Cannes 2015. Love

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Love **1/2

Il tanto atteso film scandalo del 68.Festival di Cannes si e’ finalmente mostrato.

Firmato dall’enfant terrible del cinema francese, Gaspar Noe’, in realta’ e’ una storia d’amore di romanticismo tardo-adolescenziale, che sarebbe piaciuta molto a James Ivory. Solo che – contrariamente al regista inglese – per due ore e quindici minuti, Noe’ ci mostra quasi solo i rapporti sessuali, a due, a tre, in un club di scambisti e con un trans, della coppia di protagonisti.

Lui e’ Murphy, studente americano di cinema a Parigi. Lei e’ Electra, studia belle arti e sogna di esporre i suoi quadri.

Il film comincia pero’ dalla fine della loro storia d’amore.

Il giorno di capodanno di un anno imprecisato, Murphy riceve un messaggio dalla madre di Elettra: la figlia e’ scomparsa e nessuna sa dove sia. Potrebbe essersi suicidata.

Murphy che e’ sposato con Omi ed ha un figlio, che si chiama Gaspar, non sa nulla di Elettra, ma quel messaggio scatena i ricordi di una passione totalizzante.

Il film va a rebours, e procedere per associazioni libere dal momento della rottura e della separazione tra Murphy e Elettra, fino al loro primo casuale incontro, in un parco parigino.

La storia che Noe’ racconta e’ tutta qui, tra litigi furibondi e scenate di gelosia, tentativi di scoprire cose nuove assieme, grande trasporto sentimentale, droghe, cinema e frammenti di un discorso amoroso.

Il film sembra ambientato alla fine degli anni ’90. Cosi’ si spiega l’assenza di cellulari, la presenza di videocassette e tutto un armamentario sentimentale e sessuale, che evidentemente precede l’era dei social media e di you porn.

Persino le fantasie sessuali sono da antologia piccolo borghese: i rapporti a tre con un altra donna, i club prive’, il travestito. Nulla di particolarmente trasgressivo, per i nostri tempi.

Ed anche se Noe’ non e’ avaro di dettagli, siamo molto al di qua dello scandalo vero.

Se questa voleva essere la risposta di Noe’ a Von Trier ed al suo Nymphomaniac, e’ evidente che la distanza tra i due e’ abissale, non solo per intenti, ma ahime’ per risultati.

E’ cinema per sciampiste quello di Noe’, diceva un amico, appena fuori dalla sala.

Non mi spingerei fino a tanto, ma certo il discorso sulla sessualita’ e sui sentimenti e’ da ragazzini innamorati, nulla di piu’.

Quello che pero’ stupisce, nel film di Noe’, e’ lo straordinario rigore nella messa in scena, che gioca magnificamente con gli assi cartsiani dello schermo e le sue dimensioni. Abolito radicalmente il campo e controcampo, la prospettiva e’ sempre centrale e simmetrica. La macchina da presa fissa e alla giusta distanza, i carrelli sono a precedere o a seguire. I personaggi sono sempre perfettamente in asse: quando parlano tra di loro sono inquadrati di profilo o raramente affiancati frontalmente.

Dallo spericolato e barocco Noe’, capace di girare il suo ultimo lisergico e survoltato Enter the void tutto in soggettiva e plongee, non ci attendevamo una scelta formale cosi’ radicale e impeccabile.

Naturalmente per il regista di origini argentine si e’ trattato di una scelta consapevole e, a suo modo, profondamente morale.

La costruzione dell’inquadratura e’ magnifica e da manuale, il lavoro sull’immagine e sui colori, di Benoit Debie, da premio.

Dei due protagonisti, Karl Glusman e Aomi Muyock, sentiremo presto riparlare. La loro performance totale e’ da applausi, per coraggio e generosita’. E soprattutto il giovane Glusman buca lo schermo, con la stessa sfrontatezza di Ewan McGregor: lo ritroveremo in The Neon Demon di Nicolas Winding Refn.

Ma e’ sufficiente tutto questo a fare di Love un film di qualche interesse?

 

 

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