New York City. Nadia Vulvokov è una programmatrice informatica. Il giorno del suo trentaseiesimo compleanno la sua amica Maxine decide di organizzarle una festa. Quella sera stessa Nadia muore, investita da un’auto mentre attraversa la strada. Tutto finito? Macché. Nadia si risveglia, se così si può dire, illesa, nel bagno dell’appartamento dove si svolge il party, covo di artisti modaioli. Un sogno? Un’allucinazione? Nadia crede di essere pazza. Il ciclo delle morti e delle resurrezioni continua ad accadere, Nadia comprende, con sgomento, di trovarsi bloccata in un loop temporale. Comunque vada, dopo qualche ora morirà. E tornerà in vita come se non fosse successo nulla. O quasi.
Russian Doll si regge sull’artificio narrativo dei paradossi temporali, un topos del genere fantastico sfruttato molte volte nell’industria del cinema, di serie a e b (Groundhog Day, Primer, ARQ, Prima di domani, per citare alcuni titoli). Certo, non ci troviamo di fronte a una rivoluzione estetica o ad un prodotto dai contenuti innovativi, tuttavia la serie Netflix non merita di finire nel limbo del déjà-vu. Più ci inoltriamo nella visione dei brevi episodi, otto di venticinque minuti l’uno, più i dubbi lasciano il campo a un giudizio favorevole. Fin dal fotogramma di apertura, si impone, con prepotenza, il talento comico/drammatico di Natasha Lyonne, mattatrice assoluta di Russian Doll, nonché ideatrice della serie insieme ad Amy Poehler e a Leslie Headland. L’attrice, nota al vasto pubblico per aver interpretato il ruolo di Nicky Nichols in Orange is the new black, trasfigura in questa bizzarra storia di matrioske la sua intera biografia, i suoi tormenti e le sue difficoltà esistenziali. Con le dovute proporzioni, per rimanere nel campo di un’analogia frutto di suggestioni recenti, Natasha Lyonne sta a Russian Doll come Clint Eastwood sta a The Mule. Entrambi i protagonisti, qui Nadia e là Earl, sono maschere che coagulano sullo schermo, piccolo o grande che sia, fatti e circostanze ricavati dal vissuto reale dei rispettivi attori.
Natasha Lyonne si caratterizza in Russian Doll per una matassa di capelli rossi e grandi occhi sgranati. Le sue note fisiche bucano lo schermo ma sono le sue dure esperienze personali a incidere nella carne viva del racconto. “Tu sei ebrea?”, chiede Maxine. “Si, ma non per scelta”, risponde Nadia. Una battuta caustica, degna di Woody Allen, un chiodo piantato nel muro dei ricordi. Nata a New York da genitori di religione ebraica, due nonni sopravvissuti all’Olocausto, emigrata in Israele a otto anni per tornare negli Stati Uniti un anno e mezzo dopo, Natasha Lyonne, da bambina, soffre l’ambiente dell’Upper East Side di Manhattan. Natasha combatte una sorta di sindrome da spaesamento abusando di sostanze psicotrope fin da adolescente ed è anche espulsa da una scuola privata ebraica per possesso di marijuana. Si allontana dai genitori, che confessa di non amare e, sedicenne, va a vivere da sola.
Le verità scomode dell’esperienza si annidano in ogni angolo. Alcool e droghe abbondano in Russian Doll, stigmate negative di un modo di essere teso alla dissoluzione del sé, cattive abitudini avvolte da un alone di humour nero. La sigaretta, offerta immancabilmente da Maxine a ogni “risveglio”, è corretta alla cocaina, “come sono soliti fare gli israeliani”… Nella serie, il palazzo che ospita la festa era precedentemente una scuola ebraica, forse un luogo abitato da fantasmi. Nadia si convince di dover interrogare un rabbino per arrivare a capo dell’assurdo enigma. È però la figura materna il totem al centro della serie. Nadia è costretta a tornare ripetutamente sul rapporto con Lenora, folle madre incapace di amarla e di tenerla accanto a sé. Nadia è cresciuta con Ruth, amica di famiglia e, di professione, psicoterapeuta. Vita e finzione si riflettono, ancora e con insistenza, vicendevolmente. Non finisce qui. Il tema della morte si allaccia alla dura prova superata da Natasha nel 2012, un intervento a cuore aperto, resosi necessario per mettere riparo alla devastazione fisica causata dalla tossicodipendenza. La performance dell’attrice in Russian Doll rappresenta, ci auguriamo, il superamento definitivo, nelle forme della sublimazione artistica, di una tendenza autodistruttiva coltivata da lungo tempo.
