Game of Thrones 8: sesto episodio

Dark Mirrors e Stanze di Cinema vi racconteranno le sei puntate dell’ultima stagione del Trono di Spade con uno speciale, per ogni episodio. Questo è il sesto ed ultimo: The Iron Throne. La recensione contiene degli spoilers: se non volete rovinarvi la sorpresa, leggetela dopo aver visto la puntata.

Game of Thrones 8: sesto episodio **1/2

E’ una scena simpatica quella del primo Concilio Ristretto presieduto da Tyrion e non potrebbe essere diversamente dato i membri che ne fanno parte: le discussioni, il gioco delle parti, le differenze non vengono meno con questo nuovo corso, ma certamente gli interpreti ci lasciano sperare in un miglioramento se non dei risultati, almeno della prospettiva. Tyrion aveva anche provato a darsi un contegno (e a darlo al Concilio), mettendo tutte le sedie in ordine. Ma se ci sono uomini in carne ed ossa che quelle sedie le devono utilizzare e se questi uomini hanno il peso specifico di Bronn o di Lady/Ser Brienne allora  bisogna rassegnarci e tutto sommato Tyrion lo fa di buon grado. Il pensiero va alle numerose riunioni dei consiglieri del sovrano a cui abbiamo assistito in passato: davvero qualcosa è cambiato. La macchina da presa si allontana dalla discussione con un leggero movimento, come se in punta di piedi ci stessimo allontanando dal tavolo, per lasciarli lavorare, tra un scaramuccia verbale ed una delle tante storie che piace raccontare al Folletto.

Il passaggio al Nord è brusco e la macchina, anche in questo caso come tante altre volte, scende costeggiando la barriera per mostrarci tre cavalieri che si avvicinano all’ingresso di Castello Nero. Tre macchie, tre corvi tra il bianco del paesaggio. Poi il respiro di Jon, come se una valanga di emozioni e di ricordi lo stesse per seppellire, mentre il cancello si apre. L’inquadratura si sposta alle spalle di Tormund che lo sta guardando dall’alto di un camminamento. Non c’è tempo per l’emozione tra i due vecchi amici perché il portone si chiude, maestoso ed immoto come a suggellare la fine non solo di un viaggio, ma di una parte della vita di Jon. Noi restiamo fuori, almeno per il momento. Lo schermo diventa nero: c’è uno stacco, necessario sotto molti aspetti.  Passaggio di tempo, cambio di tono, sintesi di un percorso e preparazione al momento del vero commiato.

ll montaggio alternato ci permette di accompagnarli un’ultima volta. Ciascuno di loro sta per ripartire, con i propri oggetti cari, con il proprio stile, con la propria storia passata. La spada di Jon, quella di Arya,Il bel vestito di Sansa ci raccontano ancora una volta qualcosa di familiare. Il loro preparasi, legato ad oggetti che hanno una storia è un modo elegante ed essenziale per ricordarci che quella storia l’abbiamo vissuta insieme e che potremmo passare (e sono sicuro che lo faremo) delle ore a ricordare tutte le emozioni che ci hanno fatto vivere Lungo Artiglio o Ago e a discutere dei cambiamenti nello stile di Sansa. Terminati i preparativi è il momento di muoversi: la macchina è alle spalle di Arya che esce dalla cabina di una nave, di Jon sul camminamento di Castello Nero, di Sansa tra le torce che illuminano fiocamente i corridoi scavati nella pietra di Grande Inverno. Sono avvolti nel buio, simbolo del percorso che ciascuno di loro ha dovuto affrontare per arrivare dov’è adesso. Finalmente è la luce ad illuminare il volto dei tre fratelli Stark. Al loro passaggio lo spazio si apre e la macchina da presa assume una posizione sopraelevata per dare l’idea della maestosità del contesto e del compimento di un destino. C’è anche un saluto tra Jon e Spettro , di nuovo felici insieme. La maestosità non è solo quella delle spade sguainate che acclamano la Regina del Nord, ma è anche quella della nave di Arya, con la sua prua a forma di lupo, così come sulle vele  si gonfia nel vento  il simbolo di casa Stark. E’ particolarmente emozionante vedere quel lupo, animale di terra e ghiaccio, che si fa strada tra le onde del mare. Poi il grande portone lentamente si apre e tutto finisce dove era cominciato, oltre la barriera. In un crescendo musicale il popolo libero si perde nella foresta. E Jon con loro.

Se la sequenza finale è sicuramente quella meglio riuscita dal punto di vista stilistico, con un montaggio alternato efficace ed avvolgente, credo meriti una citazione anche il momento in cui Brienne completa sul grande libro dei Lord Comandanti delle Guardie Reali  la storia di Jaime Lannister. E’ una sequenza emotivamente forte, resa con grande abilità da Gwendoline Christie, sempre perfettamente calata nella parte della gigantessa di casa Tarth. Ella rende omaggio al cavaliere prima che all’uomo che ha amato e scrivendo la sua storia fa di fatto due cose: la prima è riabilitarne la memoria, la seconda continuare a farlo vivere. E’ come se fossimo seduti al fianco di Brienne mentre scrive, lentamente: condividiamo tutta la tempesta di emozioni che la prende nello scrivere la storia dell’uomo che l’ha lasciata per tornare da Cersei e trovare la morte tra le sue braccia. La scelta di intingere più volte la penna nel calamaio, di voltare con cura le pagine ed infine di chiudere sonoramente il libro, come liberandosi da un peso, rende questa sequenza una delle migliori dell’episodio.

