Smetto quando voglio
Sidney Sibilia
2014 .
Mi guardo allo specchio e quello che vedo mi piace moltissimo: un uomo finalmente adulto, laico, cosmopolita, acculturando. Me ne vado in giro convinto di avere capito molte cose, di essere sulla via della saggezza e della libertà. Poi, di improvviso, ecco che ricasco nel solito vecchio vizio, il peggiore.
L’autarchia.
L’autarchia, la grettezza ideologica dell’autosufficienza, l’eliminazione del confronto per l’apologia dell’unico, l’ignoranza come unica forma di felicità.
L’autarchia, quella che, davanti ad un’offerta ricchissima di titoli internazionali al cinema, mi porta a pensare: “mmhh, una commedia italiana, un regista emergente, perché no?”. Una biscia che si insinua nei miei pensieri, che mi culla sulle lusinghe di opinioni di opinionisti altrimenti negletti, il solito repertorio di luoghi comuni, da “una commedia frizzante e sui generis”, a “un ritratto esilarante dei 40enni di oggi”, a “un tuffo vertiginoso nel cinema contemporaneo di genere”.
E allora sì, sì, sì ! Perché no?
Perché no. No e basta.
Scorrono le immagini dei titoli di testa, ed è chiaro che l’ambientazione è sempre la stessa: Roma, vista di lato, di sotto, di sopra come con Google Map, zoom avanti, zoom indietro, paro paro l’incipit di Ricordati di Me di Muccino, che è uno dei miei acerrimi nemici, lui, il quartiere Parioli e la società de’noantri. Tutto uguale, tranne che in SQV parte una canzone degli Offspring, ‘azz che scelta radicale, e io che mi aspettavo l’ennesima canzone di Rino Gaetano!
Perplesso, continuo nella virile fruizione dell’italico prodotto, e tra le altre cose mi sciorino:
– Valeria Solarino, svogliata, svogliatissima,
– Neri Marcorè, ancora lui, sempre lui, più soporifero che mai;
– Due latinisti, che tra loro parlano in latino, simpatici come una versione di Cicerone al liceo ;
– Un obeso schizzato che è la brutta copia sputata, cioè in peggio, dell’odiato Battiston;
– Un professore universitario napoletano, corrotto e ignorante come di prammatica;
e poi:
– (profusione di )Adolescenti romani coatti sballati e pieni di soldi;
– (profusione di )Prostitute russe, ristoratori cinesi, benzinai cingalesi.
Insomma, la solita minestra, stantia, veltroniana, caciottara, subdolamente razzista, condita da una sceneggiatura che procede a conati, più che a strappi, costruita (?) intorno all’ascesa ed alla caduta dell’unico grande protagonista di questa sgangherata farsa corale.
E chi sarebbe sto grande protagonista? Pietro, ricercatore di neurobiologia, che ha la modernissima idea di mettersi a produrre e spacciare droghe sintetiche (legali).
Vi ricorda qualcuno ?
Proprio lui, il Dio di Breaking Bad.
Purtroppo per Sidney Sibilia, la derivazione si ferma qui, il suo film è totalmente privo di cattiveria, di cinismo, di satira sociale, al confronto Nunziante e Zalone fanno cinema politico. Il suo occhio non è sincero, guarda dall’alto, non da dentro, le gravi contraddizioni di un paese allo sbando, e non capendo si rifugia nel cliché. Attento Sidney, chè banalizzare vuol dire normalizzare, e questo è reazionario, troppo reazionario, renziano, quasi fascista.
Come l’autarchia.
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