare nel buio, storditi tra mille congetture e l’ansia di non sapere di chi potersi fidare. Il finale finisce così per pagare dazio ai personaggi disseminati nei dieci episodi e alla necessità di riprendere molte situazioni rimaste aperte. L’obiettivo è concludere tutte le divagazioni, ma la conseguente accelerazione di ritmo finisce per ingarbugliare la matassa.

I limiti di scrittura non sminuiscono il valore visivo della serie che trova nei primi due episodi per la regia di Alfonso Gomez-Rejon (regista texano che ben conosce questi paesaggi desertici al confine con il Messico) un punto di riferimento estetico. E’ soprattutto un grande impatto cromatico (e sonoro) a consentire allo spettatore di immergersi nelle visioni di Sasha e nel sovrannaturale: scelta che presuppone una fotografia in grado di fare la differenza. La qualità maggiore della serie è però la contaminazione dell’horror con il genere drammatico che viene esaltata da performance generose degli attori principali, come un’ottima Uma Thurman che sprofonda nel dolore fino ad una gravidanza isterica e alla compromissione del proprio rapporto con il figlio che la accusa di pensare solo alla sorella defunta.

Chambers è un prodotto che conferma l’assoluta preminenza di Netflix nel settore di mercato rivolto al target Young Adult, cioè quelle opere che si rivolgono per tematiche, protagonisti e linguaggio visivo a ragazzi adolescenti, in genere di età compresa tra i dodici e i diciotto anni. Ma il pubblico potenziale va ben oltre questa fascia: negli ultimi anni i confini del genere YA si sono espansi in modo significativo, coinvolgendo generazioni di trentenni e quarantenni. Merito di prodotti con diversi livelli di lettura e di negoziazione. Le tematiche di questa categoria sono quelle del fantastico, del distopico e dell’horror, come dimostrano le principali serie YA rilasciate da Netflix negli ultimi mesi: Chambers appunto, ma anche The Society o The order.

Al momento non sappiamo se verrà confermata la seconda stagione dello show, ma i molti aspetti da chiarire disseminati lungo le dieci puntate, per non parlare degli sviluppi nel finale del personaggio di Sasha, lasciano intendere che l’orizzonte narrativo non si sia concluso. La speranza è che una scrittura meno dispersiva possa supportare il notevole senso estetico della serie e valorizzare al meglio le qualità di Uma Thurman.

Titolo originale: Chambers
Numero degli episodi: 10
Durata media ad episodio: 55 minuti
Distribuzione streaming: Netflix

CONSIGLIATO: A chi vuole immergersi in un horror dall’atmosfera non usuale e che è disposto a sacrificare la coerenza e la completezza narrativa a fronte di un prodotto coinvolgente e piacevole.

SCONSIGLIATO: A chi cerca una storia quadrata, senza falle e passaggi a vuoto e che crede che sia meglio mettere meno carne sulla piastra, ma cuocerla a fuoco lento.

VISIONI PARALLELE:

The Haunting of Hill House, un’ottima serie tv Netflix in cui il sapore horror si combina con grande sapienza a quello drammatico. Rimandiamo alla nostra recensione per maggiori elementi.

The Dark (I segreti di Winden), anche in questa serie tedesca ci sono adolescenti protagonisti, ma la coerenza narrative è decisamente superiore.

UN’IMMAGINE: quando lo sguardo della madre di Becky che sta facendo running si imbatte in quello di un cerbiatto che sembra volerla accompagnare durante la corsa. Lei pensa ad un segnale della figlia morta e noi per un attimo ci sentiamo in un film di David Lynch. Solo per un attimo, purtroppo.

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