Le storie dicevamo: finalmente ne appare chiara tutta l’importanza. Oltre al libro di Lady Brienne nella Sesta compare anche il libro in cui l’arcimaestro Ebrose ha scritto la storia dei Sette Regni dopo la morte di Robert Baratheon, Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco, appunto. Ma se andiamo con la memoria ai singoli personaggi, risulterà evidente come per ciascuno di loro le storie siano state qualcosa di fondativo. Daenerys che fin da bambina ha sentito raccontare dell’assassinio del padre Aerys e di quello che i Targaryen avrebbero fatto una volta catturato il responsabile e la storia del Trono, costruito fondendo le spade dei nemici sconfitti dal grande avo Aegon; le storie di principi e principesse che Sansa sentiva raccontare e nel cui mito è cresciuta; le storie delle lotte dei primi uomini con gli Estranei raffigurate nella grotta posta sotto Roccia del Drago che contribuiscono a convincere Daenerys della necessità di aiutare Jon; la storia di Bran il Costruttore che fece edificare la Grande Barriera e che prefigura un altro Bran, Lo Spezzato. E’ proprio Il potere delle storie alla base della scelta di nominare Bran re dei Sei Regni (non sono più sette, il Nord è indipendente). E allora è davvero coerente con tutto lo sviluppo degli eventi dire, con Tyrion che “Non c’è nulla al mondo di più forte di una buona storia. Niente può fermarla, niente può sconfiggerla”.

Le vicende della Sesta dell’Ottava nel complesso ci sembrano un po’ slegate e gli episodi non riescono ad avere un tessuto connettivo naturale, restando piuttosto come monadi in uno spazio comune. La sensazione è quella di chi deve terminare una lista della spesa piuttosto che di chi accompagna naturalmente lo svolgersi degli eventi. Detto questo, la resa è come sempre di altro livello e la prova degli interpreti, in particolare Peter Dinklage ed Emilia Clarke è ancora una volta notevole.

Altri critici hanno visto in questo episodio uno dei migliori della stagione, ma tutta la Sesta è stata divisiva come mai in passato: la stagione ha vissuto di alti e bassi, personalmente identifico i primi soprattutto nell’aspetto visivo e sonoro ed i secondi in una sceneggiatura a tratti troppo facile.

Qualunque sia la vostra opinione sull’Ottava, Game of  Thrones è giunto alla conclusione. E’ stata la serie televisiva trasmessa in simultanea nel maggior numero di Paesi. E’ stata la serie più seguita della storia della Tv. E’ stata la serie che ha vinto più Emmy Awards e quella che ha conseguito il maggior numero di Nomination. In Otto Stagioni ha ottenuto più del doppio delle nomination di ER (al secondo posto di questa ‘classifica’) in 15 anni di programmazione. E l’Ottava, sia piaciuta o meno, aggiungerà altri riconoscimenti perché ancora una volta sono stati toccati punti di eccellenza. Ancora una volta è stata spostata l’asticella. Ed è questo che rimarrà dal punto di vista tecnico.

Ma se milioni di persone non sono andate al lavoro per vedere in diretta il finale di GOT vuol dire che c’è qualcosa di ancora più profondo che va al di là dell’aspetto tecnico: la serie ha davvero rappresentato il nostro tempo in modo unico. Le nostre paure collettive, in primis. L’esigenza di rivalutare gli spazi ed il ruolo delle donne, soprattutto rispetto alla gestione del potere. La ciclicità delle sfide da affrontare per salvaguardare la razza umana. Se a questi temi  vengono intrecciate le grandi questioni che da sempre muovono gli uomini, come il potere, la famiglia, l’onore e l’amore si capisce perché GOT sia riuscito a parlare ad una platea straordinariamente ampia ed eterogenea.

Non passerà facilmente il ricordo di tutto questo.

Basterà una battuta, un motto, un’immagine e torneremo al fianco di Jon, Sansa e Arya. Basteranno degli occhi troppo azzurri per farci tremare le gambe o la prima neve per farci temere l’arrivo di un lungo inverno. Basterà uno sguardo accigliato per ricordarci che i debiti vanno sempre pagati e se resteremo troppo tempo con il volto sott’acqua ci ricorderemo una volta di più che solo quello che è morto non può più morire.

IN PILLOLE

  • Dove: Sky Atlantic (doppiato in italiano dal  27 maggio).
  • Durata: 1h e 20 minuti.
  • La cosa che ci è piaciuta di più: il modo in cui Sansa interrompe lo zio Edmure e lo fa sedere mentre sta per proporsi come degno Sovrano dei Sette Regni ex aequo con la risata che accoglie il tentativo di Samuel di parlare di democrazia.
  • Il personaggio: Jon Snow

Il particolare: il vestito di Sansa, all’incoronazione. Finalmente ha messo da parte le tonalità scure da Guerriero per assumere un tono anche cromatico oltre che umorale più moderato, più sereno. Bellissimo il ricamo a foglie rosse che richiama quelle del Grande Albero Diga.

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