Batman v Superman: Dawn of Justice **1/2
Sequel attesissimo de L’uomo d’acciaio e, al contempo, tentativo di superare la trilogia del Cavaliere Oscuro e veicolo per introdurre alcuni dei personaggi, che ritroveremo nella prossima Justice League, targata Warner e DC, questo Batman v Superman, scritto ancora da David S.Goyer, assieme al premio Oscar Chris Terrio, sembra quasi riuscire nel miracolo di non banalizzare l’atteso scontro tra i due corpi iconici del fumetto americano.
Il film ricomincia, come tutti i film sul giustiziere di Gotham, dalla messa in scena, sui titoli di testa, dell’evento chiave per il destino di Bruce Wayne: la rapina e l’omicidio dei genitori.
Subito dopo ritroviamo Bruce Wayne a Metropolis, nel tentativo di salvare i suoi impiegati, quando lo scontro tra Superman e il Generale Zod, finisce per far collassare anche il grattacielo della Wayne Finance.
Mentre i due kryptoniani combattono in volo, il miliardario di Gotham corre nelle strade coperte di polvere e detriti, con il volto rivolto verso il cielo.
“I diavoli non vengono dall’inferno sotto di noi, vengono dal cielo” dice uno dei personaggi del film ad una senatrice, ancora incerta sulle qualità di Superman: gli echi dell’11 settembre continuano a risuonare nel cinema americano del nuovo millennio. Il fragore dei crolli e le urla delle vittime innocenti, risuonano come un’eco presentissima delle battaglie combattute da quelli che chiamiamo supereroi, innervando gli universi paralleli creati dalla DC e dalla Marvel.
E’ uno dei momenti più forti del film e mette subito in chiaro quale sia la prospettiva di questo nuovo capitolo: non è più una lotta tra bene e male, eroi e villain, le linee d’ombra sono più confuse, l’apocalisse è imminente e il senso di fragilità conduce ad un immaginario senza trasparenza. E’ in discussione lo stesso statuto ontologico dei due supereroi, mai così esplicito.
Superman è una sorta di divinità, scesa dal cielo, idolatrato e invocato da molti, temuto invece da coloro che immaginano il giorno in cui quella forza incontenibile si possa rivoltare contro la Terra.
La metafora cristologica è chiarissima: se ne L’uomo d’acciaio Superman era più esplicitamente un alieno, qui la forza evangelica della sua presenza esplode in tutte le sue contraddizioni.
Non a caso, Superman non vola più, ma si libra nel cielo come un’apparizione mistica, compie miracoli, acclamato e circondato dalla folla, come nella sequenza mirabile, ambientata in Messico, durante la Festa dei Morti.
E se l’Uomo d’acciaio sembra forse aver dimenticato gli insegnamenti di Jor El, ha sempre presenti quelli dei genitori adottivi, Jonathan Kent, che ritorna in una delle tante visioni del film, e la madre Martha, l’unica persona in grado di instaurare un dialogo con Superman, oltre all’amata Lois Lane, che qui ha un ruolo ancor più grande rispetto al primo episodio, vera ancora emotiva per il figlio di Krypton.
Ma chi è davvero Superman? Quando è legittimato ad intervenire? Ha il dovere di farlo sempre? Può scegliere? E’ uno strumento di mera difesa o può essere un’arma d’offesa? E al servizio di chi?
Sono tutte domande che il film cerca di sollevare, naturalmente con la superficialità di un blockbuster hollywoodiano.
Ma le riflessioni di Goyer e Terrio sulla natura divina e messianica dell’Uomo d’acciaio, che accompagnano le prime due ore del racconto – e che si fanno esplicite, anche grazie al personaggio della Senatrice Finch, che guida la commissione investigativa del Congresso – si intrecciano con quelle relative al Cavaliere Oscuro: come nella trilogia di Nolan, Batman è per sua stessa ammissione un “criminale“, un vigilante che si pone al di là della legge e che persegue una sua personalissima agenda, completamente sfiduciato dalla corruzione dilagante e dall’inefficacia della giustizia.
I tormenti, che inquietavano il Bruce Wayne di Christian Bale, si sono in qualche modo cristallizzati in una paranoia giustizialista, che trova alimento anche nella gelosia e nel senso di inferiorità verso l’alieno di Krypton.
Il confronto tra i due vorrebbe avere grandezza e spessore shakespeariani, travolgendo persino le più attese istanze d’azione, per favorire un confronto tanto psicologico, quanto esplicitamente religioso.
Lo scontro tra i due supereroi diventa così un racconto sulla presenza del trascendente e sulla sua negazione, sull’ascesa e la caduta degli dei.
Se le ragioni di Superman affondano però nel Nuovo Testamento, quelle di Batman sono invece figlie del biblico occhio per occhio.
Persino coloro che sono tratti in salvo dal Cavaliere Oscuro, ne hanno il terrore, lo dipingono come un diavolo e la polizia gli spara addosso senza remore.
E’ curioso come Bruce Wayne e Clark Kent siano tanto allarmati dalla pericolosità della rispettiva nemesi, ma non si interroghino troppo, sui confini delle proprie azioni.
Eppure entrambi vivono con sofferenza il proprio ruolo: forse perchè il nemico che cercano non è altro che il loro doppio, il loro riflesso distorto.