Russian Doll è una commedia cinica e sulfurea. Nadia scopre di non essere l’unica persona a sperimentare il bizzarro fenomeno delle resurrezioni. Mentre sta morendo in ascensore, conosce Alan, interpretato da Charlie Barnett. I due condividono lo stesso destino. La depressione dell’uomo si incastra, in un contraltare simmetrico, con l’esuberanza vulcanica di Nadia. Alan scopre, proprio quella sera, di essere stato tradito dalla fidanzata Beatrice (Dasha Polanco, anche lei, come Charlie Barnett e Natasha Lyonne, reduce da Orange is the new black), rea di aver allacciato una relazione con il suo professore di letteratura, Mike Kershaw (Keremy Lowell Bobb), viscido lumacone acchiappastudentesse, nonché amante, almeno in uno degli universi paralleli, di Nadia. Alan, ragazzo fragile e sensibile, si suicida gettandosi dal tetto. Ci vorranno molti cicli di “rinascite”, siglate da morti ridicole o spettacolari, perché Nadia e Alan intuiscano il senso del legame tra di loro e procedano allo scioglimento liberatorio da ogni vincolo. Vi è un punto di svolta, una divaricazione spazio-temporale, che segna il percorso per entrambi. Solo nell’ottavo episodio apprendiamo l’origine storica della sfasatura.
Con perfida ironia, gli autori hanno inserito nel racconto la vicenda di un gatto smarrito, appartenente a Nadia, animale dal pelo rosso, forse un suo avatar. Una scena, tra le tante, è topica. La protagonista riesce ad individuare il fuggitivo in un parco pubblico e ad acciuffarlo, ma Oatmeal alias Zuppa d’avena, questo il suo nome, le svanisce dalle mani, dissolto nell’aria. Certo, sarebbe stato troppo semplice e immediato chiamare direttamente il gatto Schrödinger… comunque nulla ci leva dalla testa che qui si celi un riferimento al felino ideale, evocato dal geniale scienziato austriaco, al fine di spiegare, attraverso un celeberrimo esperimento mentale, i paradossi della fisica quantistica. L’errabondo Oatmeal funge da escamotage metaletterario, un espediente narrativo utile a inquadrare Russian Doll nel suo valore metaforico: la serie esplora il significato della coesistenza, per usare un’espressione tratta dalla mistica buddhista, di tremila istanti in un singolo istante di vita (ichinen sanzen). Si consideri una battuta all’interno di un dialogo: “Credi sia possibile correggere la propria vita?” domanda al suo amico Ferren, proprietario di un market, eletto a crocicchio di destini incrociati come nell’Edipo Re di Sofocle. “Adesso mi trovo nella posizione in cui finalmente potrei fare le cose per bene”. Questione di posizione, appunto, come nel principio di indeterminazione formulato da Heisenberg… Sarà mai possibile conoscere un sistema fin nei dettagli senza perturbarlo? Chi è in grado di misurare con precisione tutti i fattori, e le scelte, che lo hanno condotto verso una certa direzione?
