Enemy

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Enemy ***

Adam Bell è un professore di filosofia. Vive a Toronto e sembra essere claustrofobicamente rinchiuso in una routine sempre più angosciante. Nella sua vita ci sono solo le lezioni al mattino, su Hegel, la dittatura e l’ossessione del controllo, i compiti dei suoi alunni corretti nel suo spoglio appartamento ed una fidanzata che si palesa ogni tanto, con cui c’è un rapporto quasi solo fisico.

E’ uno schema che si ripete costantemente, da cui Adam finisce per uscire solo quando un collega gli suggerisce un vecchio film, che Adam divora una notte sul suo pc, e nel quale riconosce una comparsa che appare del tutto identica a lui.

Grazie ad internet scopre che l’attore si chiama Daniel St.Claire, nome d’arte di Anthony Clair. Adam si apposta davanti alla sua agenzia e viene scambiato per l’attore dal portiere che gli consegna una busta che ne contiene un’altra.

Conosciuto quindi l’indirizzo di Anthony telefona a casa dell’attore: la moglie lo scambia per il marito, ma poi finalmente i due protagonisti riescono prima a parlarsi quindi si incontrano in una stanza d’hotel.

La somiglianza non è solo una follia di Adam, ma è reale. I due sono gemelli, sono la stessa persona o è solo una coincidenza? Adam va a parlare con la madre rivelandogli l’incontro con il suo doppio, ma la donna nega ogni ipotesi. Eppure la donna sembra riferirsi ad Anthony, quando gli sconsiglia alla fine di rinunciare alle velleità d’attore…

Il mistero diventa sempre più fitto. Anche perchè sin dall’inizio, il film ci mostra anche in parallelo le ossessioni e gli incubi di Anthony, tra stanze chiuse che assomigliano alle orge segrete di Eyes Wide Shut, ragni giganti e donne con la testa di aracnide che camminano sul soffitto.

Denis Villeneuve adatta per lo schermo il romanzo di Josè Saramago, L’uomo duplicato, mantenendo lo spunto iniziale, ma lasciando molte zone oscure e arricchendo il racconto di ellissi e suggestioni che sembrano derivare dal cinema di un altro grande canadese, David Cronenberg.

Il suo cinema umanista racconta l’orrore e le conseguenze della violenza. Il suo stile si è sempre adattato alla storia, passando dal bianco e nero da cinema verité ai colori caldi della tragedia del conflitto mediorientale, sino alle immagini desaturate ed allo stile asciutto della Pennsylvania di Prisoners.

Enemy gioca con lo spettatore, sottraendosi a qualsiasi risposta e rilanciando continui interrogativi, anche grazie ad una fotografia satura di giallo che restituisce una Toronto mai così aliena e grandiosamente inquietante. Il lavoro luministico di Nicolas Bolduc è tutto giocato sulla contrapposizione tra le stanze chiuse degli appartamenti di Adam e Anthony, e lo skyline opprimente dei grandi spazi aperti della città che incombono sui personaggi schiacciandoli al loro destino, Enemy trascende e reinterpreta il tema classico del doppio, così comune nel racconto di fantascienza e nella psicanalisi, per trascinare i suoi protagonisti nell’orrore della perdità di sè.

Villeneuve gioca sulle identità e non è un caso se Anthony sia un attore e Adam sia costretto a reinterpretare la parte del bravo professore in un loop senza fine, che proprio l’incontro con con il primo finirà per rompere.

La colonna sonora insinuante ed ansiogena è di Danny Bensi e Saunder Jurriaans, ma il film non sarebbe lo stesso senza l’inquietudine di Jake Gyllenhaal, capace di attraversare il film in una sorta di stato ipnotico, che rende credibile ogni ipotesi e contribuisce a ricreare un orrore mai davvero visibile.

Al suo fianco una stupefacente Sarah Gadon, nei panni della moglie incinta di Anthony, davvero magnetica pur nelle poche scene in cui appare e Melanie Laurent, la fidanzata di Adam, che ha un ruolo ancor più marginale. La presenza di Isabella Rossellini nel ruolo della madre, sembra voler essere un omaggio alle atmosfere lynchiane di cui il film si nutre con una certa disinvoltura.

L’epigrafe che apriva il romanzo e che Villeneuve ha mantenuto, afferma che “Il caos è ordine non ancora decifrato“: il film, più ancora del romanzo, vi è fedele, lasciando aperti tutti gli interrogativi, in un finale che tradisce quello originale in un senso ancor più enigmatico.

Qualcuno potrà risentirsi: il cerchio non si chiude e l’atmosfera opprimente, che il film riesce a creare con il suo andamento lento, non consente mai una catarsi. Diversamente dai suoi ultimi film, Polytecnique, La donna che canta e Prisoners, Villeneuve sceglie di raccontare un orrore del tutto astratto.

Enemy è cinema d’autore: lascia a lungo inquieti o del tutto indifferenti. Prendere o lasciare…

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