Quattro anni di lontananza dal grande schermo, poi Steven Soderbergh ha interrotto il suo annunciato ritiro, per ritornare ancor più frenetico e feroce di prima, con il bellissimo heist movie La truffa dei Logan e poi con Unsane, un thriller psicologico, girato in 4k assieme a Claire Foy, grazie all’uso di tre cellulari iphone 7s e all’app FiLMiC Pro.
Il risultato è approdato alla Berlinale a fine febbraio, provocando reazioni contrastanti. Tra i tanti volti della sua straordinaria e poliedrica professionalità, Soderbergh ha scelto quello più indie questa volta, costruendo un b-movie di genere, claustrofobico, assillante, che disturba e non concede nulla allo spettatore, stravolgendo l’immagine consolidata della sua protagonista, nota sinora per il ruolo della giovane regina Elisabetta in The Crown.
Qui invece interpreta una donna in carriera, Sawyer Valentini, costretta a lasciare la sua città e la sua famiglia a Boston, trasferendosi in Pennsylvania per sfuggire ad uno stalker, che le aveva reso impossibile la vita.
Cercando conforto in un consultorio per vittime di reati sessuali, in un vicino ospedale, confessa di aver accarezzato il pensiero del suicidio. Convinta a firmare un modulo standard, si ritrova invece rinchiusa in una struttura concentrazionaria, privata dei suoi oggetti personali, del suo cellulare, dei suoi vestiti e costretta in una camerata con un gruppo di persone tutte con una diversa fragilità.
L’unico a darle conforto è Nate, un tossicodipendente, rinchiuso lì per un periodo di quattro settimane.
Ma l’incubo non è ancora cominciato, perchè nel turno di notte, Sawyer sembra riconoscere il suo stalker in uno degli infermieri. Sarà davvero così?
Unsane è un piccolo film assillante e disturbato, che sembra mettere sullo stesso piano la violenza istituzionalizzata di chi finisce nelle maglie di queste strutture di assistenza, pensate solo per drenare fondi dall’assistenza privata, secondo lo schema che il brillante Nate rivela a Sawyer, e la violenza privata, quella soffocante e imprevedibile dello stalking.
Per raccontare questa discesa agli inferi personale e sociale, Soderbergh sceglie quindi di realizzare tutto il suo film con un telefonino, ovvero con l’arma privilegiata di ogni stalker, amplificando così il senso straniante di essere costantemente pedinati e osservati, che assilla la protagonista.
E’ una scelta indubbiamente coerente, che rende Unsane ancora più disturbante, scomodo per lo spettatore, coinvolto in questo incubo in cui si è per forza costretti ad osservare da una prospettiva continuamente falsata dal grandangolo, dalle luci minime, dall’immagine sgranata e imperfetta, in un continuo rispecchiamento tra realtà, rappresentazione e suggestione.
Claire Foy sembra qui lontanissima dall’immagine, che le lunghe stagioni di The Crown avevano costruito di lei, con occhiaie profonde, capelli in disordine, vestiti larghi, lentiggini a vista. La scelta di partecipare ad Unsane è stata certamente liberatoria, così come quella di vestire i panni iconici dell’hacker Lisbeth Salander, nel prossimo The Girl in the Spider’s Web, diretto da Fede Alvarez.
Il racconto di genere funziona alla perfezione, costruendo un crescendo drammatico che trova il suo apice nella fuga finale, ma proprio come nella migliore tradizione seventies, che Soderbergh sembra omaggiare, il film continua a seminare dubbi anche dopo i titoli di coda.
In un anno in cui si è parlato moltissimo di molestie e violenze nei confronti delle donne, Unsane è un piccolo studio sulla psicopatologia della vittima, sull’instabilità mentale che il trauma finisce per provocare, sullo stato di prostrazione paranoica forse irreversibile: Soderbergh mostra la vulnerabilità della sua protagonista, il peso minimo dato alle sue parole, l’abuso di potere che è costretta a subire, illuminando, con brevi flashback, l’origine del suo incubo.
Non meno duro e disilluso è l’affresco del regista su queste strutture di cura dalla facciata linda, trasformate in piccoli lager, nel quale il business della malattia ha la meglio su tutto, tra istituzioni cieche e autorità conniventi, in un sistema sanitario profondamente corrotto.
Il film mette a disagio, provoca e inquieta, anche grazie allo stile immersivo scelto dal regista, che in fondo non fa che replicare, sullo schermo, il fantasma persecutorio che assilla la sua protagonista e che non l’abbandona neppure alla fine…
In sala dal 5 luglio.