Russian Doll si traduce in italiano con ‘bambola russa’. Strato dopo strato, matrioska dopo matrioska, il nucleo di dolore sepolto affiora e prende forma. Nadia si accorge di essere stata, in taluni frangenti, spregevole con le sue amiche e con il suo ex fidanzato. I suoi atti di contrizione si trasformano in scuse per ciò che ha fatto e non avrebbe mai dovuto fare, e ad ogni ciclo successivo, una dinamica che rimanda al concetto filosofico-religioso di karma, gesti e parole impattano sulla realtà modificandola in un processo di semplificazione e restrizione del campo di indagine. Alcune persone scompaiono dalla festa. Dalle pareti si smaterializzano oggetti. Gli specchi si frantumano, richiamando un evento cruciale nell’infanzia di Nadia. La realtà pare rispondere alle regole grammaticali di un videogioco. Indizi? Il quarto episodio è intitolato La routine di Alan, routine è il termine con cui in informatica si designa una sequenza di istruzioni. Nel settimo episodio Nadia, sviluppatrice e designer di videogame, illustra la sua teoria sui loop temporali ricorrendo alla sua cassetta degli attrezzi: “è come un bug, è come se un programma continuasse a bloccarsi, un bug è solo il sintomo di un errore nel codice”.
Lo scambio tra esistenza reale e dimensione virtuale è un’analogia presente nella trama, fino a diventare una componente strutturale della storia. Ad ogni ritorno in vita, Nadia è costretta a scendere le scale. Se cade, muore. Se supera l’ostacolo, suppone, come un “player” avveduto, che vi saranno nuove insidie: una fuga di gas, un boccone andato di traverso, un’auto che corre troppo veloce. Tutto ciò Nadia può anticiparlo con certezza solo se è già andata avanti nella sfida. Le varianti sono infinite. Chi può affermare se sia meglio accettare o non accettare una tazza di tè da Ruth? Sarà conveniente sfogliare il caro libro d’infanzia, scritto dalla stessa autrice di ‘Anna dai capelli rossi’? Fermarsi o non fermarsi con il senzatetto nel parco? Quale azione preferire nell’interazione con i vari personaggi del “livello” di gioco, sempre uguali e sempre diversi? In fondo al tunnel degli errori c’è la verità che Nadia ha rimosso. E Freud è l’ennesimo ebreo illustre, oltre ad Einstein e a Schrödinger, che fa capolino nella serie, attraverso la figura di Ruth, madre adottiva, protettiva e complice.
La serie sfodera un tappeto di sottolineature sonore mai fuori posto. ‘Gotta Get Up’, canzone del 1971 di Harry Nilsson, battezza tutti i rientri in scena di Nadia, mentre il ‘Concerto per pianoforte e orchestra n.4 in sol maggiore’ di Ludwig van Beethoven è il sottofondo classico che accompagna gli eterni ritorni di Alan. Cass McCombs, Pony Sherrell, Anika, Timber Timbre, Cults sono alcuni nomi della scena indie arruolati dagli autori per riempire di sostanza musicale i momenti della serie.
Russian Doll è una serie atipica che merita il nostro plauso e anche il bollino di qualità di Dark Mirrors, quantomeno per il coraggio esibito da Natasha Lyonne nello smascherare se stessa.
CONSIGLIATA A CHI: non passerebbe mai sotto una scala appoggiata alla parete, non ama festeggiare il proprio compleanno, è fuggito almeno una volta da una festa;
SCONSIGLIATA A CHI: ha il terrore di far morire il proprio pesce rosso, si arrabbia a morte quando perde ai videogiochi, detesta le riunioni di lavoro il lunedì mattina.
PERCORSI DI VISIONI E DI LETTURE PARALLELE:
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Tra i film testé citati: Primer di Shane Carruth (2004), produzione indipendente, pellicola vincitrice del Gran Premio della Giuria al Sundance Festival;
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Un classico della letteratura sui mondi a più dimensioni: Flatlandia di Edwin A. Abbott (Adelphi).
TITOLO ORIGINALE: Russian Doll
NUMERO DI EPISODI: 8
DURATA DEGLI EPISODI: 25 minuti l’uno
DISTRIBUZIONE originale: Netflix
DATA DI USCITA: 1 Febbraio 2019
UNA FRASE PER RIASSUMERE LA SERIE: Natasha Lyonne, che ha studiato cinema e filosofia, ha dichiarato di amare il concetto di rivolta esistenziale di Albert Camus, e di ispirarsi in particolare alla seguente massima: “L’unico modo per affrontare un mondo non libero è diventare così liberi che la vostra stessa esistenza diventi un atto di ribellione”.