La moglie del poliziotto ***
Philip Groening ritorna al cinema dopo Il grande silenzio con questo racconto familiare, di inquietante normalità, diviso in 59 capitoli, scanditi da inesorabili cartelli a nero, che annunciano l’inizio e la fine di ciascuno.
E’ il ritratto apparentemente asettico e oggettivo di una famiglia qualunque: il padre fa il poliziotto, la madre cura la casa e cresce la piccola figlia. L’idillio familiare, l’amore per la bambina, la sintonia tra marito e moglie però finiscono pian piano per lasciare il passo a segnali sempre più inquietanti di violenza morale e materiale.
I capitoli sono composti per lo più da singole brevi sequenze, talvolta fatte di una singola inquadratura, più spesso articolate in un piano sequenza, solo raramente rotte da scene con più sequenze, che comunque non superano mai i cinque minuti.
Il racconto di Groening è ellittico ed estenuante, per la singolare scelta di montaggio e per la necessità di affidarsi completamente al suo punto di vista. Il film è in fondo un susseguirsi metodico di immagini di vita familiare e professionale: sequenze di per sè spesso del tutto ordinarie ed apparentemente irrilevanti, che vanno a comporre un quadro perfetto solo in superficie, ma che improvvisamente mostra inquietudine e dolore, che si manifestano nei lividi blu, sempre più numerosi sul corpo della moglie.
Oltre ai tre protagonisti, alcuni capitoli sono dedicati ad un vecchio, che vive solo in una piccola casa in campagna, illuminata dal riflesso della luce sulla neve, che la circonda. Non sappiamo chi sia, non avremo risposte certe neppure alla fine.
Groning restituisce le dinamiche psicologiche familiari con un’esattezza cartesiana, sino alla tragedia finale ed al potentissimo sguardo in macchina che chiude l’ultimo capitolo.
Alcunii capitoli restano nella memoria per potenza ed originalità: l’incidente in auto, l’uccisione del cervo, madre e figlia sempre più piccole nell’enorme vasca da bagno, la luce rossa nella stanza della piccola violata dalla violenza del padre, la volpe che passeggia indisturbata nel quartiere silenzioso ed asettico.
Cinema impervio, che richiede abbandono totale e fiducia nella forza di una narrazione apparentemente debole e passiva: eppure, nonostante la scelta discutibile della suddivisione in capitoli numerati, il film è un pugno in faccia che stordisce e lascia senza fiato.
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