Fra i due si insinua a questo punto un inutile villain, Alexander Luthor, un giovane mogul, a capo di una società di bioingegneria e high-tech, con evidenti e irrisolti problemi edipici e una fastidiosa logorrea.
Scoperto il potere della kryptonite, Luthor vorrebbe manipolare prima il Congresso, poi Batman, per fermare l’onnipotenza dell’Uomo d’acciaio.
E mentre Wayne si accorge troppo tardi di essere diventato solo lo strumento di un piano più grande, sarà un triplice archetipo femminino a farsi deus ex machina.
Peccato però che la svolta narrativa, che consente ai due protagonisti di superare la diffidenza e la rivalità reciproche, è talmente puerile, demenziale e raffazzonata, da lasciare letteralmente senza parole.
Non riveleremo di più di una trama che Snyder e la Warner hanno voluto tenere segreta, ma che di vere sorprese ne regala pochissime, soprattutto a chi abbia dato un occhio all’imponente campagna pubblicitaria orchestrata per il lancio del film, incapace di mantenere il necessario mistero, che ogni film merita.
Snyder è anche riuscito a disseminare – soprattutto negli incubi di Bruce Wayne – degli inediti lampi horror, tra i quali una visione apocalittica della Metropolis del futuro, che sembra richiamare le lande desolate di Mad Max.
Nella seconda parte, purtroppo, dopo l’incredibile svolta di cui dicevamo sopra, Batman v Superman non riesce però a mantenere la complessità delle premesse articolate nell’incipit e si chiude purtroppo con la solita insopportabile distruzione di Gotham e della sua verticalità architettonica, rasa al suolo, tra fuochi e fiamme, da un mostro tra i più dimenticabili della storia dei cine-comics.
Ed è proprio in questa deriva action, che Batman v Superman diventa un’occasione perduta, in cui le buone intenzioni e il sottotesto filosofico vengono travolti dalla solita furia distruttrice, comune a quasi tutti i moderni blockbuster.
Snyder sembra arrendersi all’inevitabile nel corso del lungo finale, che si sfalda in una serie inutile di scazzottate, ravvedimenti e crolli completamente privi di significato, che mettono la sordina al messaggio adulto di Goyer e Terrio.
In un mondo nel quale il potere non può essere (più) innocente e persino Superman perde la sua aura di onnipotenza, si è costretti a fare gioco di squadra, sostenendosi gli uni con gli altri.
Ben Affleck ha raccolto più che dignitosamente da Christian Bale il testimone di Bruce Wayne ed anzi, con le sue spalle larghe e il sorriso sornione, sembra molto più a suo agio nei panni del miliardario donnaiolo. La sua imponenza fisica avvicina il suo Batman al giustiziere stanco e crudele, immaginato nelle tavole di Frank Miller. Più forte sembra altresì il sottotesto omoerotico, con il costume sfregiato di Robin, che fa capolino nella batcaverna, e con un Alfred, interpretato da un misuratissimo Jeremy Irons, più compagno di vita, che maggiordomo.
Peraltro il vecchio Wayne Manor è distrutto e in rovina e il miliardario di Gotham vive quasi costantemente nel suo covo sotto terra.
Amy Adams è una Lois Lane ancor più presente e determinante, mentre il Lex Luthor di Jesse Eisenberg è francamente insopportabile, costantemente sopra le righe, come una sorta di Zuckerberg sotto anfetamine, incapace di tenere a freno la lingua.
Gal Gadot ha il physique du rôle per ammaliare Wayne sia in abiti borghesi, sia in quelli più succinti dell’amazzone, ma il suo ruolo è veramente sacrificato e posticcio.
Batman v Superman continua a perpetuare l’impronta angosciosa e adulta, che ha sinora caratterizzato l’universo della DC, ponendosi all’esatto opposto dello spettro, rispetto alla leggerezza talvolta stucchevole e al cameratismo dell’universo Marvel: Snyder è sinceramente ammirato dai suoi personaggi, protagonisti perfetti del suo cinema superomistico, magniloquente, sempre sopra le righe, questa volta avvolto da ansie modernissime e interrogativi eterni, che negano ogni trasparenza, ogni semplificazione.
Il trattamento che gli è stato riservato dai critici americani è stato però pessimo. E’ sufficiente dare un’occhiata ai più noti aggregatori di recensioni (Metacritic o Rotten Tomatoes), per accorgersi che le pur legittime stroncature si sono trasformate in una sorta di linciaggio compiaciuto ed insistito, che si è fatto ancora più forte, dopo i primi trionfali risultati al box office mondiale. Difficile comprenderne fino in fondo i motivi, soprattutto rispetto ad un’industria culturale, che non si vergogna quasi mai di celebrare e incensare, persino i suoi prodotti più imbarazzanti e infantili.
E’ allora non si può che guardare con un occhio benevolo a questo film di Snyder, che rimane fondamentalmente un pasticcione, capace di rovinare qualsiasi buona idea di sceneggiatura, ma che, se sbaglia, lo fa per la dismisura evidente tra le ambizioni e il talento messo in gioco.
Anche per questo, tra i film in uscita per Pasqua, Batman v Superman: Dawn of Justice è uno dei più indovinati. In fondo, il suo titolo più giusto sarebbe stato La Passione di Superman.
“Do you bleed?”