Documentarista attento ai mutamenti sociali e politici, con un sguardo particolare sul paesaggio urbano e le sue evoluzioni, il regista francese di origini maliane Ladj Ly debutta finalmente nel cinema narrativo, partendo da un suo cortometraggio nominato ai César nel 2018, intitolato proprio Les Misérables.
Victor Hugo c’entra fino ad un certo punto, perché la storia di Stéphane e dei suoi nuovi partner nella Squadra Anticrimine, si svolge proprio là dove lo scrittore aveva ambientato il suo capolavoro ottocentesco.
Quasi un secolo e mezzo dopo Montfermeil é solo una periferia ricca di fermenti e culture diverse, perennemente in cerca di un equilibrio, che consenta a tutti una convivenza apparentemente impossibile. L’architettura disumana e desolata sovente ripresa da un drone, é uno degli ostacoli piú grandi.
Proprio un drone diventerà il casus belli, capace di sconvolgere il potere consolidato del piccolo boss, che si fa chiamare Le Maire e mantiene la pace tra maliani, gitani, musulmani e una paranza di bambini.
Le gang locali rispettano i modi violenti della Squadra Anticrimine, che i poliziotti Chris e Gwada hanno imposto nel quartiere: gli equilibri dipendono anche dalla loro presenza: sono una parte dello stesso sistema.
Quando peró sparisce il cucciolo di leone dal circo degli Zeffirelli, la tensione sale, ma nessuno sembra conoscere il colpevole.
Saranno Chris, Gwada e il nuovo arrivato Stéphane a scoprire le responsabilità, ma a che prezzo?
Le resistenze all’arresto si trasformano prima in dramma – quando da una pistola a pallettoni parte un colpo non dovuto – e poi in una vera e propria rivolta.
La banlieue messa a ferro e fuoco come nel 2005: chi riuscirà a fermarsi per primo, evitando di scatenare l’odio e le distruzioni?
Il film di Ly sembra una piéce teatrale, per come evoca sul proscenio tutti gli attori protagonisti, il coro, i comprimari, lasciando ad ognuno lo spazio giusto.
Il contesto urbano, le tensioni razziali e il peso di destino e volontà ricorda ovviamente la lezione del primo Spike Lee, ma Ly ci mette una conoscenza non superficiale del crogiolo di Montfermeil, nel quale é nato e nel quale é cominciata la sua carriera di videomaker, fin dal 1997.
E se lo scontro é costruito in modo sin troppo emblematico e la tenuta drammatica non si accompagna sempre ad uno sguardo sufficientemente rigoroso e controllato, si tratta di difetti che non danneggiano troppo un film, che ha dalla sua soprattutto l’onestà intellettuale di non offrire soluzioni semplici a problemi complessi.
Chiudendosi con un’iride sul volto di uno dei protagonisti, che abbandoniamo senza conoscere davvero il suo destino.
Ly si ferma un attimo prima dell’irreparabile, quasi a voler rivolgere ai suoi spettatori l’interrogativo piú angoscioso, mentre un magma incandescente scorre sotto la calma apparente.
Non basta una vittoria mondiale, firmata dai ragazzi delle banlieue, a unire il Paese. Le magliette dei Blues sono solo un feticcio da personalizzare, ma si é ancora troppo divisi, soprattutto là dove la miseria economica rende decisiva ogni scelta e la tolleranza è una chimera, che vanifica talenti e aspirazioni.
I buoni e i cattivi, gli uomini di pace e quelli che preparano la guerra ci sono in ogni campo, tra i rappresentanti della legge e tra chi gestisce il potere criminale. Riusciranno i primi a disinnescare le armi degli altri? Oppure il conflitto é solo rimandato?
A chiudere il cerchio, ancora Victor Hugo: “Amici miei, tenete a mente questo: non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.
In Italia dal 18 maggio 2020 in VOD.